Tutti uniti contro il barbaro! Riflessioni sul Panegirico di Isocrate
L’antichità greca ci ha tramandato un corpus cospicuo di orazioni che non solo fungono da insostituibile fonte per la comprensione dei fenomeni giuridico-politici della Grecia classica e post-classica, ma che risultano anche essere dei veri e propri libelli d’arte nei quali la parola – l’‘arma’ prediletta dagli oratori! – è declinata secondo le diverse abilità retoriche.
Tra i discorsi degni di menzione va annoverato il Panegirico di Isocrate, probabilmente composto intorno al 380 a.C. Il titolo dell’orazione isocratea si spiega con le Panegire, una festa religiosa cui partecipava una gran moltitudine di greci e durante la quale erano soliti essere premiati gli atleti più meritevoli.
Nei primissimi capitoli del suo discorso, Isocrate si scaglia contro gli organizzatori delle gare atletiche che si tenevano durante la celeberrima festa religiosa dal momento che a ricevere magnificenti premi erano soltanto coloro che esibivano lo sfarzo del corpo a discapito, invece, di chi, con il saggio uso della parola e dello spirito, si batteva per il bene dell’intera comunità, infatti l’oratore così si esprime: «[…] se gli atleti avessero anche il doppio della loro forza fisica, l’umanità non ci guadagnerebbe nulla, ma se un solo uomo è saggio, tutti quelli che vogliono condividerne le idee possono trarne vantaggio».
Alla premessa iniziale, Isocrate fa seguire l’argomento principale del suo discorso: una Grecia coalizzata contro il pericolo persiano. I contenuti dell’orazione non si distinguono per originalità, perché già utilizzati dai predecessori, ma sono trattati dal logografo secondo uno stile ed una argomentazione degna della più alta oratoria.
Nel periodo in cui Isocrate ‘mette mano’ al Panegirico, Atene è nelle mani degli spartani, vincitori della feroce e più che ventennale guerra peloponnesiaca, culminata con la distruzione delle mura del Pireo ad opera del generale Lisandro nel 404 a.C. e con la breve instaurazione oligarchica ad Atene.
Ci sarà stato un evento che avrà spinto Isocrate a comporre un’orazione di questo genere? È la pace di Antalcida del 386 a.C., stipulata tra Sparta e la Persia, a segnare profondamente il logografo che additerà agli spartani uno degli errori più gravi: aver consegnato, praticamente, il popolo greco al Gran Re persiano. In uno dei capitoli finali della sua orazione, Isocrate afferma, per l’appunto: «[…] la cosa più ridicola di tutte è che noi, del trattato [la pace di Antalcida], osserviamo scrupolosamente soltanto gli articoli peggiori […] quelli […] che ci coprono di vergogna e hanno consegnato al barbaro molti dei nostri alleati […]. Chi infatti non sa che trattati sono quelli che contengono disposizioni uguali ed imparziali per entrambi i contraenti, e invece ordini quelli che mettono in condizione di inferiorità uno dei due contro ogni giustizia?».
Le condizioni imposte dal trattato di pace non sono gradite ad Isocrate, il quale, con il Panegirico, tenta di porre rimedio ad una situazione, ormai, ben che compromessa. L’obiettivo del logografo è legato al tentativo – che risulterà vano! – di riconciliare i diversi popoli greci, soprattutto ateniesi e spartani, per fronteggiare un’ultima e decisiva guerra contro il barbaro d’Oriente.
Il presupposto della conciliazione è fondato, a detta dell’oratore, su due poli fondamentali: da un lato, il valore di Atene e del suo popolo, dall’altro, l’iniziale ‘amicizia’ tra ateniesi e spartani. Su quest’ultimo punto Isocrate si mostra piuttosto modesto e si limita a ricordare come due popoli afferenti ad una stessa area geografica, la Grecia per l’appunto, si siano strenuamente battuti, agli inizi del V a.C., per sconfiggere la fitta armata persiana. Al contrario, sul primo punto, Isocrate (si badi, è un panegirico, dunque un discorso d’elogio) si effonde in una serie di lodi che, diremmo, offuscano la realtà dei fatti.
Atene è resa, dall’oratore, l’esempio più riuscito di città-stato alla guida di un imperium vincente, motivo per cui in un nuovo conflitto versus il barbaro persiano spetterebbe ad Atene mantenere le redini dell’imperium, proprio come, secondo Isocrate, gli stessi Ateniesi avevano fatto, agli inizi del V a.C., durante il primo scontro contro i persiani. L’argomentazione isocratea non mira a gettare discredito sulle altre popolazioni greche, ma ad ingigantire l’efficienza ateniese che, al contrario, si è mostrata tutt’altro che perfetta!
Di Atene Isocrate elogia l’autoctonia, motivo per cui spetta agli ateniesi il primato tra i popoli della Grecia, infatti l’oratore afferma: «Noi infatti non abbiamo dovuto cacciare un altro popolo per abitare questa terra, né l’abbiamo occupata deserta, né dopo esserci mescolati a razze diverse: la nostra stirpe è pura e originaria, perché occupiamo da sempre la terra sulla quale siamo nati, autoctoni quali siamo e nelle condizioni di dare alla nostra città gli stessi nomi dei genitori: solo a noi fra tutti i Greci spetta il diritto di chiamarla nutrice, patria e madre» (il mito dell’autoctonia ateniese è spesso utilizzato come motivo d’elogio della città-stato). Inoltre, Atene è ben voluta dagli Dèi – si pensi al mito di Demetra – , oltre che fondatrice di nuove colonie, ha pure instaurato la miglior forma di governo che una città-stato potesse avere: la democrazia.
Tutti questi elementi fungono da contorno al discorso di Isocrate che mira a persuadere l’uditorio sulla necessità di un cambiamento, di un ritorno al passato e di un’emancipazione sociale che risolleverebbe le sorti di una Grecia sull’orlo del baratro.
La necessità di una riconciliazione tra Atene e Sparta crea il presupposto per un’ulteriore riflessione finalizzata ad sostenere ulteriormente il proposito di Isocrate. Nei capitoli finali del Panegirico, l’oratore elogia il coraggio mostrato nei secoli dai popoli greci chiamando in causa la tradizione poetica ed, in ispecie, Omero. Quali erano, per gli antichi greci, le epopee più gradevoli all’ascolto, se non quelle relative alla guerra troiana, prima, e persiana, poi? Isocrate, infatti, è convinto che: «[…] la poesia di Omero gode di una fama così superiore alle altre proprio perché ha tessuto uno splendido elogio dei Greci che combatterono contro i barbari». In entrambi i conflitti, i popoli della Grecia, afferma l’oratore, hanno dato prova di grande valore, mostrando sia solidità che unione e, soprattutto, si sono riuniti per fronteggiare il vero nemico ‘pubblico’. Al contrario, ogni disfatta greca è giudicata, dal logografo, un vero e proprio rito funebre. Allora perché non permettere ad un nuovo poeta di decantare ulteriori gesta di un popolo greco pronto a respingere il ‘grido’ persiano?
La volontà isocratea di ripristinare l’‘età dell’oro’ (da intendere gli inizi del V a.C. sino all’epoca periclea) in cui regnava concordia tra i popoli greci e coesione militare si mostra un vero e proprio azzardo dal momento che, agli inizi del IV a.C., quando Isocrate compose il Panegirico, Atene stava attraversando uno dei periodi più turbolenti della sua storia: l’egemonia spartana e l’effimera avanzata dei tebani di Epaminonda. I tanto nominati persiani rappresentavano sì il nemico ‘storico’ per eccellenza, ma ormai si avviavano ad una terribile decadenza che culminerà con la fuga di Dario III e la vittoria di Alessandro il Grande che darà inizio ad un nuovo e florido periodo: l’Ellenismo.
(Le traduzioni dei passi dell’orazione sono cavate dall’edizione BUR (1993) delle Orazioni di Isocrate a cura di Chiara Ghirga e Roberta Romussi).