LA BIBLIOTECA SCOMPARSA DI LUCIANO CANFORA: L’ECCEZIONALE COLLEZIONE LIBRARIA DI ALESSANDRIA

Quando pensiamo ad una biblioteca, generalmente siamo concordi nel definirla come una sorta di porta di accesso alla cultura; essa non si presta soltanto alla mera consultazione libraria o allo studio ‘matto e disperatissimo’, come affermava Giacomo Leopardi nel suo Epistolario, di studiosi di ogni campo, ma concorre a definire l’identità culturale e la libertà di conoscenza di un popolo.

Nel mondo si contano svariate biblioteche, alcune di pregevolissimo livello non solo per l’enorme mole di libri conservata, ma anche per la bellezza degli edifici che la contengono; una delle più belle al mondo e fiore all’occhiello della capitale irlandese, giusto per fare un esempio, è quella del Trinity College di Dublino che è frequentata non soltanto da studiosi, ma anche da numerosi visitatori, accorsi ad ammirarne le bellezze architettoniche e la grande quantità di libri contenuta.

È fuor di dubbio che anche l’antichità ci ha restituito esempi, spesso non tangibili, di grandi biblioteche, frutto di un collezionismo sfrenato di re o eruditi di ogni sorta. Un primo esempio lo si può ravvisare nelle disposizioni di Pisistrato, tiranno ateniese vissuto nel VI a.C., che prevedevano la messa per iscritto dell’Iliade e dell’Odissea di Omero; ma altrettante collezioni si sono susseguite nei secoli successivi, basti pensare alle raccolte di Euripide, Aristotele o, anche, ad una biblioteca fondata da Policrate, tiranno di Samo. Anche a Roma, grazie al lavoro di intellettuali e studiosi, si sono avvicendate diverse collezioni librarie che hanno portato alla costituzione di veri e propri patrimoni personali, tipo quelle di Cicerone e Attico, giusto per fare qualche esempio.

Degna di particolare attenzione, tra queste biblioteche, è quella celebre situata ad Alessandria d’Egitto, di cui ci restano soltanto delle testimonianze, spesso in disaccordo tra di loro.

La copertina del saggio La biblioteca scomparsa, di Luciano Canfora, pubblicato da Sellerio editore (2009) nella collana La rosa dei venti - 8
La copertina del saggio La biblioteca scomparsa, di Luciano Canfora, pubblicato da Sellerio editore (1987, 2009) nella collana La rosa dei venti – 8

Ad accompagnarci nell’illustrazione delle fasi più importanti e nella descrizione della biblioteca di Alessandria è Luciano Canfora con il suo saggio La biblioteca scomparsa. Il saggio dello storico e filologo barese risulta essere di facile lettura e fondamentale per comprendere le fattezze di questa eccezionale collezione alessandrina; infatti, esso è ricco non soltanto di spunti storici, ma anche di fonti – citate soprattutto nella sezione finale dell’opuscolo – fondamentali per la ricostruzione dell’iter descrittivo di una delle più famose biblioteche dell’antichità.

Luciano Canfora
Luciano Canfora. Foto di Antonio Pignato, CC BY-SA 4.0

Con la morte di Alessandro Magno, avvenuta a Babilonia nel 323 a.C., il suo vasto impero venne suddiviso tra i generali che avevano prestato servizio a fianco del condottiero macedone. A seguito della famosa guerra dei Diadochi, che durò per più di quarant’anni, dell’impero di Alessandro rimasero tre grandi regni: quello Macedone, controllato dai successori di Antigono; Siria, Mesopotamia e Persia, controllati dai Seleucidi; e, infine, l’Egitto che vide l’inizio della dinastia dei tolomei per mano di Tolomeo I (o anche definito Tolomeo I Sotere), uno dei più fidati generali di Alessandro.

Fu proprio Tolomeo I a trasferire la capitale egiziana da Menfi ad Alessandria che, in poco tempo, divenne un crocevia fondamentale per la politica e la cultura d’età ellenistica. Il generale successore di Alessandro Magno non soltanto diede vita alla prospera dinastia dei Tolomei, ma riorganizzò politicamente e geograficamente l’intera città; infatti, fu opera di Tolomeo la costituzione di un intero quartiere, il Bruchion, destinato a contenere il palazzo reale ed il Museo, ovvero l’edificio dedicato alle Muse. E, stando al racconto dei diversi (e fortunati!) visitatori del Museo, proprio all’interno della struttura dedicata alle Muse doveva trovarsi la famosa biblioteca che ammaliò il mondo antico e che, ancora oggi, è croce e delizia – per dirla con Giuseppe Verdi – dei più appassionati studiosi e ammiratori del mondo antico.

Non essendoci rimasto pressoché nulla della biblioteca di Alessandria, com’è possibile tentare una, seppur parziale, ricostruzione della stessa? Uno degli elementi fondamentali, nello studio del mondo antico, per tentare di avvicinarsi quanto più ad una fedele riproduzione di un edificio (ma questo vale, altresì, anche per i testi), è il confronto – per quanto possibile! – con altre realtà simili. Questo può confermarsi, anche, per Alessandria; infatti, la biblioteca del Museo probabilmente doveva rifarsi al modello di quella del Ramesseum, ovvero il tempio funerario in onore di Ramsete II, situato a Tebe, nell’Alto Egitto.

Del Ramesseum è stata fatta una descrizione da parte di Ecateo di Abdera (IV-III a.C.), storico e filosofo, vissuto a corte di Tolomeo I e autore delle Storie d’Egitto, un resoconto composto a conclusione del suo viaggio nella terra dei faraoni; purtroppo, l’opera di Ecateo non ci è giunta, ma siamo in grado di ricostruirla parzialmente con l’aiuto di un altro storico, di origine siciliana, ovvero Diodoro Siculo (di Agyrium, oggi Agira, in provincia di Enna), autore della Biblioteca storica. Diodoro riporta, ricopiando Ecateo, un’informazione fondamentale per la ricostruzione della biblioteca di Alessandria (I, 48,6, 49):

«Vi era anche una sala, costruita in modo sontuoso con un muro coincidente con la biblioteca. In questa sala c’era una tavolata con venti triclini e le statue di Zeus e di Era, e ancora quella del re. […] Dissero che questa sala aveva, tutt’intorno, una serie cospicua di vani, nei quali erano dipinti splendidamente tutti gli animali sacri dell’Egitto. Chi fosse salito attraverso quei vani, si sarebbe trovato dinanzi all’ingresso della tomba […]».

Inoltre, Ecateo racconta della presenza di un fregio, probabilmente depredato da Cambise durante l’assedio egiziano, che raffigurava i diversi giorni dell’anno. Seguendo la descrizione di Ecateo, possiamo certamente immaginare che anche la biblioteca alessandrina doveva presentarsi con lo stesso sfarzo regale di statue, fregi e ambienti finemente decorati.

Differentemente dalle biblioteche moderne, costituite da veri e propri edifici ad hoc per la salvaguardia e il contenimento di libri d’ogni genere, nell’antichità la biblioteca rappresentava – stando alla traduzione letterale del termine – una vera e propria teca di libri, ovvero semplici scaffali atti a sostenere il peso di papiri e pergamene che rappresentavano le diverse opere d’autore; per questo motivo è stata confutata l’idea di qualche studioso che riteneva che la biblioteca di Alessandria consistesse in un edificio a parte rispetto al Museo – anzi! – essa era inglobata all’interno del palazzo reale.

L’importanza e la grandiosità della biblioteca alessandrina erano costituite dall’enorme mole di libri in essa contenuta; le fonti, infatti, parlano di circa 500.000 volumi o, addirittura, 700.000. A questo punto è giusto sottolineare che, a dispetto di quanto si possa pensare, il numero – purtroppo aleatorio – di libri della biblioteca non corrispondeva al numero di opere prese singolarmente; i 500.000 o 700.000 volumi non corrispondevano a 500.000 o 700.000 scritti diversi, ma, come di solito, ogni opera poteva essere costituita da più volumina, motivo per cui l’ammontare delle singole opere era del tutto inferiore.

Questa enorme quantità di volumi era la conseguenza del presupposto dei Tolomei che desideravano raccogliere i libri di tutto il mondo – impresa gigantesca, ma a quanto pare fruttuosa! – tanto che Tolomeo I affidò a Demetrio Falereo, l’allievo di Teofrasto ed uno dei primi filosofi peripatetici, l’ardito compito di ‘raccolta’ di tutti i libri prodotti. Inoltre, non secondo a questo proposito, fu l’editto di Tolomeo II (o anche definito Tolomeo II Filadelfo) che concorse all’aumento spropositato dei volumina della biblioteca; infatti, in esso, definito ‘il fondo delle Navi’, Tolomeo II ordinava a tutte le navi che avessero attraccato al porto di Alessandria di prestare i libri contenuti in esse in modo che, dopo la ricopiatura, sarebbero stati conservati all’interno della biblioteca del Museo gli originali e le copie restituite ai legittimi proprietari.

In qualità di consigliere di Tolomeo I, Demetrio convinse il re a dare spazio, anche, ai libri della legge giudaica; siamo informati di questo dalla famosa Lettera di Aristea a Filocrate, tramandataci da Giuseppe Flavio, storico ebreo del I-II d.C. Aristea era un ebreo che viveva ad Alessandria e racconta di aver preso parte alla missione di Tolomeo I a Gerusalemme per la richiesta di traduttori che potessero realizzare il desiderio del re; infatti, dopo aver liberato tutti gli schiavi ebrei di Alessandria e aver inviato doni al Tempio di Gerusalemme, Tolomeo I poté felicitarsi dell’arrivo di ben 72 traduttori che, probabilmente sull’isola di Faro, in ben settantadue giorni riuscirono a tradurre dall’ebraico la Bibbia dando vita, così, alla famosa Bibbia dei Settanta che fu puntualmente raccolta e conservata all’interno della biblioteca del Museo.

La famosa raccolta alessandrina arrivò a contenere non soltanto volumina di opere storiche, sceniche ecc., ma poté vantare, anche, di salvaguardare e conservare la più importante delle opere ebraiche, ovvero la Bibbia.

La biblioteca alessandrina era un vero e proprio scrigno culturale; qui, infatti, non solo era possibile consultare i diversi volumi, ma anche studiarli, chiosarli e correggerli. Degno di menzione, infatti, è il lavoro filologico dei diversi direttori della biblioteca; il primo di questi fu Zenodoto di Efeso (III a.C.) che curò l’edizione critica di Omero; a lui successe Apollonio Rodio (III a.C.), l’autore delle Argonautiche; però con l’arrivo di Aristofane di Bisanzio (III-II a.C.), la filologia alessandrina raggiunse il culmine del suo splendore; a lui si devono, infatti, le edizioni critiche di Omero, Esiodo, dei poeti lirici e tragici. Inoltre, va sottolineato il lavoro di Callimaco di Cirene (IV-III a.C.) che, tra le tante sue opere, compose i famosi Pinakes, una trasposizione del suo lavoro di catalogazione dei volumi della biblioteca voluto da Tolomeo II Filadelfo.

Purtroppo, della biblioteca non ci è rimasto nulla e, come suddetto, abbiamo soltanto la narrazione di alcuni visitatori che hanno avuto la fortuna di poterla ammirare. Le cause della sua distruzione sono imputate ad un incendio – il nemico numero uno dei libri! -, probabilmente divampato a causa di una guerra o di un’imposizione:

  • Alcuni, come Plutarco nelle Vite parallele di Alessandro e Cesare, affidano al generale romano l’incendio della biblioteca; questa tesi, però, può essere confutata grazie alla narrazione di Strabone di Amasea che, nel suo viaggio in Egitto tra il 25 a.C. e il 20 a.C., poté ancora parlare dell’esistenza della biblioteca del Museo.

  • Un’altra ipotesi è legata alla distruzione del quartiere del Bruchion, con annesso palazzo reale, in seguito alla guerra che vide contrapposti l’imperatore Aurealiano alla regina di Palmira, Zenobia, intorno al 270 a.C.

  • Alcuni studiosi, in aggiunta alle altre ipotesi, parlano di un editto, voluto da Teodosio I, imperatore romano, che prevedeva la distruzione della biblioteca del Serapeo – ad Alessandria, infatti, c’era una seconda biblioteca, di piccole dimensioni, nel quartiere Rhakotis, contenuta all’interno del tempio dedicato a Serapide – per cancellare quella conoscenza ‘pagana’ così ostile alla nuova religione; si pensa, quindi, che insieme alla distruzione della ‘piccola biblioteca’, sia andata distrutta anche quella più grande e famosa del Museo.

Serapeum Alessandria d'Egitto Biblioteca di
Rovine del Serapeo di Alessandria d’Egitto, dove la Biblioteca spostò parte delle sue collezioni dopo aver terminato gli spazi nell’edificio principale. Foto di Daniel Mayer, CC BY-SA 4.0

La sfortunata circostanza della distruzione della collezione alessandrina non ci permette di poter ammirare l’enorme quantità dei volumi raccolti e le sontuose fattezze degli edifici, ma comunque ci consente di poter sottolineare un dato incontrovertibile, ovvero che essa rappresentava uno dei più alti esempi culturali che l’antichità ci abbia mai trasmesso.

(La traduzione del passo di Diodoro è a cura di Luciano Canfora, La biblioteca scomparsa, Sellerio Editore, 1987)

Affresco romano con Fanciulla intenta a leggere, rinvenuto a Pompei, oggi al Museo Archeologico Nazionale di Napoli (inv. MANN 9083)
Affresco romano con Fanciulla intenta a leggere, rinvenuto a Pompei, oggi al Museo Archeologico Nazionale di Napoli (inv. MANN 9083). Foto di Francesco Bini, CC BY-SA 3.0

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