Tucidide e il carattere conservativo della scrittura

Raymond Weil, uno studioso francese esperto di Tucidide, in un saggio che è molto importante ancora adesso (nonostante gli anni trascorsi), notava che questo fondamentale storico ateniese, nel corso delle Storie altrimenti dette La Guerra del Peloponneso, dopo una serie di dialoghi iniziali presenti nei primi libri, preferisse passare alle lettere e ai trattati, ai documenti in forma scritta, cui aveva accesso. E, con questo gesto, con questo cambio di rotta, offriva prove tangibili delle vicende di cui stava trattando, conferendo alla narrazione una validità storica che Erodoto, suo predecessore, non era riuscito a garantire.

Tucidide scrittura oralità La Guerra del Peloponneso
Scrittura e oralità in Tucidide. Calco del suo busto, conservato presso la galleria Zurab Tsereteli di Mosca (parte dell’Accademia russa di belle arti), originariamente conservata nel Museo Pushkin. A partire da una copia romana del I secolo d. C., conservata presso Holkham Hall a Norfolk, da originale greco del IV secolo a. C. Foto di ShakkoCC BY-SA 3.0

La ragione di questa decisione di Tucidide risiede proprio nell’importanza che si inizia a dare alla scrittura, in un secolo ancora in gran parte orale, in cui si iniziava a comprendere le grandi opportunità e vantaggi del carattere permanente e conservativo della forma scritta. Tucidide ha il merito di averne compreso pienamente il senso, nonché la natura vantaggiosa, molto prima dei suoi predecessori. Coesistendo oralità e scrittura in questa fase detta ‘aurale’, ad avere assai più peso è ciò che rimane cristallizzato nel tempo e occorreva, nella narrazione delle Guerre Persiane, anche offrire testimonianze scritte, perché nessuno poi rimproverasse lo storico di falsità.

A Tucidide interessa la verità. Non desidera abbellirla o ritoccarla. Non vuole amplificarne il lato favolistico. Le velleità letterarie le lasciava ai poeti o ai drammaturgi. E il genere storico, così, è nato. Non che Erodoto non conducesse un’indagine o una ricerca, che sono i due termini con cui potremmo tradurre dal greco historía, ma la sua era ancora un’opera embrionale, destinata a letture pubbliche e quindi ad un pubblico di ascoltatori, un pubblico da intrattenere con digressioni favolistiche. Tucidide, invece, scrive per dei lettori. Il suo è un libro, e quindi è pensato per la lettura soggettiva e solipsistica, non per la declamazione. Lo storico ateniese si fa, quindi, simbolo di un cambiamento, di una fase preziosissima di transazione.

Tucidide e il carattere conservativo della scrittura: Siracusa. Immagine Flickr da pag. 448 del libro Eight bookes of the Peloponnesian Warre (1634) di Tucidide, Thomas Hobbes, London : Imprinted for Richard Mynne, Contributing Library: Pratt – University of Toronto, Digitizing Sponsor: Andrew W. Mellon Foundation, in pubblico dominio

E precisamente vi è un episodio, narrato dallo stesso Tucidide nel libro VII, che potrebbe essere letto in termini anche simbolici. In cui Nicia, il comandante ateniese, per domandare aiuto alla madrepatria mentre a Siracusa si sta andando incontro alla disfatta, non manda un messaggero, ma una lettera. O, meglio, non manda un uomo a parlare, ma lascia che sia una lettera scritta a farlo per lui. Il messaggero era un caposaldo, un’icona della tradizione orale, il portatore di verità per eccellenza. Eppure, Nicia preferisce affidarsi alla forma scritta, perché la ritiene certamente più sicura (il messaggero poteva pur dimenticarsi qualche passaggio, dopo tutti quei chilometri di corsa a piedi e a cavallo), ma anche più efficace.

Scrittura e oralità nella Guerra del Peloponneso di Tucidide. Busto di Nicia, da p. 105 del libro di William Jennings Bryan e Francis Whiting Halsey, The World’s Famous Orations, Vol. 1 (1906), immagine in pubblico dominio

Faceva certamente più scena che il messaggero leggesse la lettera scritta da Nicia in persona e avrebbe persuaso l’intellighenzia ateniese a soccorrere i compaesani nel miglior tempo possibile. Nicia, però, così facendo, aveva dubitato del messaggero e, quindi, criticato l’intera tradizione orale su cui ben si poggiava una tradizione millenaria. Nicia non poteva essere permesso che, in un momento così delicato, qualche messaggero peccasse di superficialità o di disattenzione e mancasse di dipingere la situazione disastrosa in cui versava l’esercito greco. Solo una lettera, quindi, avrebbe potuto salvare lui e l’esercito.

Ecco il passaggio fondamentale viene così raccontato dallo storico ateniese, qui riportato nella traduzione di Claudio Moreschini (VII, 8):

«Nicia, accortosi di ciò e visto che di giorno in giorno crescevano le forze dei nemici e le sue difficoltà, sebbene anche altre volte avesse riferito agli Ateniesi punto per punto ciascun avvenimento, più che mai allora si affrettò a mandare un messaggio, pensando di trovarsi in una brutta situazione e dicendo che avrebbero perso ogni possibilità di scampo se non li avessero richiamati al più presto o se non avessero inviato loro un altro contingente numeroso. Ma, temendo che gli inviati o per incapacità di parlare o per dimenticanza o per dire cose che avrebbero fatto piacere alla folla, non avrebbero riferito il vero, scrisse una lettera, convinto che soprattutto in questo modo gli Ateniesi avrebbero conosciuto il suo pensiero non oscurato dalle parole del messo e avrebbero preso una decisione su una realtà effettiva. E gli inviati partirono portando una lettera che Nicia aveva inviato e informati di quanto dovevano dire, mentre questi prendeva cura dell’accampamento più mediante un’assidua sorveglianza che mediante l’affrontare volontariamente pericoli».

 

Il primo libro delle Storie tucididee conteneva certo molti dialoghi, ma iniziavano ad esserci anche delle lettere. Un dato parecchio importante, perché Temistocle e Serse parlavano attraverso queste lettere, mantenendo segreto l’argomento di conversazione. La lettera è infatti, per sua natura, riservata e sfugge facilmente ad occhi fin troppo curiosi o al chiacchiericcio di qualche messaggero.

Eppure, sono anche un efficacie metodo persuasivo, un modo per «esercitare anche sui regali interlocutori persiani una efficace opera di convinzione» scrive Oddone Longo in un libro particolarmente brillante: Tecniche della comunicazione nella Grecia Antica. Sono rapporti epistolari anche quelli che si sviluppano nel resto delle Storie, ad indicare come le relazioni tra i potenti stessero mutando e, insieme a loro, la concezione della scrittura. Ad essere decretato era il fondamentale passaggio dalla parola aleatoria a quella permanente.

 

Riferimenti bibliografici:

Daverio Rocchi G., Il mondo dei Greci. Profilo di storia, civiltà e costume, Pearson, Milano 2008;

Gentili B., Cerri G., Le Teorie del Discorso Storico nel pensiero greco e la Storiografia Romana arcaica, Edizioni dell’Ateneo, Roma 1975;

Longo O., Scrivere in Tucidide: comunicazione e ideologia, in Studi in onore di Anthos Ardizzoni, a cura di E. Livrea e G.A. Privitera, Edizioni dell’Ateneo, Roma 1978, pp.517-554;

Longo O., Tecniche della comunicazione nella Grecia Antica, Liguori Editore, Napoli 1981;

Moreschini C., Ferrari F., Daverio Rocchi G., Erodoto, Storie. Tucidide, La Guerra del Peloponneso, Bur, Milano 2008.

Weil R., Lire dans Thucydide, in Le monde Grec, pensée, littérature, histoire, documents, Hommages à Claire Préaux, édités par J. Bingen, G. Cambier, G. Nachtergael, Bruxelles, pp.162-168.

 

Nata a Bitonto nel ’94, ha studiato Lettere Classiche e Filologia Classica. Nel 2021 si è laureata in Scienze dello Spettacolo. Giornalista Pubblicista, collabora con più testate online. Attualmente frequenta il master in Critica Giornalistica alla Silvio D’Amico. I suoi interessi e studi riguardano la letteratura, il cinema e il teatro.

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