DIARIO DI SCUOLA DI DANIEL PENNAC: UN DIALOGO COL “SOMARO”

Diario di scuola è, probabilmente, il libro che chiunque voglia, o meglio, desideri esercitare l’ardito mestiere dell’insegnante deve leggere, o almeno, avere nella propria libreria. Frutto di una personalità eclettica e di una penna arguta come Pennac (o Pennacchioni! soltanto leggendo il racconto, si capirà), il libro ben si inserisce in quel filone di racconti che sono a metà strada tra la pedagogia e l’(auto)critica (che non è soltanto letteraria, eh).

Il Diario è un racconto vivacissimo e singolare. Sembra, leggendolo, di assistere ad una scena teatrale, dove il protagonista dialoga con diversi personaggi presenti, tra questi, il suo “ego” che rappresenta l’unico ed inimitabile “somaro” dell’infanzia.

Pennac, oltre a romanziere, scrittore, sceneggiatore ed autore di testi teatrali, è stato docente di francese in un liceo parigino. Pregno dell’esperienza scolastica da studente, prima, e da professore, poi, Pennac mette in luce le storture dell’impianto scolastico francese e non solo, le paure, spesse volte, infondate degli studenti, soprattutto di quelli che l’autore definisce “differenziali” (lui stesso si definisce uno studente “differenziale”), cercando ad esse di trovare una risposta, una soluzione o, magari, un compromesso.

Diario di scuola Daniel Pennac
La copertina del romanzo Diario di scuola Daniel Pennac, pubblicato da Feltrinelli nella collana I Narratori

Pennac ripercorre, attraverso il racconto, le tappe che lo hanno portato ad esercitare il mestiere di insegnante. Dall’infanzia passata tra le grida del padre e le preoccupazioni della madre al futuro che lo avrebbe riscattato, confermando le credenze del padre e stupendo l’incredulità della madre.

Lui era il “somaro” tra i fratelli, questi tutti studiosi e con un futuro luminoso. Di lui la madre ripeteva più volte: “credi che se la caverà, prima o poi?

Le preoccupazioni della madre erano fondate. Pennac era un vero “disastro” a scuola. Scrittura pessima, comprensione lenta e tante bugie. Ma chi non ha mai avuto in sé un “somaro” o un momento di “somaraggine” che lo ha gettato nello sconforto? A chi la scuola non ha inculcato terrore? Chi non ha mai avuto dei professori asettici? Tutte domande che esigono una risposta ed il più delle volte questa è affermativa.

Su questo punto Pennac focalizza l’attenzione. Col suo racconto-dialogo, l’autore vuole, o almeno vuole tentare, di estirpare-curare quella somaraggine che tanto lo ha provato quand’era studente.

Ci siamo trovati, spesso, ad ascoltare: “non ce la farò mai!”, “non ci riuscirò mai!” Frasi forti, alle quali l’autore dedica più di una pagina. Soprattutto a quel “ci”. Cos’è quel “ci”? perché fa così male? Perché fa rimbombare le orecchie? Pennac affronta il mestiere dell’insegnante carico delle sue paure, non ne fa sfoggio, ma le utilizza come mossa utile per “recuperare” un alunno in preda allo sconforto o, anche, un ragazzo “di periferia”.

Al dialogo col proprio “somaro” fa da contraltare il dialogo del professore con i suoi studenti. Pennac descrive le sue ore di lezione. Non fa distinzioni tra gli alunni. Il vero professore è colui che ritiene tutti sullo stesso piano (questa è una lezione che ha imparato sin da quando era bambino).

Diario di scuola è anche un racconto che mira a criticare il sistema scolastico a lui contemporaneo (ora ancor più un disastro) cercando ad esso una soluzione. Perché infarcire di tecnologia tutte le lezioni? Perché il dettato è passato di moda? E, soprattutto, perché imparare a memoria è ormai un’attività che rabbrividisce tutti i genitori?

Su quest’ultimo argomento Pennac dedica un intero capitolo del racconto. Facendo leva sul passaggio da una società che trasferiva a memoria il proprio sapere ad una dove il consumismo, o quella che l’autore definisce “Nonna Marketing” (una strega, insomma!) fa da protagonista, l’autore dimostra che la credenza di molti genitori, legata all’assioma imparare a memoria uguale tortura, è infondata.

Foto di Susan Q Yin, licenza d’uso

Il professore modello è colui che si fa carico della propria disciplina, che riesce ad imboccare gli allievi, a farli innamorare della materia, ad accompagnarli, a solcargli la strada, a non mortificarli, ad ascoltarli, a consigliarli, ad aprire la loro mente e a farli ragionare.

Ma perché imparare a memoria? Per Pennac questa non dev’essere un’esercitazione meccanica, ma una funzione che aiuti la mente a riflettere, ragionare: perché è stata utilizzata quella parola? Perché c’è quella successione? La scuola che immagina Pennac sembra quasi ideale, o almeno, idealizzata. Lui, durante gli anni d’insegnamento, ha portato avanti questa sua convinzione (condividendola anche con gli altri docenti). Ci ha creduto fortemente e ci crede. Soprattutto nella convinzione che gli alunni vanno alimentati con quel concetto che, a volte, infonde un certo imbarazzo, cioè l’amore.

Pennac non manca, nelle pagine finali del suo racconto, di menzionare quei due o tre professori che durante i suoi anni da studente lo hanno letteralmente salvato. Non lo hanno mortificato. Non l’hanno abbandonato attaccato a quel numero, lo 0! Ma lo hanno elevato. Perché tutti valiamo qualcosa.

Quei tre insegnanti (di matematica, di storia e di filosofia) sono l’emblema, per l’autore, del perfetto docente. Colui che è tutt’uno con la materia, che non si stanca di leggere, di informarsi…perché curioso. È la curiosità che alimenta la passione. È la passione che alimenta l’amore. Ed è con l’amore che si possono risollevare le sorti, anche, di quei ragazzi “differenziali”.

L’amore è paragonato, metaforicamente, ad uno stormo di rondini. Se qualcuna, nella furia, va ad urtare, la si deve risollevare e permetterle di spiccare nuovamente il volo. Soltanto così può tornare a godere di ciò che la vita le ha riservato. “Una rondine tramortita è una rondine da rianimare, punto e basta”.

Soltanto l’amore dei suoi tre docenti (e altri) lo hanno salvato da quel futuro “nero” che tanto gli si era prospettato. Soltanto l’amore gli ha permesso di salvare da un futuro incerto quei ragazzi che furono suoi alunni.

Soltanto l’amore, infine, lo ha riscattato dall’incredulità della madre. Pennac ci è riuscito, sebbene il suo “somaro” lo abbia accompagnato (e lo accompagni) costantemente.

La copertina del Diario di scuola Daniel Pennac (pseudonimo di Daniel Pennacchioni) nell’edizione Universale Economica Feltrinelli

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