La cicala e la formica: la più nota delle favole da Esopo a Trilussa

Una delle più belle, celebri e antiche favole, che da secoli si tramanda di generazione in generazione, è senz’altro quella della cicala e della formica. La favola, è bene sottolinearlo immediatamente, ha di per sé una tradizione lontana, che risale a ben prima della forma scritta o dell’abitudine (saggia) di mettere tutto per iscritto in modo da farlo perdurare. Si tratta di un racconto breve con una morale: questa particolare forma di narrazione, infatti, vuol dare un insegnamento a chi legge, usando soprattutto animali, rappresentanti i numerosi vizi e pregi dell’uomo. Se parliamo della cicala e della formica, dobbiamo risalire a Esopo.

Esopo
Esopo, copia in gesso del busto di Villa Albani a Roma, conservata al Museo Statale di Belle Arti Pushkin di Mosca. Foto Wikipedia user Shakko, CC BY-SA 3.0

Di quest’uomo abbiamo informazioni perlopiù incerte, ma di sicuro nell’Atene del V secolo a.C. fosse già celebre, al punto che Aristofane – noto commediografo ateniese – nominava il favolista e lo coinvolgeva in un aneddoto, affidato ai versi della commedia Le Vespe (vv. 1401-05), qui presentati nella traduzione di Giuseppe Mastromarco:

«Una cagna impudente e ubriaca una sera si mette ad abbaiare contro Esopo, che torna a casa dopo una cena. E lui: “Cagna, cagna, se, in cambio di questa cattiva lingua, ti comprassi un po’ di grano, credo che sarebbe una saggia decisione”».

Aristofane motteggiava e si burlava dell’impianto favolistico di Esopo e sapeva bene che il pubblico avrebbe colto l’ironia di quei versi. Questo perché il favolista, nonché ideatore del genere, era assai conosciuto; la sua fama, infatti, si estenderà all’epoca romana, dove passerà il testimone a Fedro e così fino ai nostri giorni, interessando non pochi autori e poeti lungo la via. E come lo stesso Esopo anche la sua favola della cicala e della formica ha avuto una straordinaria fortuna, conoscendo anche reinterpretazioni e riadattamenti diversi.

Nella versione originale leggiamo che le formiche, laboriose, raccoglievano cibo durante l’estate, sotto gli occhi della cicala che, invece, cantava, si godeva il bel tempo e non si preparava al rigido inverno. Allora, giunta la stagione invernale, la cicala chiese un po’ di cibo alle formiche.

«Le formiche domandarono: “Perché non hai ammassato anche tu delle provviste durante l’estate?”. “Non ne avevo il tempo”, rispose la cicala, “perché levavo il mio canto melodioso”. Allora le formiche scoppiarono a ridere ed esclamarono: “Se d’estate hai suonato, d’inverno balla!”». Giunge, infine, la morale del racconto: «La favola dimostra che non bisogna essere mai indolenti, per non trovarsi poi esposti a sofferenze e pericoli».

La cicala e la formica Perry J. Billinghurst
La cicala e la formica nell’illustrazione di Perry J. Billinghurst, a p. 2 nell’edizione inglese Hundred Fables of La Fontaine, pubblicata da John Lane, Londra, 1900. Immagine in pubblico dominio

Questa storia è stata riproposta secoli dopo dal poeta francese Jean de La Fontaine, all’inizio della sua raccolta di favole. La prima differenza sostanziale tra le due versioni risiede proprio nel diverso modo in cui sono proposte al pubblico. Se, infatti, il breve racconto di Esopo era in prosa, La Fontaine predilige i versi. Non a caso sarà poi considerato il più grande poeta francese, già prima di pubblicare le prime 24 favole in versi, nel 1668. Raccolta che poi arriverà ad annoverarne ben 124. Non è di certo casuale che il suo libro si apra con questa favola e non è altrettanto scontato capire il diverso spirito con cui è stata concepita.

Busto di Jean de la Fontaine, opera di Jean-Antoine Houdon. Foto di Tinodela, CC BY-SA 3.0

In Esopo abbiamo un elogio della formica, previdente e saggia; di contro, la cicala è presentata come una sciocca, un modello da sbeffeggiare e da non seguire. Al contrario, in questa nuova versione, la formica non ha caratteristiche positive. È piuttosto presentata come una cinica accumulatrice di beni, che gode della sofferenza altrui. Difatti, quando la cicala si rivolge a lei per avere di che vivere durante l’inverno, la formica la esorta a ballare, come nella favola di Esopo, ma il poeta francese fa un commento poco lusinghiero riguardo la formica, specificando che

«non è una prestatrice: è il difetto che essa ha meno».

Così facendo, la sua scarsa generosità è il suo difetto di minor conto, perché è una fredda calcolatrice. Prima domanda alla cicala – come in Esopo – cosa abbia fatto e poi, constatata la miseria e il suo errore, la manda comunque via.

La cicala e la formica Jean Ignace Isidore Gérard Grandville
La cicala e la formica nell’illustrazione di Jean Ignace Isidore Gérard Grandville, contenuta nelle Favole di La Fontaine. Libro I, favola I dell’edizione Garnier Frères, Parigi, 1855. Immagine in pubblico dominio

Si inizia, quindi, a incrinare il bel mito della formica, cosa che sarà ancora più evidente nella tradizione successiva della favola, con cui ci spingiamo oltre il Novecento, dove la formica muta del tutto comportamento.
In Michel Piquemal, per esempio, la formica dona il suo cibo alla cicala, perché commossa dal suo bel canto. Non voleva che il mondo fosse privato di quel momento di pace dalla fatica quotidiana e allora cede metà delle sue riserve. La cicala canterà per lei sola una delle sue più belle canzoni.

Su questa linea è la versione di Gianni Rodari che, nuovamente, capovolge il racconto e fa agire quest’avara formica come invece avrebbe dovuto, mettendo su una sorta di rivoluzione:

«Ho visto una formica / in un giorno freddo e triste / donare alla cicala / metà delle sue provviste. / Tutto cambia: le nuvole, / le favole, le persone. / La formica si fa generosa: / È una rivoluzione!».

Concludiamo questo breve excursus con una versione ancora più lontana da quella antica, più bella di tutte, perché proveniente dal poeta romano Trilussa; anche in questo caso la raccolta in versi delle sue favole moderne si apre con questa originalissima versione della cicala e della formica, il tutto narrato in dialetto romanesco. Troviamo sempre la formica intenta ad accumulare con fatica e la cicala impegnata a cantare per tutta l’estate. Finisce la stagione estiva, ma la formica comunque sente la cicala che continua a cantare. E allora le chiede:

«Ancora canti? / ancora nu’ la pianti? / – Io? – fece la Cecala – manco a dillo: / quer che facevo prima faccio adesso; / mó ciò l’amante: me mantiè quer Grillo / che ‘sto giugno me stava sempre appresso. / Che dichi? l’onestà? Quanto sei cicia! / M’aricordo mi’ nonna che diceva: / Chi lavora cià appena una camicia, / e sai chi ce n’ha due? Chi se la leva».

Trilussa
Trilussa. Foto di ignoto, caricata da Indeciso42, in pubblico dominio

Breve bibliografia:

Aristofane, Commedie_1, a cura di Giuseppe Mastromarco, testo a fronte, Utet, Torino 2007.

Esopo, Favole, a cura di Cecilia Benedetti, introduzione di Antonio La Penna, testo greco a fronte, Oscar Mondadori, Milano, 2016.

Jean de La Fontaine, Favole, scelta e traduzione di Vivian Lamarque, con le illustrazioni di Percy J. Billinghurst, Oscar Mondadori, Milano 2017.

Trilussa, Tutte le Poesie, a cura di Pietro Pancrazi, note di Luigi Huetter, Mondadori, Milano 1990.

Nata a Bitonto nel ’94, ha studiato Lettere Classiche e Filologia Classica. Nel 2021 si è laureata in Scienze dello Spettacolo. Giornalista Pubblicista, collabora con più testate online. Attualmente frequenta il master in Critica Giornalistica alla Silvio D’Amico. I suoi interessi e studi riguardano la letteratura, il cinema e il teatro.

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