POETI A ROMA.

RESI SUPERBI DALL’AMICIZIA

a cura di Giuseppe Garrera e Igor Patruno

dalla collezione privata di Giuseppe Garrera

WEGIL

Largo Ascianghi 5, Trastevere – Roma

dal 30 marzo al 23 giugno 2019

Inaugurazione 29 marzo ore 18.30

Pier Paolo Pasolini, Attilio Bertolucci, Giorgio Caproni, Sandro Penna, Giuseppe Ungaretti, Alberto Moravia, Giorgio Bassani, Carlo Emilio Gadda, Anna Maria Ortese, Elsa Morante, Amelia Rosselli, Natalia Ginzburg, Alfonso Gatto, Dacia Maraini, Enzo Siciliano, Dario Bellezza, Renzo Paris, solo per citarne alcuni.

La mostra “Poeti a Roma. Resi superbi dall’amicizia”, promossa dalla Regione Lazio, organizzata da AGCI Lazio in collaborazione con LAZIOcrea e aperta al pubblico dal 30 marzo al 23 giugno 2019, raccoglie oltre 250 fotografie originali che ritraggono questi scrittori e poeti per le vie della capitale, durante perlustrazioni, serate di presentazione, cene, feste in casa, fino a giungere al ricordo della morte di Pier Paolo Pasolini all’Idroscalo di Ostia, con scatti di Antonio Sansone, Tazio Secchiaroli, Rodrigo Pais, Dario Bellini, Guglielmo Coluzzi, Francesco Maria Crispolti, Jerry Bauer, Ezio Vitale,  Alberto Durazzi ecc.. Inoltre saranno esposti prime edizioni, inserti, riviste e rare incisioni discografiche.

L’esposizione, a cura di Giuseppe Garrera e Igor Patruno, è il racconto di un’intera stagione, di un momento incantato della città di Roma, tra gli anni ’60 e ’70, quando poeti e scrittori, felici e desiderosi di creare, costituirono una sorta di comunità d’amicizia.

Attraverso centinaia di foto e documenti in mostra vengono narrati progetti, pubblicazioni, aiuti e scambi di ammirazione reciproca, e, soprattutto, il beato scorribandare per la città di Roma di poeti insuperabili e che della poesia fecero vita (sono Penna e Pasolini a indicare a tutti la polvere e il sole delle strade di Roma). Soprattutto le fotografie, molte inedite, restituiscono la traccia luminosa e viva di questa stagione straordinaria e la forza e lo splendore di legami unici. 

Un omaggio, che vede il fiorire, anche solo per un momento, di una civiltà, con al centro la grazia di Pier Paolo Pasolini, la lucidità di Alberto Moravia, la generosità di Attilio Bertolucci, le alte visioni di Amelia Rosselli, Anna Maria Ortese ed Elsa Morante, e la lezione di felicità, irraggiungibile, di Sandro Penna.

Un momento esemplare di esistenze poetiche.

“La violenza, l’intolleranza, l’ottusità del mondo – dichiarano i curatori della mostra – sanciranno la fine di questa avventura (l’esposizione si ferma al 1975). L’uccisione di Pasolini, il massacro del suo corpo, in questa prospettiva, assumeranno il valore di una precisa presa di posizione, di un rancore e di una insofferenza del mondo ad ogni felicità e vita diverse. Il mondo certe cose non le tollera. L’avventura poetica è destinata al lutto, e ad una parabola catastrofica d’amicizia e di felicità, per far più forte una società e le sue certe certezze”.

L’esposizione sarà accompagnata da incontri, dibattiti, proiezioni, approfondimenti con protagonisti ed esperti di quella stagione.

Poeti a Roma. Resi superbi dall'amicizia mostre Roma

Appuntamenti in programma:

29 marzo ore 18.30
TRA IL DISPREZZO E LA NOIA. LA ROMA DI ALBERTO MORAVIA
Modera Igor Patruno
Intervengono Dacia MarainiElisabetta Mondello e Renzo Paris.

6 maggio ore 18,30

Una immensa rete di relazioni umane. I primi anni di Pier Paolo Pasolini a Roma

Modera Stefano Gallerani

Intervengono Filippo La Porta, Andrea Cortellessa, Renzo Paris

12 giugno ore 18,30

Tre donne nella Roma degli anni ’60 e ’70. ELSA MORANTE, AMELIA ROSSELLI E ANNA MARIA ORTESE

Modera Giuseppe Garrera

Intervengono Adelia Battista, Maria Rosa Cutrufelli, Sandra Petrignani

Interviste

16 aprile ore 18,30

Andrea Di Consoli intervista Franco Cordelli

Paolo Di Paolo intervista Emanuele Trevi

Fabrizio Ottaviani intervista Edoardo Albinati

15 maggio ore 18,30

Andrea Di Consoli intervista Anna Folli

Gilda Policastro intervista Walter Siti

 

SCHEDA INFO MOSTRA

Titolo mostra Poeti a Roma. Resi superbi dall’amicizia

Dove WEGIL, Largo Ascianghi 5
Trastevere, Roma

Inaugurazione 29 marzo ore 18.30

Apertura al pubblico dal 30 marzo al 23 giugno 2019 ore 10 – 19
da lunedì a domenica
24 e 31 dicembre ore 10 – 18
25 dicembre e 1 gennaio chiuso

Biglietto Intero 6 euro; ridotto 3 euro; gratuito per le categorie previste dalla tariffazione vigente

Gratuito per i possessori di LAZIO YOUth CARD che offre opportunità e agevolazioni agli under 30 residenti o domiciliati nella Regione Lazio

Info www.wegil.it; info@wegil.it
tel. 334 6841506 (da lun a dom ore 10 -19)
Facebook /WEGILTrastevere
Instagram/WEGIL
Twitter/wegiltrastevere

Ente promotore Regione Lazio

Organizzazione LAZIOcrea

A cura di Giuseppe Garrera e Igor Patruno

———————————————————————————————————————————–

IL PERCORSO DELLA MOSTRA

Il percorso temporale della mostra “Poeti a Roma. Resi superbi dall’amicizia”, inizia con l’arrivo a Roma, nel 1950, di Pier Paolo Pasolini da Casarsa nel Friuli e termina con il funerale e la traslazione del corpo di Pier Paolo Pasolini a Casarsa il 6 novembre 1975 (quest’ultimo atto documentato dalle fotografie eccezionali di Bellini, esposte nella mostra).

Nel mezzo gli attraversamenti di Roma, la nascita delle amicizie e il consolidarsi di una comunità che si riconosce nell’amor di poesia: l’attività culturale straordinaria di Bassani e di Attilio Bertolucci; la presenza di Carlo Emilio Gadda e di Giorgio Caproni; Moravia come punto di riferimento, e la rivista “Nuovi Argomenti”, la scoperta di Amelia Rosselli, il ripristino del mito assoluto della poesia di Sandro Penna proprio grazie alla sollecitudine di Amelia Rosselli e Pasolini; l’apparizione di Anna Maria Ortese, la sua vittoria allo Strega grazie a Moravia, l’ammirazione di Pasolini e Gadda per lei; e poi Lorenza Mazzetti, ma anche i giovani da Dario Bellezza a Vincenzo Cerami e un giovanissimo Bernardo Bertolucci; l’operato straordinario di Enzo Siciliano e Laura Betti (in mostra un grande e dovuto omaggio a Laura Betti), ecc.

Il percorso è soprattutto fotografico, con molti scatti inediti, e che hanno come tema ricorrente Roma (sequenza del ’57 e del ’60 di Pier Paolo Pasolini per le borgate di Roma e a Trastevere, sequenza di Carlo Emilio Gadda per Roma da piazza del Popolo a Villa Borghese, sequenza di Sandro Penna al Bar Rosati che “canta”, solo per citare alcuni nuclei spettacolari di foto), ma anche le relazioni tra poeti, gli incontri.

In realtà gli scatti, in virtù dell’occhio insonne della macchina fotografica, colgono gesti, sorrisi, abbracci, felicità, solitudini, più eloquentemente di qualsiasi altra testimonianza (in una sequenza fotografica è impressionante l’infatuazione di Carlo Emilio Gadda per Anna Maria Ortese; così come c’è uno scatto in cui Pasolini entra in una sala e Bernardo Bertolucci, che lo vede, si apre letteralmente in un sorriso infinito; o ancora il doloroso declino fisico di Anna Maria Ortese, splendida “gitana”, nell’arco di pochi anni spaventata e smarrita, bisognosa di soccorso). Ogni foto racconta, rivela, dice, non da ultimo le foto del corpo massacrato di Pasolini, che abbiamo visto sorridere, parlare, tessere passioni, con vitalità commovente nel percorso espositivo. La mostra dunque invita i visitatori anche a “leggere” e “scoprire” la forza rivelatrice della camera oscura, e ad appropriarsi, in alcuni momenti privilegiati, il tempo, i corpi e i momenti autentici che vi sono restati impressi.

———————————————————————————————————————————–

POETI A ROMA. RESI SUPERBI DALL’AMICIZIA”

PERCORSO NARRATIVO

PIER PAOLO PASOLINI

All’alba del 28 gennaio 1950 Pier Paolo Pasolini giunge a Roma, insieme con la madre Susanna, avendo lasciato precipitosamente Casarsa.

«Tu sapessi che cosa è Roma!» – scrive già due anni dopo all’amico Giacinto Spagnoletti – «Tutta vizio e sole, croste e luce: un popolo invasato dalla gioia di vivere, dall’esibizionismo e dalla sensualità contagiosa, che riempie le periferie. Sono perduto qui in mezzo»

GIORGIO CAPRONI

Dal 1951-1952 Giorgio Caproni insegna alla scuola elementare “Francesco Crispi” e incontra per le strade di Monteverde Attilio Bertolucci e Pier Paolo Pasolini.

Caproni li ha conosciuti a casa del poeta Carlo Betocchi, in via Soana al Tuscolano, (Caproni e Betocchi stanno progettando un’antologia di poesia per le scuole elementari che non vedrà mai la luce).

Con Pasolini si vedono quasi tutti i giorni dopo che Pasolini va ad abitare a via Fonteiana 86, nello stesso palazzo dove abita Gadda. Bertolucci è in via Carini 45. Caproni, Gadda, Bertolucci e Pasolini sono a pochi metri l’uno dall’altro. Dal 1959 al 1963 anche Pasolini va ad abitare in via Carini 45, sotto all’appartamento di Bertolucci, e nel 1968 Caproni si sposta di pochi metri in via Pio Foà 49 sempre a Monteverde e nel 1970 al civico 28 della stessa via.

«Povero Pier Paolo, insegnava anche lui, era allampanato e poverissimo. Arrivava con un biglietto del tram in mano, guardava che numero aveva, sperava che gli avrebbe portato fortuna… Abbiamo fatto insieme tante passeggiate, parlavamo anche di poeti, ma senza dir male degli altri […] Camminavamo in silenzio, magari per delle ore. […] Facevamo lunghissime passeggiate da Ponte Mammolo a Viale Quattro Venti senza dire una parola. La sua miseria era spaventosa ed io avevo intuito la grandissima intelligenza di quest’uomo timidissimo. Gli presentai Attilio Bertolucci che gli fece conoscere Penna e Moravia e di lì prese il via»

«Mi telefonava, chiedeva un lavoro, andavo a trovarlo. Viveva con la madre Susanna dalle parti di Rebibbia, una casa né urbana né rurale, un piano terra di borgata con l’unico vantaggio di un po’ di sole. Lì la fame, anni durissimi. Chiacchierando a piedi attraverso Pietralata, la via Tiburtina e il Verano si arrivava a piazza di Spagna per il caffè. A Roma fui il primo a conoscerlo. Più tardi qualche grande estimatore: Gadda, Bertolucci, Moravia, Bassani, poi Penna, Volponi. Ricordo le cene romane e quelle primavere odorose di pini, fuori porta, e lui timido e impacciato, cerimonioso, che si tirava sempre indietro. Poi nel ’54 la prima casa decente, in via Fonteiana, a Roma, e poi a via Carini nel palazzo di Attilio Bertolucci»

ATTILIO BERTOLUCCI

L’incontro tra Attilio Bertolucci e Pier Paolo Pasolini avviene, stando a quanto racconta lo stesso Bertolucci, nella casa di via del Tritone, grazie al comune amico Bassani. 

«[…] un giorno Giorgio Bassani mi portò al quinto piano della casa di via del Tritone dove allora provvisoriamente abitavo un giovane dai tratti somatici incisi, l’asciutto corpo di sportivo coperto da un maglione di lana ruvida, di tipo vagamente finlandese, con figure di cervi e di renne. Il giovane senza quasi parlare mi passò un ritaglio di giornale sul quale era stampata una recensione al mio libro, molto generosa. L’articolo era firmato Pier Paolo Pasolini, nome che alla presentazione di Bassani non avevo ben afferrato. Quando gli dissi che nel ’42 avevo letto Poesie a Casarsa, comprate da un noto librario antiquario di Parma più esperto di Bodoni che di poesia giovane, parve meravigliarsi moltissimo, non dico compiacersi. Da allora fra noi nacque una grande amicizia fatta di poche parole (forse per colpa di entrambi, più capaci di dialoghi, anche approfonditi, ma a distanza, che di conversazioni fitte) e di grande – credo di poterlo dire – comprensione reciproca»

Bertolucci, insieme al comune amico Giorgio Caproni, è uno dei frequentatori più assidui della casa romana dei Pasolini. Così racconta lo stesso Pasolini a Gianfranco Contini in una lettera del 1953: 

«Ora vivo a Roma con mia madre e mio padre (in parte guarito dal suo male, o, perlomeno trattato – come si tratta una mina carica – secondo il suo male: adesso è quasi commovente come vive di me); lavoro come un negro, facendo scuola a Ciampino (20.000 mensili!) dalle sette del mattino alle tre del pomeriggio, e lavoro anche abbastanza alle mie cose, cioè soprattutto a un romanzo, Il Ferrobedò: lasciato un po’ in disparte, tradito, Penna, sono ora molto amico di Caproni e Bertolucci (li conosce di persona? sono quel che si dice due perle) e, benché con assai meno frequentazione, di Gadda […]»

Bertolucci, redattore di «Paragone» e direttore della collana «La Fenice» di Guanda, offre a Pasolini il primo contratto editoriale per una Antologia della poesia dialettale del Novecento, uscita nel dicembre del 1952. È il primo lavoro editoriale di Pasolini, riconosciuto da subito come fondamentale da Eugenio Montale. A questo contratto ne segue un altro, nel 1953, per un Canzoniere italiano, uscito nel 1955.

Ancora a Bertolucci, inoltre, si deve il contratto stipulato tra l’autore Pasolini e l’editore Garzanti. Racconta Attilio che in occasione dell’uscita di un’anticipazione del romanzo Ferrobedò (il futuro Ragazzi di vita) su «Paragone», di aver presentato l’amico Pier Paolo a Livio Garzanti, il quale propone a Pasolini di lasciare la scuola e di scrivere per la sua casa editrice:

«[…] facevo pigramente il talent-scout per Livio Garzanti e combinai un incontro del giovane scrittore col giovane editore, Pier Paolo, ci chiamavamo già per nome, abitava vicino a me a Monteverde Vecchio, ora, in una casa abbastanza spaziosa e borghese: insegnava, potevano contare sul suo mensile oltre che sulla pensione del padre, in famiglia. Era appena stato pubblicato su «Paragone» il suo racconto Ferrobedò e io lasciai una copia della rivista in albergo a Garzanti perché la leggesse. Garzanti, entusiasta, volle vedere Pasolini. Appena lo salutò, finse di snobbarlo; poi, all’improvviso, gli disse di smettere di insegnare, voleva il suo romanzo entro un anno, voleva tutti i suoi libri. Gli avrebbe dato intanto il doppio di quanto guadagnava alla “media” di Centocelle, che egli raggiungeva con chissà quali mezzi alzandosi prestissimo. Così Pier Paolo poté scrivere con un certo agio Ragazzi di vita»

Pasolini nell’aprile del 1954 si trasferisce a Monteverde Vecchio, in via Fonteiana 86, vicino alla casa dei Bertolucci e di Giorgio Caproni (come scrive lo stesso Piero Paolo a Franco Farolfi il 26 aprile dello stesso anno: «Come vedi ho cambiato casa, in un posto delizioso e dignitoso»

_________________________________________________________________________________

Nel giugno del 1959 Pasolini trasloca nel palazzo dei Bertolucci in via Giacinto Carini 45, dove rimane fino al marzo del 1963. Questi quattro anni che trascorre a fianco della famiglia Bertolucci, soprattutto, si rivelano fondamentali per la formazione e l’affermazione del futuro regista Bernardo, che nel 1955 ha quattordici anni.

Così ricorda lo stesso Bernardo Bertolucci:

«Tutto era cominciato poco dopo l’arrivo a Roma della mia famiglia, nei primi anni Cinquanta. Una domenica sul finire della primavera, dopo pranzo, vado ad aprire la porta della nostra porta di casa di via Carini 45. C’è un giovane con gli occhiali neri, il ciuffo un po’ malandro, il vestito scuro della festa, camicia bianca, cravatta. Con tono fermo e dolce mi dice che ha un appuntamento con mio padre. Qualcosa di soave nella sua voce, e soprattutto quello che mi sembra un travestimento fin troppo domenicale, mi mettono in stato di allarme. Mio padre sta riposando, chi è lei, mi chiamo Pasolini, vado a vedere. Richiudo, lasciandolo fuori sul pianerottolo. Mio padre si sta alzando, gli racconto tutto, lui dice di chiamarsi Pasolini ma secondo me è un ladro, l’ho chiuso fuori. Come ride mio padre! Pasolini è un bravissimo poeta, corri ad aprire la porta. Mostruosamente intimidito e con le guance infuocate lo feci entrare. Lui mi guardò con una tenerezza che nessuno avrebbe potuto mai raccontare. Lui sapeva, io no, che «non c’è disegno del carnefice che non sia suggerito dallo sguardo della vittima», come scrisse molti anni dopo. Quella notte sognai che dentro il giovane poeta si celava in realtà il cow-boy in nero del Cavaliere della valle solitaria: nel sogno Pasolini e Jack Palance si fondevano in un unico teschio lucente. Sarebbero passati molti anni prima che io capissi che in quel momento, su quelle scale, avevo evocato e materializzato l’essenza del mito, per affidargli l’essenza della mia anima e del mio cuore, ciecamente, come può permettersi solo un quattordicenne»

Pier Paolo Pasolini, A un ragazzo, poesia del 1958, uscita su “Botteghe oscure” e dedicata a Bernardo Bertolucci.

Col sorriso confuso di chi la timidezza
e l’acerbità sopporta con allegrezza,

vieni tra gli amici adulti e fieramente
umile, ardentemente muto, siedi attento

alle nostre ironie, alle nostre passioni.
Ad imitarci, e a esserci lontano, ti disponi,

vergognandoti quasi del tuo cuore festoso…
Ti piace, questo mondo! Non forse perché è nuovo,

ma perché esiste: per te, perché tu sia
nuovo testimone, dolce-contento al quia…

Rimani tra noi, discreto per pochi minuti
e, benché timido, parli, con i modi già acuti

dell’ilare, paterna e precoce saggezza.

Nel 1959 Pasolini va ad abitare in via Carini 45 sotto all’appartamento di Bertolucci, e ormai per Bernardo Bertolucci non è più un estraneo.

«Nel ’59 la famiglia Pasolini (Pier Paolo, Susanna e Graziella Chiarcossi) si trasferisce in via Carini 45. Noi abitiamo al quinto piano, loro al primo. Ricominciai a scrivere poesie per poter bussare alla porta di Pier Paolo e fargliele leggere. Appena ne avevo scritta una scendevo le scale a grandi balzi con il foglio in mano. Lui era rapidissimo nella lettura e nel giudizio. Il tutto non durava più di cinque minuti. Quegli incontri cominciai a chiamarli dentro di me momenti privilegiati. Ne uscì un mucchietto di poesie che Pier Paolo, tre anni dopo, mi incoraggiò a pubblicare. Chissà cosa pensò mio padre, degradato senza spiegazione a lettore numero due. Arriva la primavera del ’61 e Pasolini, incontrato sul portone, mi annuncia che dirigerà un film. Mi dici sempre che ti piace tanto il cinema, sarai il mio aiuto regista. Non ne sono capace, non ho mai fatto l’aiuto. Neanch’io ho mai fatto un film, tagliò corto»

Nel 1963 Pasolini lascia Monteverde, ma non per questo dismette il suo rapporto con i Bertolucci, come confermano tra l’altro le affettuose cartoline inviategli da Attilio, Ninetta e Giuseppe durante ogni estate. In una lettera del 1971 Bertolucci scrive: «Ti sono molto vicino, lo sono come quel giorno che Monteverde vecchia era così bella nel sole…» (lettera di Bertolucci a Pasolini del 28 giugno del 1971, Fondo Pasolini, IT ACGV PPP. I. 114 30). E poi, nel 1973: «ti leggo sempre: sei l’unico critico italiano» (cartolina postale di Bertolucci a Pasolini con timbro 15 luglio 1973, Fondo Pasolini, IT ACGV PPP. I. 114 31).

L’ultimo incontro con Attilio e Ninetta risale all’ottobre del 1975, nella torre di Chia, il rifugio di campagna di Pasolini. È l’ultima testimonianza di una relazione intima, familiare, interrotta solo dalla morte di uno dei due interlocutori.

Envoi di Bernardo Bertolucci, in memoria di Pier Paolo Pasolini.

Non so se le genziane viola sino al blu di Proserpina
fioriscono a Casarsa
ma certo di primo autunno sui monti
che ferisce e ventila il Tagliamento bambino.
Non un brindisi funebre
un mazzo di genziane miste a felci
vogliono le tue ossa – non le tue ceneri –
che ancora inquietano e consolano
noi in attesa
di ricordarti di dimenticarti.

 

LAURA BETTI – PIER PAOLO PASOLINI

«Ho conosciuto Pier Paolo nel ’57. Ci siamo subito fidanzati, poi sposati. Io sostenevo che sarei poi diventata il bastone della sua vecchiaia e — data la mia tendenza ai chili in più — lui sosteneva che sarei diventata la «palla» della sua vecchiaia.

Avevamo poche cose in comune: una disperata vitalità e una canzone dal titolo Amado mio che aveva cantato Rita Hayworth in Gilda. E un’altra cosa avevamo in comune: la disubbidienza.

Eravamo una coppia tipica con i regolari problemi del ruolo.

Io mi ero assunta – come tutte le donne – un compito duro, pesante, quasi impossibile. Lo facevo ridere. Non sapeva ridere quando l’ho conosciuto. Teneva le labbra sottili sbarrate, chiuse. Era un uomo braccato, respinto, schedato dalle destre e dalle sinistre come “diverso”. Era un uomo assetato d’amore. Farlo ridere non era dunque facile anche perché non c’era nulla da ridere. Il nero fascismo del “nuovo fascismo” era tutt’intorno a noi, alla nostra pazza isola di sole, di colori, di sapori; un’isola resa superba dalla poesia sparsa ovunque, a piene mani.

Una coppia tipica. E se lo dico è per disubbidire a chi ha deciso che una coppia tipica non possa essere anche insolita. Lo dico per disubbidire a chiunque scheda gli omosessuali, le donne, gli handicappati stabilendo una volta per tutte che deve esistere una normalità, «quella normalità», non tre, mille normalità. Una. Approvata dall’alto, da chi sa in che modo si deve allevare l’individuo di comodo; l’individuo lobotomizzato a cui nascondere qualsiasi stimolo rivelatore di mondi cosiddetti proibiti quali, per esempio, un’unica sessualità con mille sublimi ramificazioni più o meno selvagge (e beati coloro che si guadagnano il più che comprende tutto quanto offre la vita)»

NATALIA GINSBURG – ELSA MORANTE

Nasce nel 1948 l’intensa amicizia della Ginzburg con Elsa Morante, della quale cura l’iter redazionale del romanzo Menzogna e sortilegio, che esce quell’anno da Einaudi.

La Ginzburg torna a Roma nell’estate 1961. La famiglia va ad abitare in piazza in Campo Marzio 3, nei pressi del Pantheon, in un appartamento acquistato prima della partenza. «Quello che mi ci vuole è il divano di casa mia a Roma, e il poco spazio faticosamente strappato alle preoccupazioni quotidiane, lo scomodo, il rumore, le complicazioni domestiche, la possibilità continua d’essere interrotta mentre lavoro»

Versi di Elsa Morante dedicati a Sandro Penna nel volume di poesie Alibi (Longanesi 1958).

Tu sai che di te mi tormento, o fragile e santo

Mio pasto non consumato

ANNA MARIA ORTESE – ELSA MORANTE

Roma, 16 maggio 1965

Cara Elsa Morante,

un mese fa ho letto La Storia. Ho esitato a scriverLe, non sapendo se Lei ha di me stima umana. Penso che una lode possa valere solo in questo caso. La stima che io ho di Lei, persona umana, è molto alta. Come scrittore, solo poche Sue pagine di scura bellezza mi erano note. Alla fine ho letto La Storia, e sono andata avanti tutta la notte, e poi il giorno dopo, e poi un altro giorno. Ero sbalordita. Si aprivano dovunque i cieli della più grande tradizione italiana.

Con un dolore più vicino. Dopo il primo giorno mi è accaduto questo: non avevo più memoria di tutte le cose – anche immense – finora lette. Ancor meno mi ricordavo di me. Pensavo – seguendo la disperazione senza luce di soccorso della madre di Ida: qui siamo tutti – è detto tutto. È resa giustizia a tutti noi che fuggiamo. – Quando dico noi, dico un’umanità, semplicemente. La grazia e purezza del bambino! Ma Nino, poi, quando torna – morto nel pensiero della madre – e non vuole morire, è immenso. Qui tornava quella prima sensazione «è stata resa giustizia».

Voglio ricordare qua e là, di questo VIVENTE libro, la luce in cui si muove – colorando le strade, la gioia di Useppe. I piccoli interni familiari. La polvere povera, tutta voci. I rossi orrori che accadono all’uomo, di epoca in epoca.

Quando il libro è finito, resta il senso dell’epoca. Siamo un po’ cambiati. Della letteratura non ci ricordiamo, e questo è bene. Ma sì del dolore umano. E questo dolore, che è intramontabile, diviene l’ombra che va avanti, la musica funebre della gioia che finì, ma in eterno porrà quesiti alla ragione.

Non so di strutture e di altro. So di emozioni. Queste sole dicono che in un racconto, o in una letteratura, è passata la vita. E solo la vita – a umiliazione dei critici – è forma.

Mille auguri per il domani! Stia bene!

Sua Anna Maria Ortese

[P. S.] Non ho letto prima, perché volevo essere sola col mio giudizio. Non le do il mio indirizzo, perché spero che non mi ringrazi.

Siamo già tanto umiliati da immagine false e scambi di grazie o inchini. Il mio omaggio a Lei, almeno, sia libero.

__________________________________________________________________________

ANNA MARIA ORTESE

In una lettera, datata 30 marzo 1983, Grazia Livi informerà Anna Maria Ortese riguardo l’ammirazione di Pier Paolo Pasolini per il Porto di Toledo, che uscito nel maggio del 1975 Pasolini non avrà più il tempo di segnalare.

In una lettera da Milano del 5 giugno 1967 indirizzata a Giovanni Macchia, Anna Maria Ortese ringrazia Macchia e Alberto Moravia, avendo saputo con certezza che presenteranno il suo libro, Poveri e semplici, al premio Strega. Ne è commossa.

Gentilissimo Professor Macchia,

ho saputo con certezza solo da qualche giorno che lei e Alberto Moravia presenterete il mio libro allo Strega. Le scrivo per ringraziarla di tutto cuore.

Il libro è magro, e sgradito all’intera critica delle terze pagine. Non sarà agevole presentarlo. Di ciò mi scuso, e anche della mia presenza al Premio, che impone agli amici incarichi spesso malinconici.

Le scriverò di nuovo, gentilissimo Professore, quando questa stagione sarà passata. Ora mi limito a esprimerle la mia gratitudine, e la mia già antica ammirazione.

Mi creda devotamente,

Sua Anna Maria Ortese

ALBERTO MORAVIA – ELSA MORANTE

«Ho appreso la morte di Elsa a Bonn, in Germania, dove mi trovavo in viaggio per un’inchiesta giornalistica. Era pieno inverno, aveva nevicato moltissimo. Allora sono uscito, ho camminato a lungo nella neve. Ero commosso e cercavo di dissipare la commozione con il gelo della giornata invernale. Tornai a Roma in tempo per il funerale, andai a vedere la salma esposta nella bara. Il viso di Elsa negli ultimi anni si era trasformato nel senso di una vecchiaia un po’ funesta. Con la morte era tornato a un aspetto quasi infantile, sereno, forse sorridente. Nella corsa del carro funebre i fiori, probabilmente male assicurati alla corona, volarono via uno dopo l’altro e andarono a schiacciarsi sull’asfalto: quei fiori che volavano via tra il carro funebre di Elsa e la mia macchina mi fecero un’impressione delirante e simbolica: così era volata via Elsa dalla mia vita»

«Quando l’ho conosciuta – dirà nel 1971 allo scrittore e amico Enzo Siciliano – Elsa abitava in un piccolo appartamento molto carino a corso Umberto. Non aveva letteralmente di che mangiare. Viveva compilando tesi universitarie. Non era capace di fare altro: era molto accurata nelle ricerche e scriveva bene. Mi ricordo che fece una tesi su Albertazzi e un’altra su Lorenzino de’ Medici; me ne parlava continuamente. Quando ci siamo sposati, ho dovuto pagare le sue cambiali; neanche io avevo molti soldi e dovetti pensare a come guadagnarli» Siamo nel 1936.

Il 14 aprile 1941, Lunedì dell’Angelo, Moravia e Morante si sposano e si stabiliscono in un piccolo appartamento in via Sgambati, a Roma.

Nell’agosto 1948 Menzogna e Sortilegio vince il premio Viareggio. La coppia abbandona la casa degli scampati e acquista un attico nei pressi di Piazza del Popolo, in via dell’Oca, 27. Moravia fonda, nel 1953, la rivista Nuovi Argomenti, rivista letteraria trimestrale. Morante, dopo il successo di Menzogna e Sortilegio, pubblica nel 1957 L’isola di Arturo, che vince il Premio Strega.

Nel gennaio 1961 partono entrambi con l’amico Pasolini in India: saranno a Calcutta, Bombay e nel sud del Paese. Di questo viaggio ci restano due reportage: Un’idea dell’India di Moravia, e L’Odore dell’India di Pasolini.

Dopo 26 anni di matrimonio, nel 1962, si lasciano definitivamente. Moravia conosce Dacia Maraini, che sarà la sua compagna fino al 1976.

Amelia Rosselli, A Pier Paolo Pasolini

E posso trasfigurarti,
passarti ad un altro
sino a quell’altare
della Patria che tu chiamasti
puro…

E v’è danza e gioia e vino
stasera: – per chi non pranza
nelle stanze abbuiate
del Vaticano.

Faticavo: ancora impegnata
ad imparare a vivere, senonché
tu tutto tremolante, t’avvicinavi
ad indicarmi altra via.

Le tende sono tirate, il viola
dell’occhio è tondo, non è
triste, ma siccome pregavi
io chiusi la porta.

Non è entrata la cameriera;
è svenuta: rinvenendoti morto
s’assopì pallida.

S’assopì pazza, e sconvolta
nelle membra, radunata a sé
gli estremi.

Preferii dirlo ad altra infanzia
che non questo dondolarsi
su arsenali di parole!

Ma il resto tace: non odo suono
alcuno che non sia pace
mentre sul foglio trema la matita.

E arrossisco anch’io, di tanta esposizione
d’un nudo cadavere tramortito.

AMELIA ROSSELLI

Nel 1963 Pasolini presenta e pubblica sul numero 6 del “Il Menabò” ventiquattro poesie di Amelia Rosselli, è l’esordio.

«L’ho incontrato da Moravia insieme a una ventina di persone. Sudando freddo, mi sono avvicinata. Gli ho chiesto se potevo mostrargli un manoscritto di poesie. Il fatto che ci fosse stato l’avallo di Vittorini sarà servito, perché mi disse di sì. E lui stesso, dopo non so quanto tempo, mi telefonò entusiasta del libro, m’invitò a casa sua. La mia impressione di lui? Ottima, tutte le volte che l’ho visto, e non l’ho visto spesso. Molto riservato. Molto educatore»

«Sapeva tirar fuori il meglio da ogni persona. Poi mi sono messa a leggere la sua poesia»

Pier Paolo Pasolini, A Caproni

Anima armoniosa, perché muta e, perché scura, tersa:

se c’è qualcuno come te, la vita non è persa.

Giorgio Caproni, “Pasolini”

Quanto celeste, quanto

bianco, quanto

verdeazzurro vedo

nel tuo nome uno e trino.

Dopo aver rifiutato un pubblico commento sulla morte di Pier Paolo Pasolini, Caproni scrive:

Caro Pier Paolo.

Il bene che ci volevamo – lo sai – era puro.

E puro è il mio dolore.

Non voglio pubblicizzarlo.

Non voglio, per farmi bello,

fregiarmi della tua morte

come d’un fiore all’occhiello.

CARLO EMILIO GADDA

Gadda e Pasolini si conoscono nel 1953, e la loro amicizia dura fino al 1959, nella redazione di Radio Rai (Gadda a 57 anni aveva iniziato la carriera di giornalista e Pasolini era stato invitato da Giovan Battista Angioletti per una collaborazione). Più vecchio di 29 anni, distantissimo e oggetto di ammirazione (“Grandissimo cervello e cuore grandissimo”, “intero paesaggio della letteratura italiana”), diviene ospite abituale di casa Pasolini, mangiano insieme piatti di pasta preparati dalla madre di Pasolini (e Gadda nella sua impeccabile educazione sopporta per ore la conversazione del padre di Pier Paolo Pasolini). Per il resto, vanno in giro a sentire la parlata romana e gli odori delle cucine.

PIER PAOLO PASOLINI – AMELIA ROSSELLI – SANDRO PENNA


Il 31 ottobre 1968 Amelia Rosselli, accorata, scrive a Pasolini, per perorare la causa di Sandro Penna, e cioè fare in modo che si possa ristampare, dopo tanti anni, dal 1957, la sua raccolta di
Poesie. Solo Pier Paolo Pasolini può riuscire presso l’editore Garzanti in questa impresa, perché ascoltato e autorevole.
Per Amelia Rosselli ripubblicare le
Poesie di Penna è un’urgenza assoluta, il fatto che il suo libro sia introvabile è una catastrofe, un’assenza per il mondo.

Le risposte di Pasolini non ci sono pervenute, ma nella prima­vera del 1970 Garzanti ripubblica Tutte le poesie di Sandro Penna, un volume che non solo rimette in circolazione le Poesie dell’edizione 1957, ma contiene anche degli inediti. Questa nuova edizione, con un risvolto di Enzo Siciliano, contiene poi all’interno un “segnalibro”, con un breve, straordinario, testo di Pasolini, che attacca così:

«Io ho fatto un culto di Penna: e, come tutti i culti, esso mi dà il rimorso di non essere così forte e fedele da praticarlo degnamente»

31 ottobre 1968
Lungotevere Sanzio 5
00153 Roma

Caro Pier Paolo,

ti scrivo riguardo agli scritti di Sandro Penna, che ho conosciuto bene ultimamente, e che come tu saprai, non sta affatto bene credo da parecchio. Anzi ora non può uscire di casa, e addirittura non esce di letto – lo curano per disintossicarlo: e infatti credo che abbia molto abusato di pillole varie e sonniferi, da anni.

Mi ha espresso la sua preoccupazione per il libro “Poesie”, che non viene ristampato da Garzanti. Mi ha anche detto che nel passato Citati voleva occuparsi a fondo dei suoi scritti, ma che lui stesso per la sua pigrizia (o angoscia) non l’aiutò minimamente. Vorrebbe una ristampa di “Poesie”, senza però dover aggiungere altre poesie, o toglierne alcuna (questo invece era quel che suggeriva Bertolucci) […]. Penso che sei tu la persona che meglio può informarsi presso Garzanti (come tu sai io non sono più in buoni rapporti con la sua casa editrice). Quel che conta, trovo, è far sì che almeno “Poesie” venga ristampato: fu mal distribuito, ed è ora esaurito – è impossibile trovarne una copia da parecchio tempo.
[…]

ti ringrazio – con molti auguri

Amelia Rosselli

19 gennaio 1969
Lungotevere Sanzio 5
00153 – Roma

Carissimo Pier Paolo,

non riesco a trovare Attilio Bertolucci, per chiedergli del libro “Poesie” di Penna. Ho telefonato a casa tua, e parlato un momento con tua madre, che mi ha dato il tuo indirizzo.

Speravo proprio che tu potessi vedere Sandro Penna, quando venisti a Roma: gli dissi della tua lettera, e ne era più che felice. Ancora non sta bene, è stata la mia impressione parlandogli al telefono: è molto depresso, e che anche sfiduciato […]

Credo purtroppo che sia vero quello che egli mi dice riguardo a Garzanti, o chi opera per Garzanti. Cioè che il suo libro non viene ristampato apposta, o che si suggerisca di ristamparlo soltanto con aggiunte o modifiche che egli non vorrebbe apportare. Penso che egli (Penna) sia troppo stufo per occuparsene personalmente […]. Dunque tu che dici che puoi influenzare Garzanti, perché non aiutarlo a ristampare il libro “Poesie” (il più completo così com’è, della sua “produzione”) senza chiedergli sforzi eccessivi, dato che egli non sta bene? Non è giovane, e dice che ha attacchi d’angoscia. E lo sento stanco, per telefono.

Non riesco a trovare il suo libro da molti anni: tutte le librerie di Roma che ho visitato lo dicono esaurito (se è vero) […]. Questa lettera è privatissima spero, e da intendersi spero nel migliore dei modi possibili, se non nei migliori dei mondi!

auguri
.                                                                                                                   Amelia
.                                                                                                                 (Rosselli)

.

PIER PAOLO PASOLINI – GIORGIO BASSANI

Roma 3 febbraio 1950

Caro Bassani,

ricorderai forse che noi due ci siamo conosciuti a Firenze, dove siamo stati insieme non più di un quarto d’ora. Adesso approfitto di quel nostro fulmineo incontro per chiederti se tu vuoi che ci incontriamo ancora, magari un po’ più a lungo. Io sono sceso a Roma dal lontanissimo Friuli, e avrei veramente bisogno di qualche amico. Caproni l’unico che conoscevo qui si trova ora in una situazione grave 8saprai forse che sua madre è morente) e non voglio essergli di peso con la mia presenza che in fine, puzza sempre di letteratura. Sii sincero: se ti secca incamminarti per la strada sempre troppo piena di formule e di disagi di una nuova conoscenza, dimmelo; in caso contrario fammi sapere dove e quando ti posso trovare. Scusami tanto, caro Bassani, e ricevi i più cordiali saluti dal tuo

Pier Paolo Pasolini

Bassani introduce subito Pasolini nell’ambiente letterario romano e diventano amici. Cene in osteria da Pallotta a Ponte Milvio con omaggi però ai propri ricordi di Bologna («Sappi» scrive Pasolini a Leonetti nell’aprile del 1951 «che due volte al mese Bertolucci, Bassani, Frassineti e io ceniamo insieme in un ristorante bolognese, così per sfizio regionalistico»), partite a calcio a Villa Borghese. Bassani lo propone come bibliotecario alla principessa Caetani, ma Pasolini è troppo giovane. Accoglie testi nella rivista “Botteghe Oscure” che dirige, lo introduce, per collaborazioni alle sceneggiature, nel mondo del cinema (La donna del fiume di Soldati) con viaggi e sopralluoghi insieme.

«Ho tardato a risponderti» scrive Pasolini a Biagio Marin il 10 settembre 1954 «perché Bassani mi ha portato con sé, con la sua macchina, a fare un delizioso giro per l’Italia centrale. Firenze, Arezzo, Assisi, Perugia, Todi, Spoleto…sulle orme di Giotto e di Piero»

Bassani sarà la voce poetica nel film La Rabbia di Pasolini, e presterà la voce a Orson Welles nell’episodio de La ricotta,1963.

CARLO EMILIO GADDA

Giulio Nascimbeni: «Nell’estate del 1965, l’editore Einaudi pubblicò una ristampa del Giornale di guerra e prigionia di Carlo Emilio Gadda […] Enrico Emanuelli, che curava il supplemento del “Corriere della sera” chiamato Corriere Letterario, mi propose una piccola sfida: “Te la senti di strappare a Gadda, se non un’intervista, almeno qualche dichiarazione! Non è facile far parlare quell’orso»

Ancora Giulio Nascimbeni: «Torna la Cognizione di Gadda. Quell’ingegnere era un vero orso»

NATALIA GINSBURG – SANDRO PENNA

Natalia Ginsburg farà di tutto perché Sandro Penna ottenga uno stipendio da Garzanti, è lei a dargli una mano nella traduzione della Carmen di Mérimée (un lavoretto che gli può dare sostentamento), ed è di nuovo lei ad organizzare, nel 1974, una colletta per aiutarlo.

«Penso che qualche volta il premio Nobel per la letteratura l’hanno dato bene e qualche volta male. Quando l’hanno dato a Beckett l’hanno dato bene. Penso che esso dovrebbe essere attribuito secondo il criterio dell’importanza artistica, oppure morale e civile. Non sempre le due cose coincidono. Fra i morti, il Premio Nobel l’avrei dato a Marcel Proust, a Italo Svevo, a Junihiro Tanizaki, a Joseph Roth. Infine l’avrei dato al poeta italiano Sandro Penna, di recente scomparso»

«Non sapevo e non pensavo, quando lo conobbi, che egli fosse un grande poeta; l’idea della grandezza non la univo allora ai suoi versi, così come non univo allora alla sua persona l’idea della libertà. Lo trovavo, allora, soltanto strano e singolare, e mi stupiva che la sua poesia, che ammiravo e amavo, nascesse da quella persona singolare e strana che non mi sembrava dare grandi ricchezze di esperienza umana ma solo un amore maniaco per i suoi versi. Molto più tardi, compresi però che la grandezza della sua poesia, ignara e involontaria, aveva radici nella sua grande innocenza e nel suo modo candido e libero di esistere al mondo»

DARIO BELLEZZA

Com’eri intelligente, caro Pier Paolo,

com’eri strano e misterioso;

come ci hai lasciato qua

tutti orfani di un padre

che non volle mai essere padre

ma che lo era, negli atti,

e nelle parole, più padre di tutti,

più maestro.

A Pier Paolo, 1975

DARIO BELLEZZA

Nel 1968 esordisce con versi pubblicati sulla rivista “Nuovi Argomenti”, mandati in visione a Enzo Siciliano, e attraverso Siciliano entra in contatto con Alberto Moravia, Elsa Morante e Pasolini. Dal 1968 al 1971 diventa frequentatore della casa di Pasolini all’Eur, in via Eufrate 9, ricoprendo le mansioni di segretario per la corrispondenza e i manoscritti per film (è anche un modo, da parte di Pasolini, per aiutarlo e proteggerlo economicamente).

«Gli ho fatto da segretario, per tre anni, dal ’69 in poi. Prima non avevo mai avuto una lira, campavo con le ripetizioni, le traduzioni»

Nel 1970 pubblica il suo primo testo di narrativa L’innocenza, per la De Donato, con prefazione di Alberto Moravia.

Nel febbraio del 1971 pubblica il suo primo libro di poesie per Garzanti Invettive e licenze: il risvolto di copertina è firmato da Pier Paolo Pasolini.

Nel 1971 diviene anche amico di Amelia Rosselli e per un periodo condividono la stessa abitazione, tra scambio di libri, liti, e entusiasmi poetici. Poco dopo la pubblicazione di Invettive e licenze prende casa in via dei Pettinari, 75 nei pressi di Campo de’ fiori.

Con Elsa Morante il rapporto d’amicizia è lungo, tormentato, estremo. Per lei scrive due libri, Angelo e L’amore felice, le dedica un canzoniere.

Sempre nel 1971 incontra Anna Maria Ortese durante una cena dove sono presenti anche Albero Moravia e Dacia Maraini. Con la Ortese non solo si stabilirà una grande amicizia (e sconfinata ammirazione da parte del giovane poeta – Anna Maria Ortese ha cinquantasei anni e Bellezza venticinque) ma sarà impresa di Bellezza ripresentarla all’attenzione del mondo, riscoprirla, indicarne l’unicità assoluta, oltre che aiutarla anche economicamente con invii di denaro quando si traferirà a Rapallo, e fino a farle ottenere (1986) il sussidio della legge Bacchelli coinvolgendo intellettuali e letterati e grazie all’aiuto di Beppe Costa e Adele Cambria.

Dieci domande ad Anna Maria Ortese intervista pubblicata prima su “Nuovi Argomenti” (n.52-52 del1976) e poi riportata nella ristampa del tascabile L’iguana (1978) sempre a cura di Dario Bellezza sono un punto mirabile di questa storia.

«Forse ero troppo giovane, troppo incosciente. Li ho considerati subito e soltanto amici [Alberto Moravia, Elsa Morante, Sandro Penna, Pier Paolo Pasolini], non mi rendevo conto della loro grandezza»

RENZO PARIS

«[…] ho inseguito Pasolini nel portone della casa moraviana di via dell’Oca, ma senza fortuna. Mi è stato presentato da Enzo Siciliano solo nel 1966 (…) Avevo 22 anni, mentre Pasolini ne aveva il doppio. Ci siamo stretti la mano sul calar del sole. Colaboravo alla nuova serie di “Nuovi Argomenti”, di cui ero anche correttore di bozze»

«Pasolini era soprattutto un pedagogo. Mi ha consigliato subito, nei nostri primi incontri nella sua casa dell’Eur, di “dimenticare l’avanguardia”, se non volevo diventare un mostro… era contento della mia traduzione delle poesie di Corbière e Apollinaire e si incuriosì al mio romanzo Cani sciolti. Quel libro criticava il movimento del ’68 a caldo, proprio come aveva fatto lui. Comunque l’’eredità più preziosa che mi ha lasciato è stato il dattiloscritto di Affabulazione, il suo dramma più bello, con 600 versi cancellati riguardanti l’omosessualità del personaggio del padre. Lo conservo come una reliquia»

VINCENZO CERAMI

Vincenzo Cerami conosce Pasolini agli inizi degli anni Cinquanta come alunno nella scuola media “Petrarca” di Ciampino dove Pasolini è professore di Lettere.

«Avevo 12 anni quando ho incontrato per la prima volta Pasolini […] che allora avrà avuto 28 – 29 anni, sembrava un ragazzo come noi, vestiva come noi. Era povero come noi. Giocava a pallone meglio di noi…Quando passava dietro la cattedra si trasformava»

«Fu mio insegnante di Lettere a Ciampino, dal 1950 al 1953, lavorai con lui a Uccellacci e Uccellini e in altre occasioni feci il suo aiuto regista, sposai sua cugina. E comunque, in tutto, lui fu per me fondamentale»

«Non è facile per me dire così su due piedi che cosa ho imparato da Pasolini, ma la cosa più importante penso che sia la passione che mi ha trasmesso per qualcosa che era fuori di me. La passione per il mondo»

L’esordio letterario di Vincenzo Cerami sarà con il romanzo Un borghese piccolo piccolo uscito per Garzanti nel 1976, ma segnalato e indicato con passione già dal 1974, nel luglio del 1974, da Pier Paolo Pasolini in una lettera a Giovanni Raboni allora responsabile per la casa editrice.

SANDRO PENNA – CARLO EMILIO GADDA

«…io ho campato per anni a spese di Gadda. Gadda mi amava. “Ecco un poeta nuovo”, mi scrisse su una cartolina illustrata quando lesse il mio primo libro di poesie. E io ne approfittai. Appena lo vidi gli chiesi soldi. Anzi, a volte gli telefonavo, gli davo un appuntamento lui si aspettava che parlassimo di poesia. Invece tutto quello che gli dicevo era “Prestami dei soldi”»

DACIA MARAINI

«Provengo da una famiglia di scrittori. Iniziai a scrivere giovanissima, fondando presto una rivista. Quando incontrai Moravia avevo già la mia personalità di scrittrice. E poi Alberto non amava mettersi ei panni del mio maestro anche se all’inizio magari chiedevo qualcosa, ponevo i classici dubbi giovanili»

Pasolini, un grande amico: «Forse l’amicizia è la cosa più bella che ci sia al mondo, ancor più dell’amore che tra l’altro tende a isolare: due innamorati si isolano, l’amicizia invece è scambio. Credo nell’amicizia più di ogni altra cosa […]. L’amicizia può durare una vita intera, esula dalla gelosia e non pretende di essere univoca, non pretende la fedeltà, la quale è insopportabile se imposta, mentre è bella quando è spontanea»

Nel 1962 pubblica il suo primo romanzo, La vacanza presso la casa editrice Lerici, disposta a pubblicarlo a patto che ci sia una presentazione di Alberto Moravia. Moravia accetta e scrive una presentazione, in forma di lettera indirizzata alla giovane autrice, in cui individua tutta la forza e novità del lavoro:

«Dunque tu sei soprattutto una scrittrice realista. Cosa intendo per realista? Intendo lo scrittore che ama la realtà per quello che è e non per quello che dovrebbe essere, cioè soltanto e appunto perché è realtà; e che non si ritrae di fronte ad alcun aspetto per quanto imprevisto di questa realtà»

———————————————————————————————————————————–

Sul titolo della mostra

Con Poeti a Roma non si intende tanto il fatto che si tratterà di “poeti di professione” a Roma, perché la mostra comprende anche altrettanti scrittori e romanzieri, quanto del loro “vivere poeticamente”, e cioè dell’essere stati legati ad un modello radicale e assoluto, per fedeltà e dedizione, di cura e di comprensione per la parola e per le cose del mondo. In breve, il titolo è mutuato dall’espressione di Hölderlin riferita a coloro che “abitano poeticamente su questa terra”. La mostra riguarda un gruppo di amici che hanno abitato poeticamente questa terra.

Tre le ragioni personali di questa esposizione

La prima ragione è l’idolatria: “vedere i propri idoli”. Io, come lettore, appartengo ad una generazione che ha fatto, nella giovinezza, di Pier Paolo Pasolini, o Sandro Penna, o Anna Maria Ortese, o Carlo Emilio Gadda “oggetti” di culto e venerazione insieme alla città di Roma. Quando sono arrivato a Roma mi sono imbattuto nelle loro immagini, nelle tracce del loro passaggio vivente, proprio come succede ai pellegrini sui luoghi di devozione. Ho potuto vedere le strade, le abitazioni, incontrare discepoli, ma soprattutto recuperare e salvare immagini, fotografie, lampi: appunto “vederli”. Questa mostra riguarda il corpo di poeti e scrittori amati. Dunque la mostra è una loro apparizione, come li potessi vedere, e qui c’è tutta l’ossessione e la pratica di resurrezione e feticismo di un collezionista. Nella Divina commedia, ogni volta che Dante ha un incontro con un amico o un’anima che ammira, il primo istinto è di abbracciarli, come lo hanno, l’istinto di abbracciarsi, le anime tra loro quando si riconoscono per devozione, dimenticandosi tutte per un attimo che sono dei morti e impalpabili.

La seconda ragione di questa esposizione è narrare i legami di amicizia tra poeti e scrittori in quella Roma degli anni ’60 e ’70 che li ha visti fiorire e incontrarsi e costituire una sorta di comunità: il momento prima e fuori da ogni maldicenza, quando ci si legge e ci si entusiasma, l’esercizio difficilissimo dell’ammirazione su cui si fonda una civiltà. Ad esempio è impressionante la generosità di Attilio Bertolucci, che come consulente nella Garzanti, fa pubblicare raccolte straordinarie di altri colleghi, da Pasolini a Rosselli, da Caproni a Bellezza e a Penna, oppure l’attenzione di Giorgio Bassani che, con la rivista “Botteghe oscure” o con la sua attività in Rai, aiuta e segnala amici che ammira, o di Moravia e Pasolini che, con la rivista “Nuovi argomenti”, accolgono esordienti e incoraggiano giovani, se ne fanno paladini, e non si vergognano di sostenerli esponendosi in prima persona.

Terza ragione, la più semplice: la città di Roma, l’attraversarla in continuazione, e i ristoranti, e le vie, e le piazze, e le notti, e la gioia che sembra dare a tutti questi poeti (quasi nessuno di Roma ma quasi tutti provenienti da fuori): una città in cui si ritrovano e che pare educarli alla larghezza e, soprattutto (pensiamo alle esperienze di Gadda, Pasolini e Penna), all’umanità e ai sensi.

Giuseppe Garrera

Giuseppe Garrera è storico dell’arte, collezionista, coordinatore scientifico del Master in Economia e Management dell’Arte e dei Beni Culturali della Business School del Sole 24 ore.

———————————————————————————————————————————–

Igor Patruno sulla mostra

In un ventennio, quello a cavallo del secondo conflitto mondiale, giungono nella Roma di Alberto Moravia e Elsa Morante, poeti, scrittori, artisti, richiamati dal desiderio di abitare la città eterna, spinti dalla ricerca di opportunità, da motivazioni personali, dall’amor di poesia che la città ispira e amplifica.

Prima della guerra si erano stabiliti a Roma Giorgio Bassani, Vitaliano Brancati, Giorgio Caproni, Libero de Libero, Aldo Palazzeschi, Goffredo Petrassi e Sandro Penna. Carlo Emilio Gadda e Pier Paolo Pasolini arrivano nel 1950; Attilio Bertolucci si trasferisce l’anno successivo; nel 1953 giungono Ennio Flaiano e Giorgio Manganelli; Amelia Rosselli, nel 1954, grazie al sostegno finanziario della nonna, acquista un appartamento sul Lungotevere Raffaello Sanzio; poco dopo arriverà Laura Betti; nel 1957 giunge nella capitale, per stabilirvisi, il poeta Alfonso Gatto; nel 1958 è la volta di Anna Maria Ortese, che resterà per un anno, ma soggiornerà a Roma tante altre volte; Aldo Rosselli, il cugino di Amelia, si trasferirà qualche anno dopo e la sua casa a piazza in Piscinula diventerà luogo di incontro di letterati; poi arriverà Goffredo Parise, che si stabilirà vicino all’abitazione di Gadda; tornerà a Roma anche Miriam Mafai, e Natalia Ginzburg per tutta la sua vita continuerà a passare e a soggiornare nella città eterna.

Non mancano gli artisti: uno dopo l’altro giungono a Roma Mirko Basaldella, Afro Basaldella, Pericle Fazzini, Renzo Vespignani, Orfeo Tamburi, Cy Twombly e tantissimi altri.

Tra gli anni Cinquanta e Settanta, sui fondali di una Roma visivamente più buia di quella che conosciamo oggi, ma risplendente di vivacità culturale, di impegno politico, percorsa da una umanità ancora capace di condividere speranze e sogni, dolori e rimpianti, passioni e amori, si stringono – tra gli intellettuali che la abitano – legami indissolubili di amicizia, solidarietà concrete, capacità progettuali.

Spesso, attraversando la città di oggi, mi chiedo dove quel mondo sia finito e talvolta penso persino che si possa dubitare che “sia stato”. La mostra “Poeti a Roma. Resi superbi dall’amicizia”, costruita come un percorso visuale tra le esistenze di alcuni dei maggiori intellettuali del ‘900, che Roma hanno abitato e amato, restituirà ai visitatori la testimonianza del loro passaggio, ma anche la consapevolezza di una presenza ancora rintracciabile.

Non si tratta solo di ricordare un tempo che è “passato”, né di rimembrarne i protagonisti, perché ricordare non basta. In mostra, oltre alle fotografie, c’è una selezione di libri. I libri, le lettere, le parole scritte, rimandano all’eredità che è stata lasciata; la loro “esposizione” è un invito a confrontarsi con il pensiero che il “vivere poeticamente” ha prodotto. Andando oltre il ricordare ci si trova di fronte un territorio immenso, che è una opportunità e, dunque, l’invito a scegliere cosa prendere e portare con noi di ciò che è stato lasciato. Ed è questo il senso più profondo della mostra.

Igor Patruno

Igor Patruno è giornalista e scrittore. Ha studiato la diffusione di internet in Italia sin dagli anni ’90. È stato advisor dei più importanti gruppi internazionali di comunicazione. Ha ideato e realizzato, con la partecipazione dei maggiori filosofi del mondo, il Festival della Filosofia di Roma. Continua ad occuparsi di comunicazione.

Testo e immagini da Ufficio Stampa Regione Lazio

Dove i classici si incontrano. ClassiCult è una Testata Giornalistica registrata presso il Tribunale di Bari numero R.G. 5753/2018 – R.S. 17. Direttore Responsabile Domenico Saracino, Vice Direttrice Alessandra Randazzo. Gli articoli a nome di ClassiCult possono essere 1) articoli a più mani (in tal caso, i diversi autori sono indicati subito dopo il titolo); 2) comunicati stampa (in tal caso se ne indica provenienza e autore a fine articolo).

Write A Comment

Pin It