USI E RIUSI CLASSICI NEL PROEMIO DELLA PASSIONE DI PERPETUA E FELICITA

Perpetua e Felicita, sante della Chiesa cattolica e della Chiesa ortodossa, subirono il martirio a Cartagine il 7 marzo del 203, sotto l’imperatore Settimio Severo, che regnò dal 193 al 211. Le giovani cristiane e i catecumeni loro compagni (Revocato, marito di Felicita, Saturnino, Secondolo e Saturo) furono vittime della persecuzione indetta mediante un decreto del 202, che aveva rinnovato il divieto, per tutti i cittadini dell’Impero, di aderire al Cristianesimo o all’Ebraismo.

Il resoconto del martirio, unito al racconto delle vicende che lo precedettero, è fornito da un documento di straordinaria importanza, la Passione di Perpetua e Felicita. I cristianisti, per la maggior parte, accolgono l’ipotesi pluri-redazionale del testo1, che vede l’opera pervenuta come il risultato di tre fasi redazionali distinte. Le prime due corrisponderebbero ai racconti autobiografici dei martiri Vibia Perpetua (3-10) e Saturo (11-13), relativi alla permanenza in carcere; la terza sarebbe rappresentata dalla mano di un anonimo redattore, responsabile dell’aggiunta della vicenda di Felicita (15), del racconto del martirio dei protagonisti (16-21) e della prefazione di carattere generale ed introduttivo (1, 1-6)2. Il redattore si sarebbe ovviamente occupato anche di armonizzare le diverse parti del testo, con l’aggiunta di brevi interventi di raccordo. A queste condizioni, quella di Perpetua rappresenterebbe una delle rarissime voci femminili della letteratura latina.

La Passio ha esercitato, nel tempo, un’influenza notevole e duratura, diventando un riferimento imprescindibile per la letteratura martirologica successiva. Ad esempio, le Passiones africane del III secolo, come la Passio Mariani et Iacobi, la Passio Montani et Lucii, vi trovano un modello sia per quanto riguarda il ricorso alle visioni, sia per la simbologia che impiegano.3 Il testo è stato poi sottoposto a riletture e interpretazioni successive, come quella agostiniana4, che talora ne hanno attenuato la portata dirompente, fino alla produzione della versione ridotta e rimaneggiata degli Acta Perpetuae.

La versione in lingua latina dell’opera fu scoperta da Luca Olstenio e pubblicata da Pierre Pousinnes nel 1663. Nel 1980, Rendel Harris scoprì un altro resoconto scritto in greco, che pubblicò in collaborazione con Seth Gifford. Molti storici ritengono che il testo greco sia l’originale, altri, invece, postulano la contemporaneità di entrambi i testi. Ad ogni modo, l’ipotesi più accreditata è che il testo in latino sia l’originale, mentre quello in greco una mera traduzione.

Per il fatto di essere stata scritta, in parte, da una donna e per contenere interessanti dati storici e relativi alle dinamiche martiriali, la Passio ha riscosso un enorme successo di critica, che ne ha evidenziato la scrittura introspettiva, senz’altro intimistica, ma dal grande valore comunicativo. Il testo ha anche ispirato scrittori di prosa e di teatro di varie epoche e di diverse nazionalità. Si possono annoverare autori svedesi come Erik Johan Stagnelius, autore del poema drammatico Martyrerna, o Sture Axelson con il romanzo Vår segers dag. Si consideri poi il poema di Sarah Flower Adams, Vivia Perpetua, l’opera di Mongo Beti, Perpétue et l’habitude du malheur, e il romanzo storico di Amy Rachel Peterson, Perpetua. A Bride, a Martyr, a Passion.

Il martirio di Perpetua e Felicita
La Passione di Perpetua e Felicita. Immagine Flickr dal libro Foxe’s Christian martyrs of the world di John Foxe (pubblicato da Charles Foster Publishing Co.), in pubblico dominio

Dopo il proemio, oggetto della presente trattazione, viene data notizia dell’arresto di catecumeni molto giovani, definiti, per l’appunto, adolescentes. Di Vibia Perpetua, si dice che provenisse da una nobile famiglia, che avesse ricevuto una buona istruzione e che fosse regolarmente sposata. Era una giovane donna di appena ventidue anni e aveva da poco partorito un figlio (2, 1-3). Questo bambino, nella fase iniziale della prigionia di Perpetua, viene da lei allattato in carcere. La giovane riceve anche le visite della madre, del fratello e del padre, che tenta in tutti i modi di condurla ad abiurare la sua fede per avere salva la vita. Il rapporto con il padre, uomo violento ed incapace di accettare la scelta della figlia, rappresenta un tema molto importante nell’insieme dell’opera, rivelandosi un eccezionale banco di prova della forza e della fermezza del credo di Perpetua.5 A nulla valgono, infatti, la violenza fisica, le suppliche o i ricatti morali del padre: Perpetua, paragrafo dopo paragrafo, si dimostra sempre più convinta a subire il martirio con i suoi compagni di prigionia. A rafforzare le sue convinzioni operano le varie visioni che si susseguono nella vicenda e che si accompagnano a quelle di Saturo. Nella prima visione, Perpetua sale per una scala stretta, puntellata di armi in ferro e guardata da un serpente. Giunta in cima, si ritrova in un prato verde, in cui pascolano le pecore di un pastore canuto, che, impegnato nella mungitura degli ovini, offre a Perpetua un pezzetto di formaggio. Questa visione, che rivela a Perpetua l’imminenza del martirio, è accompagnata da altre esperienze simili. Dopo il processo e la conseguente condanna dei sei catecumeni, da parte del procuratore Ilariano, Perpetua, in un’altra visione, rivede il fratellino Dinocrate, morto a sette anni di tumore, che non riesce a dissetarsi. Intercedendo per lui con preghiere e lamenti, tramuta la sofferenza del piccolo in gioia, permettendogli di bere dell’acqua divina, saziando così la sua sete. L’ultima visione, invece, vede la stessa Perpetua impegnata in una lotta con un etiope. Le visioni avrebbero, come filo conduttore, la rinascita nel Battesimo.6 La vicenda di Felicita, invece, si snoda a partire dal suo arresto, che avviene quando la donna è all’ottavo mese di gravidanza. Felicita viene condannata, come gli altri, alle bestie, ma, stando al Digesto (48, 19, 3), una donna incinta non poteva essere condannata a morte. Miracolosamente, Felicita partorisce in carcere prima del tempo, dando alla luce una bambina che affida ad una donna cristiana, per poter così subire il martirio. La Passio si conclude, dunque, con l’esecuzione dei martiri, avvenuta il 7 marzo, durante uno spettacolo castrense per celebrare il genetliaco del cesare Geta. I catecumeni furono condotti nell’anfiteatro, fustigati e dati in pasto agli animali feroci.7

Santa Perpetua Vierzon
Sarcofago di Santa Perpetua dalla Chiesa di Notre-Dame di Vierzon. Foto di Gaetan Poix, CC BY 3.0

Il culto delle sante Perpetua e Felicita ebbe immediata e grandissima diffusione. Alcune omelie di Agostino, infatti, furono pronunciate in occasione della loro festa. Nel luogo in cui i martiri furono sepolti, a Cartagine, venne eretta una basilica maestosa, chiamata Basilica Maggiore. La loro festa venne celebrata il 7 marzo e questa data venne inserita nel calendario dei martiri onorati a Roma nel IV secolo, il calendario filocaliano. Il rito ambrosiano, invece, le ricorda il 7 febbraio. A causa dell’invasione dei Vandali, nel 439, le reliquie di santa Perpetua furono trasferite a Roma e, nell’843, in Francia (Deuvre). In seguito, per i saccheggi dei Normanni, furono trasferite a Vierzon. Pare che gli abitanti di questa comunità, nel 1632, fecero ricorso alla santa per essere risparmiati dalla pestilenza, consacrandosi completamente a lei.8 Ad oggi, Perpetua e Felicita vengono venerate in quanto protettrici delle madri e delle donne in gravidanza.

Santa Perpetua Vierzon
Vetrata dalla Chiesa di Notre-Dame di Vierzon con la Passione di Perpetua e Felicita. Foto di Gaetan Poix, CC BY 3.0

Studi recenti9, si sono soffermati sul proemio della Passio, che ha tutta l’aria di voler conferire particolare dignità allo scritto, riconnettendolo alla tradizione storiografica pagana e cristiana. Lo stesso genere della Passio pare debba far risalire la sua matrice all’ambito pagano o ebraico, se si prendono in considerazione, all’origine degli acta martyrum, le testimonianze papiracee di processi a cittadini di Alessandria condotti dalle autorità romane, che prendono il nome di acta martyrum paganorum. La descrizione scrupolosa degli ultimi giorni di vita dei martiri e della loro morte ha portato gli studiosi ad accostare gli acta martyrum christianorum agli exitus virorum illustrium. Nell’ambito ebraico, la critica ha evidenziato affinità tematiche e lessicali con episodi biblici rilevanti, quali il martirio dei fratelli Maccabei o dei profeti Isaia, Geremia, Zaccaria, Michea, ecc.10

Lo specchio introduttivo, quindi, pone l’attenzione sui redattori e sugli autori del testo, sugli argomenti e scopi della trattazione, sui destinatari e i criteri di raccolta delle informazioni. In particolare, l’esplicitazione della materia, la dichiarazione dell’intento edificatorio e la volontà di fissare il ricordo di quanto avvenuto proiettano la cornice redazionale dell’opera in una dimensione storiografica. Al di là di affinità di tipo meramente contenutistico, è stato sottolineato come vi siano richiami lessicali, morfologici e sintattici a opere storiografiche di età classica e ad opere cristiane coeve, che, pur non essendo probabilmente dei modelli diretti, hanno fatto sedimentare, nel tempo, le loro caratteristiche precipue, i loro ingredienti primari, portando alla creazione di un serbatoio storico stratificato, evidentemente captato e utilizzato dall’autore o dagli autori della Passio in questione.

Si vetera fidei exempla, et Dei gratiam testificantia et aedificationem hominis operantia, propterea in litteris sunt digesta ut lectione eorum quasi repraesentatione rerum et Deus honoretur et homo confortetur, cur non et nova documenta aeque utrique causae convenientia et digerantur? (1,1 ed. Bastiaensen, 114)

«Se antichi esempi della fede furono riuniti per iscritto per testimoniare la grazia di Dio e al contempo edificare l’uomo, affinché attraverso la lettura di essi, quasi facendo rivivere i fatti stessi, si rendesse onore a Dio e conforto agli uomini, perché non mettere per iscritto anche testimonianze più recenti che allo stesso modo ben si addicono ad entrambi i fini?»11

Come evidenziato da Barile12, emergono elementi che trovano impieghi già nei prologhi della storiografia antica. L’oggetto della narrazione (vetera fidei exempla) e la voce verbale che indica la fissazione in forma scritta delle vicende trattate (in litteris sunt digesta), collegati ad una proposizione finale con la precisazione del fine ultimo della redazione (ut lectione eorum […] et Deus honoretur et homo confortetur), vengono impiegati già nei prologhi della storiografia antica, come, ad esempio, nelle Storie erodotee13 e tucididee14. L’esordio interrogativo della Passio, poi, potrebbe riecheggiare quello di Polibio15 e di Livio16. L’espressione in litteris digerere, ellissi volontaria per litteris sacris, sarebbe un cosciente e ambiguo rimando alla tradizione storiografica antica.17 L’utilizzo del verbo digerere, poi, è attestato nelle opere di Livio18 e Valerio Massimo19. La menzione dei nova documenta porta a soffermarsi sul termine documentum, che negli autori classici indica un evento significativo del passato, un insegnamento o un monito, e che, tra III e IV secolo, inizia ad essere utilizzato in alcune opere di autori cristiani, dove indica un insegnamento o una prova inviata da Dio o la testimonianza delle Scritture. Il redattore della Passio, senza nascondere un atteggiamento critico e polemico, rivendica la validità delle testimonianze di nuova acquisizione, equiparandole a dati già da tempo accettati nella tradizione. Il prologo, infatti, prosegue con la convinzione che, in futuro, gli avvenimenti recenti cresceranno di dignità, nonostante l’attuale pregiudizio:

Vel quia proinde et haec vetera futura quandoque sunt et necessaria posteris, si in praesenti suo tempore minori deputantur auctoritati propter praesumptam venerationem antiquitatis. Sed viderint qui unam virtutem Spiritus unius Sancti pro aetatibus iudicent temporum, cum maiora reputanda sunt novitiora quaeque, ut novissimiora, secundum exuberationem gratiae in ultima saeculi spatia decretam (1, 2-3 ed. Bastiaensen, 114)

«Valga come ragione che anche queste ultime un giorno saranno antiche e necessarie alle generazioni future, benché ad esse, presi come si è dalla venerazione del passato, si accordi nel presente un’autorità minore. Vi siano pure coloro che credano all’unicità della potenza dello Spirito Santo, che è uno, in ogni epoca, mentre in realtà sono le testimonianze più recenti, in quanto ultime, a dover essere considerate più importanti, poiché espressione di un esuberare nella grazia, che è stata concessa per la fine dei tempi»20

Barile rintraccia la medesima volontà di conferire dignità agli argomenti della contemporaneità nel prologo tucidideo21, da cui, effettivamente, appare lampante la rivendicazione di trattare vicende attuali in opposizione alla prassi storica precedente Tucidide stesso. Il concetto è veicolato nella Passio di Montano e Lucio. Inoltre, ad unire la Passio di Perpetua e Felicita ad altri documenti martiriali concorre l’esaltazione della memoria e della testimonianza. I termini exempla e testificantia ritornano nel Martirio di Policarpo, nel Martirio di Pionio e nella Passione di Montano e Lucio. In questi contesti l’esemplarità della testimonianza è menzionata in relazione al suo valore pedagogico. Dalla tradizione precedente la letteratura martiriale viene ripresa, oltre all’esaltazione dell’importanza del ruolo del redattore, anche l’esplicitazione delle modalità di ricerca e selezione delle informazioni, che insiste sul dato dell’autopsia e del ricorso a testimoni diretti. Si ripropongono, in tal modo, assunti già fatti propri da Erodoto22 e da Tucidide23.

In conclusione, le tante affinità segnalate fino ad ora, tra l’introduzione della Passio Perpetuae et Felicitatis e i prologhi delle opere storiografiche antiche e contemporanee, di autori pagani e cristiani, pur facendo stabilire un legame con la tradizione precedente, non è detto sanciscano un legame di ripresa diretta. Le suddette affinità si devono intendere come il risultato dell’attestazione di una prassi compositiva strutturatasi nel corso dei secoli, maturata nel tempo e diffusasi con le lingue e la cultura classiche, che rimasero a lungo materia di insegnamento e bagaglio culturale necessario a chiunque volesse raggiungere un grado di istruzione discreto. Nella capacità di rielaborare, ricontestualizzare e rifunzionalizzare temi e concetti noti, però, si ravvisa un’originalità prolifica, volta ad immettersi in una nuova era, pur conservando le profonde e solide radici del passato.

PASSIONE DI PERPETUA E FELICITA

Note: 

1 Per il dibattito sul tema, cfr. J.N. Bremmer, M. Formisano, Perpetua’s Passions. Multidisciplinary Approaches to the Passio Perpetuae et Felicitatis, Oxford 2012, 1-13; J. Amat, Passions de Perpétue et de Félicité suivi des Actes. Introduction, texte critique, traduction, commentaire et index, Paris 1996, 67-78; S. Boesch Gajano, Le metamorfosi del racconto, in Lo spazio letterario di Roma antica, III, Roma 1990, 224-230. E. Prinzivalli, Perpetua la martire, in A. Fraschetti (a cura di), Roma al femminile, Roma-Bari 1994, 153-186; C. Mazzucco, Il diario di Perpetua, in S. Isetta (a cura di), Letteratura cristiana e letterature europee, Bologna 2007, 133-143; L. Carnevale, Et de caseo quod mulgebat dedit mihi quasi buccellam. On charismatic power, prophetic authority and ritual practice in Perpetua’s first vision, in A. Destro, M. Pesce (edd.) with M. Rescio, L. Walt, E.R. Urciuoli, A. Annese, Texts, Practices, and Groups. Multidisciplinary Approaches to the History of Jesus’ Followers in the First Two Centuries, First Annual Meeting of Bertinoro (2-5 October 2014), Turnhout 2017, 395-398. E. Zocca, Un caso controverso della Passio Perpetuae, IV,9: de caso quod mulgebat dedito miei quasi buccellam, Studi e Materiali di Storia delle Religioni 50, 1984, 147-154. Si segnalano inoltre: C. Osiek, The social function of female imagery in the second century prophecy, Vetera Christianorum 29, 1992, 55-74; M. Rizzi, Ideologia e retorica negli ‘exordia’ apologetici. Il problema dell’altro, Milano 1993.

2 Secondo alcuni critici, il prologo può essere attribuito a Tertulliano, ma risulta che esso non abbia la stessa compositio verborum delle altre opere dell’apologeta cartaginese.

3 Cfr. V. Lomanto, Rapporti fra la Passio Perpetuae e Passiones africane, in M. Bellis (ed.), Forma Futuri. Studi in

onore del card. Michele Pellegrino, Bottega d’Erasmo, Torino 1975, 566-586.

4 Cfr. K.B. Steinhauser, Lectura augustiniana de la Pasión de las santas Perpetua y Felicidad, in Augustinus 44 (1999) 263-269; P. Kitzler, From Passio Perpetuae to Acta Perpetuae. Recontextualizing a Martyr Story in the Literature of the Early Church, de Gruyter, Berlin-Boston 2015, 80-92.

5 Si consulti, a tal proposito, E.R. Urciuoli, «Che non abbia a vergognarmi di fronte alla gente». Campo religioso e campo familiare nella Passio Perpetuae et Felicitatis, in R. Alciati, E.R. Urciuoli (a cura di), Il campo religioso. Con due esercizi, Torino 2012, 133-182.

6 Per un’analisi dettagliata delle visioni e una rassegna delle varie interpretazioni, si consulti il volume di A. Carfora, La Passione di Perpetua e Felicita. Donne, martirio e spettacolo della morte nel cristianesimo delle origini, Trapani 2018.

7 Per ulteriori approfondimenti degli aspetti socio-antropologici del testo in esame, cfr. M. La Matina, Μάρτυς. Alcune note preliminari per una semiotica del martirio, c.s., 10-20; C. Mazzucco, Figure di donne cristiane: la martire, in R. Uglione (a cura di), Atti del II Convegno Nazionale di Studi su «la donna nel mondo antico», Torino 1988, 167-195; C. Mazzucco, «E fui fatta maschio». La donna nel cristianesimo primitivo. Con un’appendice sulla «Passio Perpetuae», Firenze 1989, 119-136.

8 Cfr. P. Guérin, Les Petits Bollandistes – Vie des Saints, Parigi 1876, III, p. 230.

9 La trattazione che segue si basa principalmente sulle tesi sviluppate da Elena Nicoletta Barile in un suo recente contributo. Cfr. E. N. Barile, Nova documenta digerere: sul proemio della Passione di Perpetua e Felicita, in Vetera Christianorum 56, 2019, 47-56.

10 Per un approfondimento del dibattito storiografico, si consultino H. Delehaye, Les passions des martyres et les genres littéraires, Bruxelles 1966, 113-117; G. Lanata, Gli Atti dei martiri come documenti processuali, Milano 1973; A. Bisbee, Pre-Decian Acts of martyrs and Commentarii, Harvard 1986; A.A.R. Bastiaensen, Introduzione, in A.A.R. Bastiaensen et al. (a cura di), Atti e passioni dei martiri, Milano 1987, 10-20.

11 Trad. Formisano, 77

12 V. nota n. 9

13 Hdt. 1,1

14 Thuc. 1,1

15 Pol. 1,1

16 Liv. 1,1

17 Cfr. Fontaine, Aspects et problèmes cit., 76, n. 11

18 Liv. 9, 44,4: in annalibus digerendis.

19 Val. Max. 1,1: digerere constitui.

20 trad. Formisano, 77-79

21 Thuc. 1, 21

22 Hdt. 2,99

23 Thuc. 1, 20-22

PASSIONE DI PERPETUA E FELICITA

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