La fortuna del Greco, di Vincenzo Reale: i ricordi di un uomo
Eventi della grande storia intrecciati con le vicende della storia privata, uno spaccato del Sud che diventa anch’esso personaggio, un’epica storica contemporanea che celebra un uomo comune, ma “fortunato”. Questo è quanto Vincenzo Reale, insegnante di lingua italiana per gli stranieri, già autore alcuni racconti, ci propone, rimettendo penna proprio su uno di questi, La fortuna del Greco, per ampliarlo e farne il suo romanzo d’esordio, uscito lo scorso gennaio per Rubettino editore.
A partire dai ricordi del nonno, Reale costruisce – o ricostruisce– una trama ben più grande e che abbraccia tutto un mondo, quello del Sud di metà Novecento, che esiste e resiste con le sue tradizioni, le sue convenzioni e i suoi iconici personaggi, tipici di un luogo quasi fuori dal mondo. Carafa Nuova, una città sull’Aspromonte, la cui esistenza sembra esser nota soltanto ai suoi stessi e pochi abitanti è, infatti, il teatro principale delle vicende. Una città fantasma, che ha in sé tutti gli elementi di un microcosmo a sé stante, rievocato dall’autore con vivide atmosfere di campagna e di montagna, legate ad attività come l’allevamento e la cura della famiglia, ma anche una comunità in cui le donne caricano secchi d’acqua e legname in spalla, parlano con serpenti o Sante, tradiscono o subiscono in silenzio le violenze di cui tutto il paese sa ma tace. Tutti si conoscono, tutti sanno, ma nessuno si conosce e nessuno sa.
“[…] Il nonno e il Tozzolo erano cresciuti velocemente, perché per i poveri non c’era tempo da perdere. Era una questione di priorità. La priorità alla fame. I grandi passavano le giornate al lavoro: gli uomini a pascolare il bestiame, a raccogliere il carbone, a zappare; le donne alla fiumara a lavare i panni, a raccogliere i frutti della terra o la legna per il fuoco del falò serale, dove le famiglie si riunivano e si raccontavano le storie prima di andare a dormire. Le giornate erano lunghe e calde. Alcune sembravano non finire mai, e quando finivano sembravano essere durante un’eternità. […] In quegli anni, tra quelle montagne, i giovani erano liberi di scegliere tra il bene e il male. Con un po’ di fortuna, facevano le scelte giuste. Con la frustrazione quelle sbagliate.”1
È in tale contesto che, rivendicando fin dalle prime righe la propria identità, Antonio il Greco costruisce sé stesso mattone dopo mattone, proprio come farà con la sua stessa casa, un sogno divenuto realtà dopo anni di duro lavoro. Spettatore e testimone di un secolo centrale della storia mondiale, il nonno di Vincenzo Reale vive quasi cent’anni di cambiamenti in cui gli eventi della storia mondiale si intrecciano senza soluzione di continuità con racconti popolari, personaggi di Carafa Nuova e storie personali e collettive.
Si celebra, così, la riscoperta di una vita condivisa solo in parte, la consacrazione a eroe di un uomo che per tanti anni è stato soltanto nonno. Prima, però, è stato anche altro e, con questo racconto, Vincenzo Reale intende proprio ricordare, ancor prima che suo nonno, Antonio il Greco, così chiamato per quelle caratteristiche fisiche e di attitudine che lo accomunano al bronzo di Riace più “anziano”, ma anche Antonio il fortunato, per via dei tragici eventi ai quali è scampato e ancora Antonio il cugino del Tozzolo, in virtù del profondo legame di amicizia che ha unito i due personaggi per tutta la vita; infine, Antonio il muratore, che ha fatto del proprio mestiere il senso di tutta una vita.
Tutto ciò che Antonio vive, tanto in compagnia dell’omonimo cugino quanto da solo o con altri familiari, si carica di leggendarietà: le peripezie affrontate da giovane per combattere la fame, i giorni di lavoro per tirare a campare lontani da casa, il bombardamento di Napoli, il ritorno in patria per lo sbarco degli alleati, la costruzione di una casa e di una famiglia, l’ultimo saluto a una terra le cui radici non si possono e non si potranno mai dimenticare.
“Nelle pupille del nonno, sotto le palpebre stanche, ritornavano la grazia e il fascino di una vita passata, e ora si riversavano sul suo volto come un temporale, come una pioggia che lava via i difetti del tempo”.2
Dunque, l’operazione che Reale compie è a tutti gli effetti consegnare ai posteri il ricordo dell’esistenza di un uomo esemplare in una vera e propria epica contemporanea, che celebra un eroe vissuto a cavallo di un secolo chiave della storia, attraversato da povertà, sopravvivenza, fame, faide locali, superstizione, pregiudizi, convenzioni sociali, fortuna e forse destino.
Un esordio, dunque, che non ha nulla di dilettantistico, ma che pare il miglior frutto che potesse venir fuori da dieci anni di lavoro. Una penna, quella di Vincenzo Reale, che sa evocare immagini, suoni e parole con precisione, creare climax di progressiva intensità e scavare a fondo e con sensibilità nelle emozioni degli uomini e di una cultura intera, evidenziando una percezione dell’esistenza con cui prima o poi ognuno di noi si ritrova a far i conti.
Note:
1 V. Reale, La fortuna del Greco, Rubettino Editore, p. 17.
2 Ivi, p. 14.