Nuove vittime dell’eruzione del 79 d.C. riemergono dai nuovi scavi nell’Insula dei Casti Amanti.

Gli archeologi nel cantiere di messa in sicurezza, rifacimento delle coperture e riprofilatura dei fronti di scavo, hanno individuato, riversi su un lato, due scheletri.

Le vittime dell’eruzione giacevano in un ambiente di servizio, in una parte della casa dismessa forse per interventi di riparazione o ristrutturazione in corso. Dalle prime analisi antropologiche, si tratterebbe di due individui adulti di sesso maschile di età compresa tra i 50-60 anni morti probabilmente a causa di traumi causati dal crollo di parti dell’edificio in cui avevano cercato rifugio.

Vittime eruzione
Vittime eruzione Casti Amanti. Foto: Parco Archeologico di Pompei

Durante la rimozione delle vertebre cervicali del cranio di una delle vittime dell’eruzione, sono emerse tracce di materiale organico, forse un fagotto di stoffa e ancora cinque elementi di pasta vitrea identificabili come vaghi di collana oltre a sei monete.

Tra queste, due denari in argento, un denario repubblicano databile alla metà del II secolo a.C.e ancora un altro denario da riferire alle produzioni di Vespasiano. Le restanti monete in bronzo, due sesterzi, un asse e un quadrante, di conio più recente, dovevano anch’esse appartenere al principato di Vespasiano.

Vittime eruzione Casti Amanti. Foto: Parco Archeologico di Pompei

Nella stanza in cui giacevano gli scheletri sono emersi anche elementi della vita quotidiana come anfore, vasi, ciotole, brocche. L’ambiente adiacente ospita invece un bancone da cucina in muratura, fuori uso. Gli archeologi hanno trovato accumulato sulla superficie un mucchio di calce, forse in attesa di essere impiegata durante i lavori di rifacimento dell’edificio.

Lungo la parete della cucina ancora una fila di anfore utilizzate per il trasporto del vino.  Sopra il bancone tracce di un larario domestico e ancora accanto alla cucina una stanza lunga e stretta con latrina.

Oggetti ambiente Casti Amanti. Foto: Parco Archeologico di Pompei

I dettagli che emergono, oltre a riflettere ulteriormente sugli sconquassi che causò la furia del vulcano, delineano un quadro ancora più drammatico in cui scosse di terremoto di diversa intensità causarono ulteriori disastri e caos a Pompei e nei siti limitrofi. Queste informazioni, oltre che dall’attenta analisi della stratigrafia muraria, dai crolli e dai depositi eruttivi ci sono chiarite anche dalle fonti antiche e dai testimoni oculari che vissero la tragedia del 79 d.C.

Caro Tacito mi dici che, incuriosito dalla lettera che mi hai chiesto di scriverti sulla morte di mio zio, desideri conoscere non solo quali timori, ma anche quali pericoli io abbia affrontato, quando fui lasciato a Miseno. Stavo infatti per dirtelo, ma poi mi sono interrotto. Benché l’animo inorridisca al ricordo … comincerò. Partito lo zio, trascorsi il restante tempo a studiare (ero rimasto proprio per questo); poi il bagno, la cena ed un sonno breve ed inquieto. Molti giorni prima si erano sentite scosse di terremoto, senza però che vi si facesse gran caso, perché in Campania sono frequenti; ma in quella notte furono così forti che sembrò che ogni cosa non solo si muovesse, ma addirittura si rovesciasse. (Plinio il Giovane, Lettere ai familiari, VI, 20)

Vittime eruzione Casti Amanti. Foto: Parco Archeologico di Pompei

Dalla lettera che Plinio il Giovane scrisse all’amico Tacito e che racconta la morte dello zio Plinio il vecchio e gli attimi prima della tragedia, emerge chiaramente come forti sciami sismici interessassero il territorio da giorni e che non tutti capirono la potenzialità del pericolo, nemmeno Plinio stesso e la famiglia.

«…Quivi assistiamo a molti fenomeni e molti pericoli. Infatti i veicoli che avevamo fatto predisporre perché ci seguissero, sebbene il terreno fosse pianeggiante, andavano indietro e neppure con il sostegno di pietre restavano al loro posto. Pareva, inoltre, che il mare fosse riassorbito in sé stesso e quasi respinto dal terremoto. Certamente la spiaggia si era allargata e molti pesci giacevano sulla sabbia. Dal lato opposto, una nera ed orrenda nube, squarciata dal rapido volteggiare di un vento infuocato, si apriva in lunghe lingue di fuoco: esse erano simili a lampi, ma ancor più estese ».

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Vittime eruzione Casti Amanti. Foto: Parco Archeologico di Pompei

L’eruzione che colpì Pompei e i siti vesuviani nel 79 d.C. è stata divisa dagli studiosi in tre fasi: una fase di apertura di breve durata, una seconda fase caratterizzata dalla formazione di una alta colonna eruttiva, dalla quale cadono lapilli e una fase finale caratterizzata dal succedersi di diverse correnti piroclastiche. Queste ultime sono misture di gas e particelle solide ad alta temperatura che scorrono al suolo per effetto della gravità e sono tra i fenomeni vulcanici più distruttivi.

Ancora alcune fasi dell’eruzione, vissute a Stabia, nel racconto di Plinio

«… il livello del cortile si era talmente innalzato con il continuo cadere della pioggia di lapilli misti a cenere che se [Plinio il Vecchio] si fosse attardato nella camera, non sarebbe riuscito ad uscirne… … Continui sommovimenti scuotevano la casa che ora era abbassata, ora era sollevata di nuovo, come se fosse stata strappata dalle fondazioni. Intanto all’esterno si temeva la pioggia di lapilli, seppure leggeri e porosi… … messi dei cuscini sulla testa, li legarono con lenzuoli: questo fu il riparo contro quella pioggia… »

Alla fine della giornata la vita di Pompei era cessata. Per altri tre giorni proseguì l’attività eruttiva del Vesuvio che aveva persino cambiato la sua forma: la sua cima era stata squassata dall’esplosione e si era creato un nuovo rilievo, quello del Monte Somma.

Vittime eruzione
Ambiente Casti Amanti. Foto: Parco Archeologico di Pompei

Le ceneri dell’eruzione si dispersero nell’aria per chilometri e chilometri, giungendo fino a Roma e persino sulle coste dell’Africa. Un’ apposita commissione per i soccorsi alle città colpite dall’eruzione fu istituita dall’imperatore Tito, ma ormai la città di Pompei non esisteva più. Le fasi della tremenda catastrofe che investì l’area vesuviana possono essere oggi letti nelle stratificazioni di materiale vulcanico che si depositarono in quella occasione.

Di tutte le catastrofi che si sono abbattute sul mondo nessuna ha provocato tanta gioia alle generazioni seguenti. Non conosco niente di più interessante.

Così scriveva il poeta e letterato tedesco Goethe, amante dell’arte e della cultura, a proposito dell’evento catastrofico che nel 79 d.C. distrusse le città di Ercolano, Pompei e Stabia.

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