E SE PASSASSIMO UNA GIORNATA NELL’ANTICA ROMA? UNA LETTURA DE LA VITA QUOTIDIANA A ROMA DI JÉRÔME CARCOPINO

Oggi siamo abituati a vivere la sfrenatezza della società contemporanea con tutto il suo apparato tecnologico (da intendersi in senso lato) e siamo proiettati verso un futuro ancor più frenetico ed ingombrante, ma se ci fermassimo un attimo a pensare/riflettere su ciò che siamo stati e su quelle società che ci hanno preceduto, riusciremmo a comprendere usi, costumi e modi di quelle civiltà così lontane da noi?

Porre questa domanda nella contemporaneità esige una profonda riflessione. Quando pensiamo al mondo antico, lo facciamo con uno spirito – a volte – distaccato, come se la vita dei nostri avi non ci tangesse minimamente, eppure quest’affermazione cela un’errata convinzione. Punti di contatto tra ciò che eravamo e ciò che siamo diventati ci sono ed esempi a riprova di questo non mancano.

A questo punto pare opportuno sottoporre al lettore una monumentale opera di Jérôme Carcopino – storico francese e professore di storia romana alla Sorbona di Parigi (1937), La vita quotidiana a Roma all’apogeo dell’Impero. Il volume, di fondamentale importanza per la trattazione della storia romana, consta di due parti: la prima, dedicata all’ambiente della vita romana; la seconda, incentrata sull’impiego del tempo del cittadino romano.

La vita quotidiana a Roma all'apogeo dell'Impero, di Jérôme Carcopino Editori Laterza
La copertina della XVIII ristampa (2020) del libro (1993) La vita quotidiana a Roma all’apogeo dell’Impero, di Jérôme Carcopino, pubblicato da Editori Laterza con traduzione di Eva Omodeo Zona e introduzione di Ettore Lepore, nella collana Economica Laterza

In questo articolo, che per varie ragioni non potrà dilungarsi oltre il dovuto, prendiamo in considerazione la vita del romano e, in particolar modo, quella di un cittadino romano dell’epoca di Traiano (I-II d.C.). Lo stesso Carcopino, nella Prefazione al suo volume afferma:

“Se si vuole evitare che «la vita del romano» si perda negli anacronismi o si irrigidisca nell’astrazione, bisogna cominciare a studiarla nei limiti concreti di un periodo rigorosamente definito […] io mi limiterò deliberatamente alla generazione che, nata alla fine del principato di Claudio, o all’inizio del regno di Nerone, verso la metà del primo secolo dopo Cristo, poté raggiungere gli anni di Traiano (98-117) e di Adriano (117-138). Questa generazione vide l’apogeo della potenza e della prosperità romana […] E nello stesso tempo […] questa è la generazione di cui i documenti concorrono ad offrirci il ritratto più preciso.”

Se, come Doc in Ritorno al futuro – il famoso scienziato della celebre pellicola del 1985 diretta da Robert Zemeckis – , costruissimo una macchina del tempo e ci proiettassimo nell’antica Roma durante il principato di Traiano, come si presenterebbe l’Urbe?
A questa domanda si potrebbe rispondere confrontando ciò che ci circonda oggi e ciò che vedeva e viveva il romano dell’epoca. Non dissimile dalle grandi metropoli e megalopoli contemporanee e con le dovute cautele e contestualizzazioni, la Roma traianea doveva presentarsi come una vivace città tanto estesa da racchiudere un gomitolo articolato di strade e viuzze. Nella prima sezione della sua opera, lo storico francese, nel trattare della maestosità del foro di Traiano e delle misure della cinta muraria stima la popolazione romana – stando alle ricerche di altri studiosi francesi e non (si badi, l’opera di Carcopino è datata al 1939) – oltre il milione di abitanti. La grandezza, non solo storica, di Roma lascia presagire, anche, una difficoltà nella disposizione delle varie
insulae con case e casupole annesse; la capitale dell’impero era costellata di dimore, dalle più sfarzose a quelle più umili.

A darci un’idea di cosa e come sarebbe stata la vita quotidiana nell’antica Roma, non dobbiamo soffermarci soltanto all’analisi della capitale dell’Impero, ma possiamo spostarci un po’ più a sud dove l’antichità ci ha restituito un saggio, un’istantanea di una città-tipo romana che ancor oggi ammalia il visitatore: Pompei. Lo scavo, forse, più importante e famoso al mondo ci ha restituito un esempio fedele di come dovevano presentarsi le insulae romane, le vie, le botteghe e così via; passeggiando per Pompei sembra di essere catapultati ex abrupto nell’antichità, in un mondo pieno di luci ed ombre. Lo stesso Carcopino non rinuncia al confronto tra Roma e la città campana.

Nuove vittime dell’eruzione a Pompei dall’Insula dei Casti Amanti

Conviene tener presente, però, che le campagne di scavo si sono succedute una dopo l’altra e per quanto l’opera di Carcopino possa riportare, in maniera fedele, le diverse scoperte, essa è ferma a quasi un secolo fa. Solo nell’ultimo anno, infatti, sono emersi, grazie a nuove campagne di scavo nella Regio IX pompeiana, resti ossei di vittime dell’eruzione del 79 d. C. ed anche due pareti affrescate che riportano, in una, scene mitologiche legate ad Apollo e Dafne, nell’altra, Poseidone e Amimone. Inoltre, ha suscitato non poco interesse la parete affrescata, sempre della Regio IX, che riporta l’esempio di una focaccia, prematuramente considerata da molti come una pizza ante litteram. Queste sono solo alcune delle ultime notizie, ma ci si rende facilmente conto che scoperte come queste concorrono a completare usi, costumi e informazioni sulla quotidianità della Roma antica.

Una natura morta affrescata dall’insula 10 della Regio IX a Pompei

L’antichista presenta una Roma vivace, piena di attività e affollata. Durante il giorno era quasi impossibile camminare senza essere urtati o rischiare di incorrere nei carri che transitavano per le strade della città; di notte la situazione si capovolgeva, la città diveniva insicura e camminarci esigeva un rischio troppo alto. Questa situazione era tale perché in città l’illuminazione era scarsa (purtroppo per gli avi dei romani l’elettricità era cosa sconosciuta) e la fioca luce di candele non bastava a dissipare il buio delle strade; eppure, avventurieri c’erano, eccome!

Nel leggere l’opera di Carcopino, notiamo che lo storico non si sofferma soltanto ad analizzare esternamente la città; Roma non era soltanto piazze e mercati, vie e carri, ma si sostanziava in usi e costumi che, ancora oggi, riecheggiano nella memoria storica. La società era permeata di credenze, spesso influenzate dalla presenza di stranieri provenienti da Oriente o dalla contaminazione egiziana (di cui la piramide Cestia, oggi, rappresenta uno degli esempi più emblematici dell’influenza culturale egiziana a Roma nel I a.C.). Questa moltitudine di religioni sarà soppiantata soltanto in seguito con l’avvento del Cristianesimo (e sarà un processo lungo e a fasi alterne).

Piramide Cestia 1880
Una foto del 1880 della Piramide Cestia, autore sconosciuto, caricata da Indeciso42, in pubblico dominio

Ma è possibile analizzare la vita di un romano con lo stesso metro di come siamo abituati a farlo con i nostri contemporanei? Non si può rispondere con nettezza a questa domanda, ma di certo nell’antica Roma i confini morali ed economici tra i diversi cives erano più che marcati (ancor oggi la disparità tra ricchi e poveri è altissima, ma convien fare un distinguo). Questa divisione era fortemente accentuata, soprattutto, nella disposizione degli alloggi. Stando alla narrazione dello storico, nell’insula romana la disposizione delle abitazioni dei ricchi e dei poveri è capovolta, se la si esamina con l’occhio dell’uomo contemporaneo (siamo abituati, oggi, a pensare ai piani più alti di un appartamento o di un grattacelo come preda dei più facoltosi), ma per un civis romano il pianterreno era prerogativa dei cittadini più importanti e questo per una serie di ragioni.

Sesterzio di Gordiano III con l’Anfiteatro Flavio. Foto di Francesco Bini, CC BY-SA 3.0

Inoltre, la disparità tra i cittadini romani era evidente se si pensa ai giochi messi a disposizione dagli imperatori. Roma era ed è famosa per i giochi gladiatori e, anche, per gli agoni teatrali, sebbene quest’ultimi ricoprissero un ruolo marginale nei desideri dei romani che, alle manifestazioni culturali, preferivano i macabri spettacoli, come suole definirli lo storico francese, delle lotte tra animali, gladiatori/animali ovvero gladiatori contro altri gladiatori. Durante questi spettacoli i più ricchi sedevano ai primi posti, spesso accanto alle autorità romane; i più umili erano relegati agli ultimi posti o, addirittura, a restare in piedi durante tutto lo spettacolo che si protraeva, spesso, per tutta la giornata (ma questo è un retaggio del mondo antico; anche ad Atene, per esempio, i più poveri occupavano gli ultimi posti durante gli spettacoli teatrali che avevano luogo durante le feste in onore di Dionisio).

Traiano Circo Massimo
Sesterzio di Traiano che commemora il restauro del Circo Massimo (103 d. C.), dall’Altes Museum di Berlino. Foto di Rc 13, CC BY-SA 4.0

Ma qual era la condizione della donna durante la Roma imperiale? Carcopino non tralascia, nel suo volume, la trattazione della condizione femminile nel II d.C.; diversi sono i confronti tra la donna repubblicana e quella imperiale, quest’ultima sempre più emancipata. Lo storico ci presenta una figura femminile che sembra acquisire diversi diritti con il matrimonio nonché la possibilità di recedere dallo stesso.

Lo storico francese dissemina nel testo le citazioni di quegli autori antichi che fungono da fonte per il suo saggio, ad esempio Giovenale e le sue Satire, Marziale e i suoi Epigrammi e le Lettere di Plinio il Giovane. Tutte opere che ci consentono di ricostruire, quasi fedelmente, la Roma antica; fondamentale, a questo punto, è l’analisi di Giovenale che tratta della donna imperiale come figura emancipata, che non disdegna lo sforzo fisico e che si interessa alle questioni politiche, insomma, per dirla con lo storico, la donna sembra voler assomigliare più all’uomo. Inoltre, non mancano nel testo esempi di figure femminili che hanno fatto la storia di Roma come Paolina, la giovane moglie del filosofo Seneca o Arria Maggiore, moglie del senatore Caecina Peto, per citarne qualcuna.

Occorre, a conclusione di questa breve trattazione del volume di Carcopino, trattare della giornata tipo del romano. Sebbene la Roma antica impegnasse il cittadino con tutto il suo apparato sociale, i mercati, la vita politica, la guerra ecc., non mancano esempi di vita quotidiana e di usanze che i diversi cives erano soliti portare avanti durante le giornate meno impegnate. La giornata era scandita dalle diverse passeggiate cui il cittadino romano non rinunciava, soprattutto all’ombra dei portici dei diversi fori che costellavano l’Urbe; inoltre, Carcopino parla dei romani come avvezzi ai giochi – simili alla dama o agli scacchi – con i quali si dilettavano durante il tempo libero (anche gli stessi Giovenale, Marziale e Plinio il Giovane ci tramandano l’usanza di giochi con la palla che possono essere i precursori – come afferma lo storico francese – della nostra pallavolo o pallacanestro, ma con le dovutissime differenze!).

L’usanza che, però, spicca maggiormente quando si deve trattare delle abitudini quotidiane del romano d’un tempo sono le terme; piccoli e grandi edifici dove i cives trascorrevano la giornata passando tra i diversi bagni, dall’acqua fredda a quella più calda per passare al tepidarium e calidarium per tonificare maggiormente il fisico. Osservando ciò che ci resta delle terme (oggi quelle che maggiormente risaltano sono le terme di Caracalla), possiamo notare lo sfarzo con il quale erano costruite; queste non erano soltanto munite di grandi vasche, ma anche di porticati, biblioteche o, addirittura, maestose statue, opere dei più grandi scultori antichi. La giornata del romano, dopo la chiusura degli impianti termali, si concludeva con la cena; questa poteva essere sfarzosa o limitata, ciò dipendeva, anche, dalle capacità economiche del padrone. Solitamente i più ricchi mettevano a disposizione di diversi convitati grosse tavolate, circondate di lettini a più posti dove ci si stendeva per mangiare e bere. Una testimonianza fondamentale per comprendere la portata di questa usanza è il Satyricon di Petronio; nel romanzo spicca la famosa cena di Trimalcione; esempio dello sfarzo più smoderato e poco signorile, ma che ci lascia un vivido quadro di come i romani si congedassero dalla giornata. Petronio cita una serie di alimenti che i padroni mettevano a disposizione dei convitati, dalla carne al pesce ma non solo; i romani dopo la grande abbuffata erano soliti stendersi e bere, quest’ultima abitudine era accompagnata, nelle cene dei signori più facoltosi, da canti e recitazioni poetiche che rappresentavano un vivido esempio di come la cultura fosse ancora e soprattutto prerogativa orale.

A conclusione di questo articolo sulla quotidianità del romano e sull’importanza del volume di Carcopino, non possiamo che soffermarci un attimo a riflettere sui possibili punti di contatto tra la nostra società e quella romana. A distinguerci dagli antichi romani, non concorre soltanto l’avanzare inarrestabile della tecnologia, ma anche e soprattutto la tipologia di società, gli usi e i costumi, i diritti umani e tutte quelle abitudini che costituiscono il comfort moderno. Stando a queste ultime affermazioni, perché, dunque, dovremmo leggere, a distanza di quasi un secolo, l’opera di Carcopino?

Sebbene La vita quotidiana a Roma all’apogeo dell’Impero non sia esente da alcune pecche, tipiche del periodo, e non costituisca una lettura semplice, essa rappresenta, comunque, un elemento imprescindibile per chi, appassionato di storia romana, voglia avere uno scorcio di una società così antica e variegata. L’opera di Carcopino non si limita a trattare la storia romana dal punto di vista bellico, ma va oltre; l’elemento ‘quotidiano’ rappresenta il cardine intorno al quale gira l’argomentazione dello storico. Se vogliamo avere maggiore contezza di quale fosse la tipica giornata del romano e di come questo affrontasse le diverse parti della stessa, l’opera dello storico francese risulta di cruciale importanza; inoltre, potrebbe risultare una lettura propedeutica per scritti e saggi successivi. A questo punto leggere Una giornata nell’antica Roma di Alberto Angela potrebbe risultare di gran lunga più semplice se si è passati attraverso la lente di ingrandimento dello storico francese.

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