La crisi d’identità come gioco metaforico, tra realtà e letteratura

Sono Giovanni Verga e Luigi Pirandello i due scrittori siciliani che più testimoniano con la loro produzione letteraria l’articolato processo di trasformazione che tra XIX e XX secolo investe autore, narratore e personaggio, fino all’eclissi dell’uno e alla disgregazione dell’identità degli altri due.

Giovanni Verga, nel compito ardito di dar vita al Ciclo dei vinti, anticipa nella novella Fantasticheria la necessità di calarsi nel mondo dei suoi personaggi e guardare le cose con i loro occhi, teorizzando la regressione del narratore, al fine di descrivere in maniera più obiettiva i loro umori, le loro sofferenze e la loro vita:

“Bisogna farci piccini anche noi, chiudere tutto l’orizzonte fra due zolle, e guardare col microscopio le piccole cause che fanno battere i piccoli cuori.“ 1

Giovanni Verga
Giovanni Verga, dal libro Giovanni Verga di Luigi Russo, Riccardo Ricciardi Editore, Napoli (1920). Foto di ignoto, in pubblico dominio

Questo però non basta. Occorre che la storia sembri raccontarsi da sola e per fare ciò opera auspica l’eclissi dell’autore e lo smembramento dell’identità del narratore in tante voci narranti con altrettante focalizzazioni e punti di vista.

Intanto io credo che il trionfo del romanzo […] si raggiungerà allorché l’affinità e la coesione di ogni sua parte sarà così completa che il processo della creazione rimarrà un mistero […], che la mano dell’artista rimarrà assolutamente invisibile, e l’opera d’arte sembrerà essersi fatta da sé, aver maturato ed esser sòrta spontanea come un fatto naturale, senza serbare alcun punto di contatto col suo autore; […] ch’essa stia per ragion propria, pel solo fatto che è come dev’essere, ed è necessario che sia, palpitante di vita ed immutabile al pari di una statua di bronzo, di cui l’autore abbia il coraggio divino di eclissarsi e sparire nella sua opera immortale2

Senza dubbio il fine non è moralistico, ma è quello di riportare in maniera più realistica il mondo che si appresta a raccontare. Così facendo, rende il narratore possibile, interno, impersonale, anonimo, e lo fa parlare con il linguaggio degli stessi personaggi. Arriva al suo scopo attraverso l’uso del discorso indiretto libero e della terza persona singolare della voce narrante.

Il narratore in questo modo sa tutto di tutti, ma è interno, al contrario di quello onnisciente, e non esprime il suo giudizio, ma assume di volta in volta un punto di vista diverso mimetizzandosi, sdoppiandosi, moltiplicandosi in vari narratori.

La crisi d’identità come gioco metaforico, tra realtà e letteratura
La crisi d’identità come gioco metaforico, tra realtà e letteratura. Immagine da Canva, licenza d’uso

Così, pur partendo dalla convinzione di poter indagare la realtà con la lente di ingrandimento e spiegarne in modo razionale o deterministico le dinamiche, idea che risente di un’impostazione fortemente positivistica, arriva però, proprio per il fine dell’attendibilità e estraneità, a dare voce a tanti narratori procedendo con lo smembramento dello stesso.

Ne consegue un processo all’inverso che parte dall’unità della certezza e razionalità della realtà; spiegata con la scienza e dominata dalla legge del più forte, come evidenziato dal darwinismo sociale, e perviene alla molteplicità della relatività dei vari punti di vista del narratore.

Da qui deriva che la crisi d’identità in Verga è letteraria e si presenta come un processo opposto rispetto alla realtà.

All’unità conoscitiva della realtà si contrappone in modo antitetico la molteplicità letteraria del narratore e dei suoi punti di vista.

Luigi Pirandello
Luigi Pirandello, foto di ignoto in pubblico dominio

Prendiamo ora in esame Pirandello e i suoi romanzi più noti. Leggendo l’incipit di quelli che sono considerati i capolavori dello scrittore, Il fu Mattia Pascal e Uno, nessuno e centomila, ci si rende subito conto che il narratore è interno e in prima persona e coincide con il protagonista delle storie. Sembra di assistere al suo percorso individuale di presa di coscienza della crisi dell’identità. Il racconto procede come un monologo, a volte con un interlocutore immaginario, e il punto di vista del narratore è parziale soggettivo.

Una delle poche cose,. anzi forse la sola ch’io sapessi di certo era questa: che mi chiamavo Mattia Pascal.

[…] Non pareva molto, per dir la verità, neanche a me. Ma ignoravo allora che cosa volesse dire il non sapere neppur questo, il non poter più rispondere, cioè, come prima, all’occorrenza:
— Io mi chiamo Mattia Pascal.

Già all’inizio del romanzo Il fu Mattia Pascal appare chiara la crisi d’identità del protagonista, il cui nome, unica certezza di un tempo, è oramai stato messo in discussione dagli eventi dei quali si appresta a raccontare.

Lo stesso narratore aggiunge che la società in cui vive ha subito una trasformazione a seguito delle scoperte di Copernico, che lui stesso maledice.

[…] io debbo ripetere il mio solito ritornello: Maledetto sia Copernico!

[…] Copernico, Copernico, don Eligio mio, ha rovinato l’umanità, irrimediabilmente. Ormai noi tutti ci siamo a poco a poco adattati alla nuova concezione dell’infinita nostra piccolezza, a considerarci anzi men che niente nell’Universo, con tutte le nostre belle scoperte e invenzioni; 3

Copernico diventa così la causa di tutti i mali, perché produce la fine di ogni certezza e il conseguente relativismo conoscitivo.

Ritratto di Niccolò Copernico, con in mano uno strumento astronomico. Immagine  Wellcome Collection, CC BY 4.0

Se focalizziamo l’attenzione su Uno, nessuno e centomila, anche qui il protagonista delle vicende, Vitangelo Moscarda, coincide con il narratore e racconta in prima persona la sua crisi d’identità a seguito della constatazione della moglie riguardo ad alcuni suoi difetti fisici.

«Che fai?» mia moglie mi domandò, vedendomi insolitamente indugiare davanti allo specchio. «Niente,» le risposi, «mi guardo qua, dentro il naso, in questa narice. Premendo, avverto un certo dolorino.» Mia moglie sorrise e disse: «Credevo ti guardassi da che parte ti pende.» Mi voltai come un cane a cui qualcuno avesse pestato la coda: «Mi pende? A me? Il naso?» E mia moglie, placidamente: «Ma sí, caro. Guàrdatelo bene: ti pende verso destra.» 4

Una semplice e, per così dire, innocente osservazione pesa su di lui come un macigno tanto da spingerlo inesorabilmente verso un cambiamento radicale. Vitangelo Moscarda si accorge di non essere uno, ma centomila e finisce col non essere nessuno. Il protagonista inizia a mettere in discussione la sua vita e a smentire l’idea stessa che gli altri avevano di lui. Così per liberarsi del fardello di tutte quelle maschere e costruzioni che gli avevano addossato, prima fra tutte quella di usuraio, decide di dare i suoi averi ai poveri e far costruire un ospizio, dove si ritira ospizio e partecipa del flusso continuo della vita non prendendo mai una forma, ma vivendo un giorno come un albero, uno come nuvola, un altro ancora come vento ecc..

[…] Io sono vivo e non concludo. La vita non conclude . E non sa di nomi, la vita. Quest’albero, respiro trèmulo di foglie nuove. Sono quest’albero. Albero, nuvola; domani libro o vento: il libro che leggo, il vento che bevo. Tutto fuori, vagabondo.

[…] Così soltanto io posso vivere, ormai. Rinascere attimo per attimo. Impedire che il pensiero si metta in me di nuovo a lavorare, e dentro mi rifaccia il vuoto delle vane costruzioni. 5

In tutti e due i romanzi c’è una diretta corrispondenza tra realtà e identità personale, entrambe incerte e molteplici.

In definitiva, mentre le tecniche narrative di Verga sono strettamente legate alla convinzione positivistica di spiegare e conoscere con certezza la realtà, quelle di Pirandello si originano dal relativismo conoscitivo.

All’antitesi di Verga, che per passare dalla realtà al realismo viaggia attraverso la disgregazione del narratore, si contrappone l’analogia di Pirandello, in cui la voce del narratore è quella di chi rivede in sé stesso la stessa crisi di valori e di certezze conoscitive della sua società, in un gioco metaforico tra reale e personale, tra mondo esterno e universo interiore.

La crisi d’identità come gioco metaforico, tra realtà e letteratura
La crisi d’identità come gioco metaforico, tra realtà e letteratura. Immagine da Canva, licenza d’uso

Note:

1 G. Verga, Fantasticheria, in Tutte le novelle, Milano, Mondadori, 2004, vol I, p. 123.

2 G. Verga, L’amante di Gramigna, in Tutte le novelle, Milano, Mondadori, 2004, vol I, p. 192.

3 Incipit de Il fu Mattia Pascal, Milano Fratelli Treves Editori, 1919.

4 Incipit de Uno, nessuno e centomila, Mondadori Milano 1988.

5 G. Verga, Uno, nessuno e centomila, libro VIII, capitolo IV, Mondadori, Milano 1988.

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