ATENE IL RACCONTO DI UNA CITTÀ, DI GIORGIO IERANÒ: UN VIAGGIO TRA STORIA E LEGGENDA

Atene Il racconto di una città è un saggio pubblicato da Giulio Einaudi editore (2022), ad opera di Giorgio Ieranò (docente di Letteratura greca presso l’Università di Trento e profondo conoscitore della mitologia e del dramma antico), che illumina e focalizza, con una lente d’ingrandimento a tutto tondo, l’attenzione su una città che, nei secoli, ha travolto e colpito l’immaginario di studiosi (filologi, archeologi, antropologi ecc.), turisti e semplici curiosi, grazie al suo profondo ed imperituro fascino di ‘culla’ della cultura greca e, in generale, polo attrattivo della scienza classica.

Il volume racconta Atene con un linguaggio coinvolgente e chiaro. L’intero saggio si compone di quattordici capitoli dedicati alla descrizione di storie e leggende dei diversi monumenti o scorci che la città propone ai visitatori. Il testo è farcito di citazioni non solo di autori antichi – prolifico è l’utilizzo della Periegesi della Grecia di Pausania – , ma anche di viaggiatori e studiosi moderni che hanno concorso a lasciare di Atene quell’immagine che, sebbene le alterne vicende, non sembra essere stata totalmente scalfita dal tempo.

Ieranò parte dal racconto dell’Atene leggendaria che vide in Teseo uno dei padri fondatori, per arrivare a trattare, anche, della città durante l’epoca romana, cristiana, ottomana ed, infine, non manca di descrivere l’ideale di un’Atene nuova, simmetrica e in sintonia con quella Periclea che ha contraddistinto la dominazione tedesca dell’ottocento. Segno inconfondibile, ad esempio, della volontà di Ottone di Baviera è il Palazzo Reale (oggi sede del Parlamento greco), costruito tra il 1836 e il 1843 da Friederich von Gärtner, che affaccia su piazza Syntagma (il cui nome deriva dalla costituzione che Ottone accordò nel 1843).

Un elemento comune nel saggio di Ieranò è la volontà dell’autore di far comunicare continuamente passato e presente; proprio quest’ultimo binomio è funzionale ad arricchire e mantenere salda l’immagine di un’Atene immortale.

Atene, foto di Gonbiana 

Nella capitale greca è inconfondibile il paesaggio che si para dinanzi al visitatore. Come non essere abbagliati dalla vista dell’Acropoli, centro cruciale della vita durante l’età classica e non solo? Era qui, infatti, che erano destinati gli edifici sacri e di maggiore impatto per importanza ed architettura. Proprio su questa collinetta, alta circa 156 metri, ripida e spianata alla sommità, si staglia la famosa dimora di Atena: il Partenone, il fiore all’occhiello della ricostruzione dell’Acropoli voluta da Pericle. La volontà di destinare un edificio così imponente ad Atena è la normale conseguenza dell’ossequio degli ateniesi alla dea protettrice della città, colei che ha vinto la disputa con Poseidone, dio degli abissi, per il dominio sull’Acropoli.

il Partenone (1978).
il Partenone (1978). Foto Flickr di Steve Swayne, CC BY 2.0

Oggi, dopo due millenni e mezzo, il Partenone – sebbene il logorio del tempo e le alterne vicende storiche che lo hanno visto protagonista – continua ad infondere di sé quell’immagine poderosa ed incantevole che lo rendono l’icona pleno iure della capitale. Lo stesso Ieranò non manca, nella trattazione del monumento, di citare la sensazione che, nel 1955, Albert Camus provò nell’osservare la dimora di Atena:

«Sui templi e sulla pietra del terreno, che il vento sembra aver raschiato sino all’osso, cade in pieno la luce delle undici che poi rimbalza e si frantuma in migliaia di spade piccole e bollenti. La luce ci fruga negli occhi, li fa piangere, entra nel corpo con una rapidità dolorosa, lo svuota, lo apre a una sorta di stupro totalmente fisico, e insieme lo ripulisce» [La citazione è tratta da A. Camus, L’estate e altri saggi solari, a cura di C. Pastura e S. Perrella, Bompiani 1969, p. 135]

Il Partenone è protagonista, anche, di una delle storie più famose dell’epoca moderna, ovvero il trasporto dei cosiddetti ‘marmi del Partenone’ da Atene in Gran Bretagna, la cui opera fu voluta da Lord Elgin (al secolo Lord Edging Thomas Bruce, VII conte di Elgin, 1766-1841) e il cui bottino ora è conservato al British Museum; l’azione del diplomatico inglese non mancò di suscitare l’ira dei suoi contemporanei, tra cui il connazionale Lord Byron, poeta e politico britannico, che non mancò di riservare feroci critiche al conte di Elgin.

La collina dell’Acropoli non ospita soltanto la dimora di Atena, ma è anche la sede di altri singolari monumenti che contribuiscono ad arricchirne il fascino; tra questi degni di menzione sono i Propilei, le scalinate che fungevano da ingesso monumentale all’Acropoli e che favorivano, inoltre, il passaggio della processione panatenaica – la festa religiosa per eccellenza ad Atene -. Inoltre, sulla collina svetta l’Eretteo il monumento di cui si possono ammirare le famose Cariatidi – figure femminili vestite in peplo che sorreggono il tetto – (quelle oggi esposte sono delle copie, mentre le originali, sei in tutto, sono conservate, cinque al Museo dell’Acropoli, una è al British Museum). Il tempio dell’Acropoli è dedicato ad Eretteo, nipote di Erittonio, ovvero l’antico re ateniese che, secondo la leggenda, aveva fattezze serpentine. Quest’ultimo dato è ancora più affascinante se si pensa che, al di sotto della loggia delle Cariatidi, stando al racconto mitologico, è sepolto Cecrope, l’essere metà uomo e metà serpente che era uno degli eroi fondatori della città.

Ma Atene non è soltanto l’Acropoli; Ieranò accompagna il lettore attraverso gli emblemi che caratterizzano il fascino della capitale greca. L’agorà, per esempio, il fulcro della vita ateniese; qui, infatti, erano dislocate officine e botteghe, barbieri e il famoso colonnato per il passeggio dei perditempo, qui gli ateniesi dialogavano e filosofeggiavano: si può immaginare che sia stata la meta prediletta del pensatore per eccellenza, Socrate! Sull’agorà svettava un monumento che James Stuart (1713-1788) e Nicholas Revett (1720-1804), architetti e archeologi britannici, identificarono – probabilmente erroneamente – nel Theseion, il monumento in onore dell’eroe fondatore e autore delle canoniche imprese che lo resero famoso ai posteri; i due archeologi focalizzarono l’attenzione sulla raffigurazione delle metope che vedeva come protagonista Teseo in una delle sue imprese. Ma ad Atene un tempio dedicato all’eroe ateniese per eccellenza era già presente: Ieranò non manca di annotare che l’identificazione del sito, ancora oggi, non è certa. Quel monumento, in realtà, sarebbe stato dedicato ad Efesto, dio fabbro, ancor più se si pensa che proprio l’agorà strabordava di ceramisti, stando al ritrovamento, da parte degli archeologi, di depositi di ceramica e di metalli per la fusione.

Pandie
Teatro di Dioniso, Atene. Foto di BishkekRocks, in pubblico dominio

L’autore non manca di trattare il famoso teatro di Dioniso, la sede dove Eschilo, Sofocle ed Euripide misero in scena i loro drammi – oggi ‘monumenti’ icastici della letteratura greca – ed Aristofane ironizzava e dilettava il pubblico con le sue commedie; nell’Ottocento proprio il teatro di Dioniso ha assistito alle prodezze dell’allora ballerina statunitense più insigne, Isidora Duncan (1877 – 1927) pioniera della danza moderna.

L'Areopago di Atene, visto dall'Acropoli. Foto Flickr di ajbear AKA KiltBear, CC BY-SA 2.0
L’Areopago di Atene, visto dall’Acropoli. Foto Flickr di ajbear AKA KiltBear, CC BY-SA 2.0

Oltre alla collina dell’Acropoli, ad Atene si può visitare anche il colle che ha assistito ai più grandi processi per delitti di sangue, l’Areopago (la collina di Ares, stando all’etimo); il luogo era l’emblema del giudizio per gli ateniesi, infatti lo stesso Eschilo, nell’ultimo dramma della trilogia Orestea, le Eumenidi, ambientò proprio sul colle di Ares il giudizio cui si sottopose il matricida Oreste, perseguitato dalle furiose Erinni scaturite dal sangue della madre Clitennestra.

L’autore menziona, inoltre, un altro quartiere meta di turisti e sede della cosiddetta ‘via dei Tripodi’, la Plaka; ad oggi restano superstiti soltanto delle basi sulle quali, un tempo, erano poggiati dei tripodi in bronzo che erano l’omaggio dei coreghi – coloro che si accollavano le spese per l’allestimento dei cori durante gli agoni ditirambici durante le Grandi Dionisie – vincitori e che rappresentavano la dimostrazione della loro grandezza.

Ma Atene non è soltanto il frutto dell’esperienza culturale e politica del periodo classico – il più florido per la capitale greca -, ma è stata, anche, la meta ambita dai romani; Cicerone vi soggiornò per completare e affinare i suoi studi, per esempio. Tra tutti i romani, fu Adriano a lasciare un’impronta indelebile nella capitale greca, motivo per cui è passato alla storia come l’imperatore filelleno, degno di menzione è, ad esempio, l’Arco di Adriano, costruito intono al 131-132 d.C. Durante il principato di Traiano, intorno al 100 d.C., sorse la biblioteca di Pantainos sulla quale, durante il periodo cristiano, sorse una chiesa di cui è possibile, ad oggi, ammirarne i resti. Insomma, per dirla con Orazio (Epistole, II, I, v. 156): Graecia capta ferum victorem cepit. La Grecia e Atene, soprattutto, esercitarono su Roma e i romani quell’influenza che gli permise di sopravvivere nei secoli futuri.

Anche l’epoca cristiana ha contribuito a modificare il panorama della capitale greca; lo stesso Partenone fu adibito a chiesa cristiana, da simbolo del culto pagano divenne l’emblema del nuovo credo. Molti dei templi pagani furono adibiti a chiese cristiane, di cui oggi poco resta.

La chiesa Panagia Kapnikarea ad Atene.
La chiesa Panagia Kapnikarea ad Atene. Foto di Don Vincenzo, CC BY-SA 3.0

L’autore non manca di trattare, altresì, dell’Atene durante il periodo bizantino di cui restano alcune testimonianze. Infatti, ancora oggi, è possibile ammirare la Kapnikarea con le sue pitture parietali di santi e profeti e tutte legate agli episodi della vita di Cristo. Oltre alla Kapnikarea, un’altra chiesetta attira l’attenzione del visitatore, ovvero la Piccola Cattedrale che è testimonianza del volto dell’Atene cristiana e del culto durante l’età bizantina.

Ieranò tratta Atene anche durante il periodo della dominazione ottomana, che durò qui dalla metà del XV secolo sino al 1822, anno della proclamazione della prima Repubblica ellenica. Ad oggi poco o nulla si è conservato del periodo ottomano, sebbene – stando alle notizie di studiosi e viaggiatori – nella città sorsero diverse moschee e lo stesso Partenone ebbe la stessa sorte. Inoltre, l’autore nel capitolo XII sottolinea che, ad oggi, del periodo turco è soltanto ravvisabile una casa, costruita nel XVIII secolo, appartenuta ad una ricca e nobile famiglia greca, i Benizelos; sebbene non si sia conservato molto del periodo in questione, è innegabile che Atene, tra il XV e XIX secolo, divenne meta ambita di visitatori, aprendosi, anche, agli stranieri.

Lo Zappeion ad Atene.
Lo Zappeion ad Atene. Foto di Pireotis, in pubblico dominio

Con la conclusione della dominazione turca, Atene subì l’influsso del desiderio della famiglia degli Ottoni, infatti, con Ottone di Baviera la capitale si rimodella, perdendo quei tratti che l’epoca cristiana e ottomana avevano lasciato, per far posto a quel gusto neoclassico che funge da trait d’union tra la visione di una città moderna e il suo ineffabile richiamo al glorioso passato; il gusto neoclassico della ‘nuova’ Atene è ravvisabile nel Palazzo reale o, anche, nello Zappeion, il monumento con pianta semicircolare , con portico e colonnato in stile corinzio; quest’ultimo è stato costruito per volere del filantropo Evangelos Zappas (1800 – 1865) con l’aiuto dell’allora più influente architetto danese Teophil Hansen (1813 – 1891) che contribuì al restauro neoclassico dalla capitale greca.

Il Ceramico ad Atene.
Il Ceramico ad Atene. Foto di DerHexer, CC BY-SA 4.0

Infine, Ieranò dedica l’ultimo capitolo del suo saggio al Ceramico, cimitero monumentale situato nel quartiere omonimo, uno dei più incantevoli, stando, anche, al giudizio dello storico Tucidide. Qui trovano dimora eterna le spoglie dei greci che furono – come, per esempio, quelle di un tale Dexileos, morto lungo le rive del fiume Nemea mentre combatteva contro gli spartani – ; ma nella capitale greca hanno trovato sepoltura anche quanti hanno riscoperto e rafforzato l’immagine della Grecia, come, ad esempio, la tomba di Heinrich Schliemann (1822 – 1890) – nel Primo Cimitero di Atene – il famoso archeologo che, con Iliade e Odissea alla mano, riscoprì il famoso sito di Troia, la città dell’Asia Minore sede di una delle più importanti e rinomate guerra che l’antichità ci ha trasmesso.

Il saggio di Ieranò consente al lettore di potersi confrontare con una città dalle mille storie e leggende; la capitale di un impero, la meta desiderata dei posteri, che siano romani, tedeschi o semplici viaggiatori. Con un linguaggio sobrio e dettagliato, il lettore – o anche visitatore – resta affascinato da una capitale così antica, ma anche così moderna, che continua a comunicare incessantemente il suo imperituro lascito. In effetti aveva proprio ragione il poeta greco Ghiorgos Seferis (1900 – 1971) che nei versi del Voluttuoso Elpenore, scritti nel 1946, afferma, nell’osservare l’imponenza della dimora di Atena:

«Non sono loro i ruderi: lo siamo noi».

la cover del saggio Atene – Il racconto di una città, di Giorgio Ieranò, pubblicato da Giulio Einaudi editore (2022) nella collana Piccola Biblioteca Einaudi Ns
la cover del saggio Atene – Il racconto di una città, di Giorgio Ieranò, pubblicato da Giulio Einaudi editore (2022) nella collana Piccola Biblioteca Einaudi Ns

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