La Grande Divisione: l’invisibile barriera genetica che divideva l’Eurasia occidentale nella preistoria: due gruppi di popolazioni diverse culturalmente ma anche geneticamente nell’area che va dal Mar Nero alla regione del Mar Baltico nel corso del Mesolitico e del Neolitico

Un nuovo studio internazionale, che ha visto la partecipazione della Sapienza Università di Roma, ha dimostrato l’esistenza di due gruppi di popolazioni diverse culturalmente ma anche geneticamente nell’area che va dal Mar Nero alla regione del Mar Baltico nel corso del Mesolitico e del Neolitico. I risultati, ottenuti grazie all’analisi di più di 1.600 antichi genomi umani, sono stati pubblicati sulla rivista Nature.

Un team internazionale di ricercatori, di cui fa parte Dušan Borić del Dipartimento di Biologia ambientale della Sapienza Università di Roma, ha analizzato un ampio set di dati sul DNA antico dimostrando l’esistenza di differenze genetiche, oltre che culturali, tra le antiche popolazioni occidentali dell’Eurasia.

Da tempo, gli archeologi suggeriscono l’esistenza di una presunta barriera culturale nel corso del Mesolitico e del Neolitico, dal Mar Nero fino alla regione del Mar Baltico. All’interno di questa regione geografica, gruppi culturalmente distinti adottavano differenti modi di vita, anche in termini di approvvigionamento di cibo. Allineando la conoscenza archeologica con l’analisi complete del DNA antico, oggi i ricercatori hanno identificato in questo fenomeno di “grande divisione” l’esistenza di una barriera genetica invisibile in tutta l’Europa. I risultati dello studio sono stati pubblicati sulla rivista Nature.

In particolare, le analisi di ossa e denti antichi di campioni risalenti a più di 11.000 anni fa, hanno confermato una differenza genetica tra le popolazioni a est della Grande Divisione che mantenevano società complesse di cacciatori, pescatori e raccoglitori, e gli abitanti a ovest che divennero gradualmente agricoltori, fino al passaggio all’Età del Bronzo, circa 4.000 anni fa, quando la grande divisione cominciò a diminuire.

Sebbene il DNA antico in molti campioni fosse estremamente degradato, l’applicazione delle più recenti scoperte tecnologiche nel campo dell’estrazione e del sequenziamento del DNA a un importante studio precedente sull’Età del Bronzo, hanno permesso di andare ancora più indietro nel tempo e di analizzare più di 300 genomi risalenti al Mesolitico e al Neolitico. Questi dati potrebbero poi essere combinati con quelli già pubblicati per creare un considerevole set di dati di oltre 1.600 antichi genomi umani.

Per mappare interi genomi da DNA antico altamente frammentato, i ricercatori hanno utilizzato un metodo chiamato imputazione, un modello matematico avanzato che consente di riempire le lacune nei genomi antichi irregolari. Le previsioni del modello si basano sull’analisi di un gran numero di genomi completi di individui attuali. Grazie a questo metodo è possibile ricostruire le sequenze mancanti con una precisione tale da rendere gli antichi genomi umani utilizzabili per analisi genomiche su larga scala delle popolazioni.

“Il contributo della Sapienza a questo studio – spiega Dušan Borić – è legato alle evidenze provenienti dal sito di Lepenski Vir, la regione delle gole del Danubio tra l’attuale Serbia e Romania, che rappresenta il luogo chiave per comprendere le dinamiche di interazione tra le popolazioni locali di cacciatori-pescatori-raccoglitori e i gruppi di agricoltori che si insediarono durante la transizione all’agricoltura”.

Riferimenti bibliografici:

Population genomics of post-glacial western Eurasia – Allentoft, M.E., Sikora, M., Refoyo-Martínez, A. et al. – Nature (2024). https://doi.org/10.1038/s41586-023-06865-0

Grande divisione Collina sul Danubio presso il sito di Lepenski Vir, in Serbia.
Collina sul Danubio presso il sito di Lepenski Vir, in Serbia. Foto di Ukicitywalker, CC BY-SA 4.0

Testo dal Settore Ufficio stampa e comunicazione Sapienza Università di Roma

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