L’utilità dell’inutile. Un manifesto contro la coercizione degli studi umanistici

Se è vero, come scrisse Marcel Proust ne Il tempo ritrovato (1927), che ogni lettore, quando legge, legge se stesso e che l’opera dello scrittore è soltanto uno strumento ottico offerto al lettore per permettergli di discernere quello che, senza il libro, non avrebbe forse visto in se stesso, non posso limitarmi a fornire qualche scialbo ed insipido parere su un libro altamente rivoluzionario, un libro capace di smuovere le coscienze e di alimentare il necessario dibattito sulla condizione degli studi umanistici al giorno d’oggi.

Marcel Proust, autore de Alla Ricerca del Tempo Perdutofoto (1900) di Otto Wegener in pubblico dominio

L’utilità dell’inutile di Nuccio Ordine, edito da Bompiani nel 2013, rappresenta un pamphlet apologetico, un manifesto volto alla difesa di studi considerati ormai un vano sfoggio di erudizione, privo di qualsiasi applicazione pratica. Introiettare un libro del genere, facendo esperienza della forte energia intellettuale del suo autore, significa permettere al magma di un pensiero libero ed urgente di operare al proprio interno. Il lettore è inevitabilmente costretto ad interpretare analiticamente il presente, prendendo atto, ancora una volta, di uno scenario rovinoso per l’incorruttibilità e la cosiddetta inservibilità del sapere.

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La copertina del saggio (qui nell’edizione 2020) di Nuccio Ordine, L’utilità dell’inutile. Manifesto, pubblicato da Bompiani nella collana PasSaggi

Un sapere che si definisca tale sfugge alla logica del profitto e rifiuta di essere inquadrato negli schemi osceni dell’utilitarismo. Monetizzare la cultura, volerne calcolare la rendita e promuoverne lo sfruttamento per guadagni immediati è quanto di più lontano dalla purezza della ricerca fine a sé stessa.
Il titolo dell’opera, ossimorico e volutamente provocatorio, denuncia una crisi profonda e quasi irreversibile, determinata dalla scelta di una precisa gerarchia valoriale, chiaramente plasmata sulla distorta percezione capitalistica del reale. A dettare legge è soltanto
ciò che serve e fa fare soldi. Un sapere svincolato da qualsivoglia pretesa economica è pertanto vituperato e declassato, immolato sull’altare del presunto giovamento materiale, ottenuto con tagli indiscriminati e illogici. La curiositas, che muove a perseguire il sapere per amore del sapere e non in vista di una qualche utilità, viene in tutti i modi dirottata verso strade ben tracciate ed arginate, così che nulla possa uscire dal solco. Una conoscenza merita di essere appresa soltanto se può essere contabilizzata. Sono chiaramente gli studi umanistici ad essere tiranneggiati e sottoposti al disprezzo di uno sguardo bieco, che reclama la superiorità dell’avere sull’essere, del fare sul sapere.

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Jean-Honoré Fragonard, Il Filosofo, dipinto conservato presso la Hamburger Kunsthalle (HK-777); foto di anagoria, in pubblico dominio

Nuccio Ordine, professore ordinario di Letteratura italiana presso l’Università della Calabria, riconosciuto a livello internazionale come uno dei massimi studiosi del Rinascimento e di Giordano Bruno, incentra il suo bestseller (venduto in ben trentadue Paesi) sulla pericolosa involuzione del panorama culturale odierno, che continua ad essere vessato da imperativi aziendalistici.

Alla stregua del filologo-centauro di nietzschiana memoria, l’autore esalta l’ineludibilità dei classici per forgiare la personalità individuale e per ottenere la padronanza degli strumenti di interpretazione della realtà. Soltanto lo studio e la fatica, richiesti dall’analisi attenta dei testi, portano ad una piena consapevolezza di sé e del mondo. I classici, gli inutilissimi classici, preludono e concorrono al raggiungimento dello status di uomini liberi e pensanti, individui consci del proprio passato e delle proprie radici.

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La copertina del saggio di Nuccio Ordine, Gli uomini non sono isole. I classici ci aiutano a vivere, pubblicato (2018) da La nave di Teseo nella collana le Onde

I classici sono portatori di un sapere millenario, stratificatosi nella nostra cultura e germogliato in altre dimensioni. È quindi necessario preservare i classici e la classicità dallo tsunami anticlassicista e antistorico, che si è abbattuto sul sistema scolastico. L’istruzione deve educare persone capaci di vivere democraticamente, ergendo a propria effigie le celebri parole della Meditation 17 di John Donne:

No man is an Island, intire of itselfe; every man is a piece of the Continent, a part of the main; if a Clod bee washed away by the Sea, Europe is the lesse, as well as if a Promontorie were, as well as if a Mannor of thy friends, or of thine owne were; Any Man’s death diminishes me, because I am involved in Mankind, And therefore never send to know for whom the bell tolls; It tolls for thee.

Nessun uomo è un’isola, intero in se stesso; ciascuno è un pezzo del continente, una parte dell’oceano. Se una zolla di terra viene portata via dal mare, l’Europa ne è diminuita, così come lo sarebbe un promontorio, così come lo sarebbe il castello di un tuo amico o il tuo stesso: la morte di qualsiasi uomo mi diminuisce, perché sono preso nell’umanità, e perciò non mandar mai a chiedere per chi suona la campana; essa suona per te.1

John Donne nell’incisione di William Marshall. Foto British Library in pubblico dominio

Questa negazione dell’uomo-isola, inno alla fratellanza universale, ci spinge a pretendere che la vera buona scuola, quella che forma cittadini responsabili e non carne da macello per tirocini non retribuiti, costruisca un mondo in cui nessuno possa restare coperto da una coltre di indifferenza. Vivere vuol dire essere partigiani diceva Gramsci in Odio gli indifferenti (1917), recuperando le parole di Friedrich Hebbel.

Non possono esistere i solamente uomini, gli estranei alla città. Chi vive veramente non può non essere cittadino, e parteggiare. Indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti. L’indifferenza è il peso morto della storia. È la palla di piombo per il novatore, è la materia inerte in cui affogano spesso gli entusiasmi più splendenti, è la palude che recinge la vecchia città e la difende meglio delle mura più salde, meglio dei petti dei suoi guerrieri, perché inghiottisce nei suoi gorghi limosi gli assalitori, e li decima e li scora e qualche volta li fa desistere dall’impresa eroica. L’indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera.2

Resta, contro l’iconoclastia dei classici, unici baluardi della memoria, l’eroismo di determinati docenti, chiamati all’insegnamento per vocazione e non per profitto o ripiego. Per capire e affrontare le sfide del presente, è necessaria una prognosi sistematica e paziente, che soltanto l’impegno può convalidare. Lo studio avvia verso la complessità del mondo, che non si piega a facili slogan o ad interpretazioni semplicistiche e banali. Accogliere in sé l’incessante obiezione del vivere salverà la società da un oscurantismo dilagante. L’anamnesi costante della coscienza storica restituirà la vaga speranza del venditore di almanacchi ad un sistema totalmente annichilito, che ha bisogno di recuperare la bellezza della gratuità. Esistono i saperi che, proprio in virtù della loro natura gratuita e disinteressata, possono avere un ruolo fondamentale nella coltivazione dello spirito e nella crescita civile e culturale dell’umanità, difendendola dal cancro dell’indifferenza. Utile è, dunque, tutto quello che aiuta a diventare migliori.

La professionalizzazione delle scuole e delle università, frequentate da professori-burocrati e studenti-clienti, mira alla creazione di una massa informe di consumatori passivi, facilmente controllabile e sfruttabile. Anni di riforme devastanti hanno portato a trasformare completamente l’ambiente scolastico e accademico. Occorre resistere con tutte le proprie forze, studiare il più possibile e lottare contro la ridicola parcellizzazione del sapere.
Nonostante le difficoltà, esistono ancora docenti fermamente convinti dell’importanza della propria missione, consapevoli del fatto che un buon professore, che sappia istillare nei ragazzi la passione, possa davvero cambiare la vita dei suoi studenti.
A tal proposito, basti ricordare la lettera che Albert Camus inviò a Louis Germain, il suo maestro, poche settimane dopo aver appreso la notizia della vittoria del Premio Nobel per la letteratura. Il maestro Germain, bravo e appassionato insegnante, spronò agli studi e alla scrittura un bambino povero, cresciuto senza padre e con una madre quasi sorda e analfabeta. Con parole straordinariamente commoventi, Camus esprime la sua gratitudine all’educatore che gli aveva offerto l’opportunità di essere ciò che era diventato:

Ho aspettato che si spegnesse il baccano che mi ha circondato in tutti questi giorni, prima di venire a parlarle con tutto il mio cuore. […] senza quella mano affettuosa che lei tese a quel bambino povero che io ero, senza il suo insegnamento e il suo esempio, non ci sarebbe stato nulla di tutto questo. Non sopravvaluto questo genere d’onore. Ma è almeno un’occasione per dirle che cosa lei è stato, e continua a essere, per me, e per assicurarle che i suoi sforzi, il suo lavoro e la sua generosità che lei ci metteva sono sempre vivi in uno dei suoi scolaretti che, nonostante l’età, non ha cessato di essere il suo riconoscente allievo. L’abbraccio con tutte le mie forze”.3

È necessario, oggi più che mai, il recupero del senso più profondo del termine educazione, che suggerisce una spinta verso l’esterno (exducere), stimolata da un contro-movimento che porta il soggetto ad emergere. Il processo educativo, a tutti i livelli, deve quindi essere lento e profondo, per potersi contrapporre alla frenesia dei tempi moderni. La filologia, ad esempio, nella sua accezione più alta, è un’educazione alla profondità:

essa insegna a leggere bene, cioè a leggere lentamente, in profondità, guardandosi avanti e indietro, non senza secondi fini lasciando porte aperte, con dita ed occhi delicati 4.

La filologia si nutre di passato per spalancare le porte sul presente e sul futuro. La cultura è la coscienza della nostra storicità e si alimenta di ricordo. Non sarà ozioso ripetere che chi non ricorda non vive, come affermava Giorgio Pasquali in Filologia e storia (1920). Vivere è far fronte agli interrogativi della propria epoca, che non possono essere risolti senza una riflessione pregnante e capillare.

È opportuno, però, sgombrare il campo da un equivoco di fondo: sottolineare l’importanza degli studi umanistici, liberandoli dall’infamia di inutilità di cui sono ingiustamente tacciati, non significa contrapporre questi ultimi alle discipline scientifiche. Secondo il professor Ordine, non si deve alimentare una polemica sterile, perché è necessaria la piena collaborazione e compenetrazione tra l’ambito umanistico e scientifico. Assieme agli umanisti, anche gli scienziati hanno giocato un ruolo fondamentale nella battaglia contro la dittatura del profitto, per difendere la libertà e la gratuità della conoscenza e della ricerca. Si auspica una nuova alfabetizzazione umanistica e scientifica, che riesca a colmare la grave carenza delle capacità di analisi ed interpretazione che vive il nostro tempo.

Abraham Flexner. Foto di W. M. Hollinger (da The World’s Work, 1910), in pubblico dominio

L’utilità dell’inutile, insieme di considerazioni collezionate nel corso di anni di insegnamento, riporta anche un saggio di Abraham Flexner. Nel 1937, il grande pedagogo americano lancia un monito al mondo accademico, sottolineando l’urgenza di fermare la deriva utilitaristica degli studi. Flexner esalta il valore della ricerca scientifica di base, animata dal semplice piacere della scoperta, denunciando un depauperamento della stessa a causa del sempre maggiore finanziamento della ricerca scientifica applicata. Le risorse si investono in ricerche che possano portare alla creazione di prodotti, senza considerare, però, che le più grandi scoperte sono state firmate da intellettuali che non avevano idea di quale utilità potessero avere le proprie ricerche. Senza i calcoli di Maxwell e Hertz, guidati soltanto da una inesauribile curiosità, Marconi non avrebbe inventato la radio. Senza gli inutili esperimenti al microscopio di Paul Ehrlich, non sarebbe nata la chemioterapia. Del resto, il discrimine tra una scienza puramente speculativa e disinteressata e una scienza orientata ad un fine era già ampiamente noto agli Antichi. Nel primo libro della Metafisica, Aristotele invoca la meraviglia come molla che scatena il desiderio di conoscere. La conoscenza, però, ha valore quando è ricercata per amore del puro sapere, non in vista delle cose che ne derivano:

se gli esseri umani ricercarono il sapere per fuggire l’ignoranza, è chiaro che perseguirono la scienza a causa del sapere e non in vista di qualche utilità” (982b)5.

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Raffaello Sanzio, La Scuola di Atene; al centro Platone e Aristotele. Affresco (1509-1511 circa), Musei Vaticani. Foto di Rafael in pubblico dominio

Le tante insicurezze che affastellano il presente lasciano il posto ad un’unica certezza: se permetteremo che il gratuito muoia e rinunceremo alla forza generatrice dell’inutile, se inseguiremo la chimera di un utile fallace e mortifero, produrremo una collettività malata e senza identità. Quando l’homo oeconomicus avrà definitivamente tradito la massima propter se ipsam appetenda sapientia (la sapienza deve essere raggiunta per se stessa), la desertificazione spirituale renderà impensabile il progresso dell’umanità.

Bibliografia:

Aristotele, Metafisica, [982b, 11-21], testo greco a fronte, traduzione, introduzione e note di Enrico Berti, Roma-Bari, Laterza, 2017, pp. 8-11.

A. Camus, Due lettere, in Il primo uomo, traduzione di Ettore Capriolo, Milano, Bompiani, 1994, p. 349.

J. Donne, Devotions upon Emergent Occasions, edited by Anthony Raspa, Montreal and London, Mc Gill-Queen’s University Press, 1975, p. 87.

J. Donne, Devozioni per occasioni di emergenza [XVII], a cura di Paola Colaiacomo, Roma, Editori Riuniti, 1994, p. 113.

A. Gramsci, Odio gli indifferenti, Milano, Chiarelettere, 2011, p. 3.

F. Nietzsche, Aurora. Pensieri sui pregiudizi morali [Prefazione, 5], nota introduttiva di Giorgio Colli, versione di Ferruccio Masini, Milano, Adelphi, 2001, p. 8.

M. C. Nussbaum, Not for Profit. Why Democracy Needs the Humanities, Princeton, Princeton University Press, 2010.

N. Ordine, Classici per la vita. Una piccola biblioteca ideale, Milano, La Nave di Teseo, 2016.

N. Ordine, Gli uomini non sono isole. I classici ci aiutano a vivere, Milano, La Nave di Teseo, 2018.

N. Ordine, L’utilità dell’inutile. Manifesto. Con un saggio di Abraham Flexner, Milano, Bompiani, 2013.

F. Ursini, Studi umanistici: perché salvarli, in «Atlante», Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 2015.

G. Pasquali, Filologia e storia, Firenze, Le Monnier, 1920.

Note:

1 Il passo in questione, ripreso da Devozioni per occasioni di emergenza di John Donne, è riportato in Gli uomini non sono isole. I classici ci aiutano a vivere (2018), pubblicato per La nave di Teseo da Nuccio Ordine. Il libro in questione, sulla scia de L’utilità dell’inutile, difende l’importanza dello studio dei classici, passando in rassegna, a tale scopo, stralci di opere fondamentali. La Meditation 17 di Donne, in particolare, è stata inserita dall’autore nelle pagine 188 e 189 e viene commentata alle pagine 190 e 191, senza contare l’importanza che riveste nell’Introduzione (pp. 15-19). Per maggiori dettagli su tutte le citazioni presenti nell’articolo, si rimanda alla bibliografia.

2 Per il commento del passo qui riportato, si rimanda a Gli uomini non sono isole. I classici ci aiutano a vivere (2018), pp. 214-215.

3 Per il commento del passo qui riportato, si rimanda a Gli uomini non sono isole. I classici ci aiutano a vivere (2018), pp. 146-147.

4 Per il commento del passo qui riportato (F. Nietzsche, Aurora. Pensieri sui pregiudizi morali [Prefazione, 5]), si rimanda a Gli uomini non sono isole. I classici ci aiutano a vivere (2018), pp. 260-261.

5 Per il commento del passo qui riportato, si rimanda a Gli uomini non sono isole. I classici ci aiutano a vivere (2018), pp. 118-119.

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