Il fu Mattia Pascalforestiere della vita

[…]Ma sta’ a vedere, — mi rampognavo, — che non debba più far nuvolo perchè tu possa ora godere serenamente della tua libertà!

Queste le riflessioni che Mattia Pascal, ora nei panni di Adriano Meis, rivolge a se stesso accendendo i riflettori sul tema della libertà piuttosto che su quello dell’identità.

La libertà, un sostantivo, che pur essendo astratto, si concretizza in una miriade di significati: libertà di pensiero, di opinione, libertà personale, libertà sociale, ecc.

Libertà, un macro concetto che ha nella sua etimologia il seme di una giungla di liane selvatiche, incolte e ribelli.

Ma per Adriano Meis, cosa rappresenta la libertà? E soprattutto realizza una condizione positiva per la sua vita?

Lo stesso Pirandello per introdurre la sua significazione chiede aiuto al tempo. Ebbene, quando Mattia Pascal scopre di essere ritenuto morto dai “suoi cari” parenti e concittadini, allora coglie la notizia della sua morte come un’opportunità di rinascita e inizia la ricerca della libertà.

Luigi Pirandello
Luigi Pirandello. Foto di ignoto, in pubblico dominio

Trascorre un primo anno senza avere altre percezioni al di fuori dello svago e del divertimento. Non si accorge nemmeno della rigidità del clima invernale tanto si trovi immerso in quel vortice di riscatto.

[…] Ora questo secondo mi sorprendeva già un po’ stanco, come ho detto, del vagabondaggio e deliberato a impormi un freno. E mi accorgevo che… sì, c’era un po’ di nebbia, c’era; e faceva freddo; m’accorgevo che per quanto il mio animo si opponesse a prender qualità dal colore del tempo, pur ne soffriva.

Miragno città immaginaria Liguria
Il fu Mattia Pascal, forestiere della vita, nasce e vive nel paese immaginario di Miragno, in Liguria. Immagine generata con DeepAI, licenza d’uso

Ma il secondo anno di libertà ha per lui un sapore e un colore nuovo, diverso, triste, malinconico, riflessivo. Adesso il freddo dell’inverno prova le sua membra e la sua libertà si trasforma in precarietà. La stessa precarietà del forestiere, di chi non ha una casa, di chi non ha punti di riferimento stabili, di chi si sposta di continuo cambiando abitudini, conoscenze, luoghi, di chi è avulso, di chi non ha radici.

La libertà di chi non ha nessuno che lo imprigiona e lo cristallizza nella trappola familiare e sociale diventa la precarietà di chi non ha nessuno che lo aspetta, di chi non ha un letto caldo, non ha degli oggetti cari e significanti. Già perché siamo noi ad attribuire alla cose un valore, legato a sensazioni e ricordi.

[…]Nell’oggetto, insomma, noi amiamo quel che vi mettiamo di noi, l’accordo, l’armonia che stabiliamo tra esso e noi, l’anima che esso acquista per noi soltanto e che è formata dai nostri ricordi.

L’essersi liberato da quella famiglia che mal sopportava, dalla suocera e la moglie, lo faceva sentire fortunato:

[…]La mia fortuna — dovevo convincermene — la mia fortuna consisteva appunto in questo: nell’essermi liberato della moglie, della suocera, dei debiti, delle afflizioni umilianti della mia prima vita. Ora, ero libero del tutto. Non mi bastava? Eh via, avevo ancora tutta una vita innanzi a me. Per il momento… chi sa quanti erano soli com’ero io!

Ma ben presto iniziava a rendersi conto che la stessa libertà tanto anelata e desiderata diventava ora sinonimo di solitudine.

E il tempo non è solo lo sfondo di questo suo sentirsi libero e sfrenato prima e solo ed estraneo dopo, diventa un compagno di viaggio introspettivo, fatto di desideri, di emozioni e poi di riflessioni, di aspettative disattese e deluse dalla sua arrendevolezza alla vita e al destino.

[…]M’ero spassato abbastanza, correndo di qua e di là: Adriano Meis aveva avuto in quell’anno la sua giovinezza spensierata; ora bisognava che diventasse uomo, si raccogliesse in sé, si formasse un abito di vita quieto e modesto. Oh, gli sarebbe stato facile, libero com’era e senz’obblighi di sorta!

L’amara scoperta dell’impossibilità di una nuova vita avviene a seguito delle complicazioni nella ricerca di una nuova identità.

[…] Ma una casa, una casa mia, tutta mia, avrei potuto più averla? I miei denari erano pochini… Ma una casettina modesta, di poche stanze? Piano: bisognava vedere, considerar bene prima, tante cose. Certo, libero, liberissimo, io potevo essere soltanto così, con la valigia in mano.

Per rincorrere la libertà aveva perso anche l’identità. Ne aveva una nuova, quella di Adriano Meis, un’altra maschera a cui non credeva neanche lui, una forma che aveva scelto solo per gli altri e che era risultata una finzione inutile per il suo scopo perché illegittima.

La libertà senza l’identità sembrava adesso svuotata di significato:

[…] Ma la vita, a considerarla così, da spettatore estraneo, mi pareva ora senza costrutto e senza scopo; mi sentivo sperduto tra quel rimescolìo di gente.

Adriano Meis o meglio Mattia Pascal realizza così di aver barattato la sua identità con la libertà di cui ora poteva godere soltanto divenendo un forestiere.

Il suo status però è ben diverso da quello degli altri: lui non è un semplice forestiere che può decidere di porre fine alla sua condizione di “fuggitivo” ritornando ad assumere una forma, una categoria, un nome. Lui è forestiere della vita, la vita che gli è stata portata via insieme al nome al momento della notizia della sua morte.

Forestiere di una vita che non gli appartiene più e forse gli è mai appartenuta nel profondo e che ora lo condanna al limbo della precarietà per sempre.

frontespizio della nuova edizione riveduta del libro di Luigi Pirandello, Il fu Mattia Pascal, edito da Fratelli Treves, Milano (1919)
frontespizio della nuova edizione riveduta del romanzo di Luigi Pirandello, Il fu Mattia Pascal, pubblicata da Fratelli Treves, Editori, Milano (1919). Foto da  Robarts – Università di Toronto, in pubblico dominio

Note:

Tutte le citazioni dal Capitolo IX de Il fu Mattia Pascal, Fratelli Treves, 1919 Milano.

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