The Northman – più di un “Amleto coi vichinghi”
Capita spesso, nella moltitudine di opere che ogni persona può conoscere, di creare parallelismi e paragoni, anche tra opere molto lontane nello spazio e/o nel tempo, spesso rendendo complesso rintracciare la reale origine di una storia. Infatti, l’Amleto di Shakespeare deriva da una storia ben più antica, giunta a noi in forma scritta grazie a Sàssone il Grammatico nel suo Gesta Danorum.
Indovinate quale popolo si tramandava oralmente questa storia? Proprio loro, i Vichinghi. Questa è la storia proposta da Robert Eggers, alla regia del suo terzo lungometraggio, che racconta pertanto del principe Amleth, fuggito da bambino dal suo regno a seguito dell’uccisione del padre da parte di suo fratello Fjölnir e ritornato in età adulta in cerca di vendetta.
Questo lungometraggio, in apparenza, è completamente diverso dai due precedenti del regista, gli straordinari The VVitch e The Lighthouse. Una produzione che passa da pochi milioni di dollari a circa 90 milioni, un genere che passa dall’horror (e si potrebbe discutere su quanto e come applicare il genere horror a The Lighthouse) ad un revenge movie, vicino al cinema muscolare, con ambientazione storica.
Le storie di vendetta hanno un fascino inestinguibile sull’essere umano, che ne conosce e ricerca ogni trope narrativo, nell’attesa di sapere quale evento scatena la vendetta e come si risolverà il conflitto tra il protagonista e l’oggetto della vendetta.
The Northman percorre questa strada e non rinuncia ai cliché tipici del genere, sacrificando forse la narrazione ormai tipica di Eggers per inseguire una struttura tipica del viaggio dell’eroe, una divisione in capitoli e uno sviluppo (quasi) privo di colpi di scena completamente inaspettati.
Tuttavia, mantiene il linguaggio del suo autore nell’estetica e nell’intreccio tra reale e soprannaturale. In The VVitch e The Lighthouse l’elemento soprannaturale è il frutto dell’ignoranza, la superstizione e soprattutto la suggestione dei personaggi, ma diventa dominante con l’avanzare della trama, riuscendo a far dubitare lo spettatore sul se il diavolo, le maledizioni o, nel caso di The Northman, l’apparato mitologico vichingo non siano realmente esistenti. Questo elemento, che funziona estremamente bene in un horror, trova il suo spazio anche in questo genere, ruotando attorno ai rituali, i fumi, le danze e le usanze di un popolo brutale e sanguinario, che assume così un fascino raramente visto su schermo.
In questo epico racconto tra misticismo e sangue ogni attore brilla di luce propria, dal protagonista Alexander Skasgrård ad una sorprendente Nicole Kidman fino ad una affascinante Anya Taylor-Joy, forse l’elemento di maggiore ispirazione dall’Amleto shakespeariano per la sua vicinanza al personaggio di Ofelia.
Ma il fascino visivo irresistibile esiste anche grazie alla monumentale fotografia di Jarin Blaschke, collaboratore di Eggers in tutte e tre le sue pellicole, che esaltando le ombre create dal fuoco e la rifrazione della luce causata dalla neve crea contrapposizione tra elementi naturali, per comunicare al massimo della potenza espressiva le emozioni delle scene.
A questi elementi dominanti si affiancano anche il mare, il vento e la terra, assieme alla simbologia animale che contribuisce alla fortissima narrazione visiva di The Northman. Il corvo, animale associato a Odino, si affianca al lupo, rabbioso ed inaffidabile e alla volpe furba e silenziosa. La stessa evoluzione caratteriale di Amleth non è figlia di valanghe di dialoghi che la spiegano, ma è composta da immagini che la raccontano, tra le quali spiccano i parallelismi proprio con questi animali.
L’intreccio tra il fascino atavico del genere e un apparato visivo che intreccia tutti gli elementi nominati per creare delle inquadrature monumentali e memorabili riescono pertanto a superare la semplicità dell’intreccio e la prevedibilità di alcuni sviluppi, lasciando che le immagini guidino lo spettatore attraverso un’epopea di quasi due ore e mezzo dove non un fotogramma viene sprecato.
Inoltre, la meraviglia estetica non serve a mascherare una vuotezza contenutistica, dato che le tematiche del genere sono ampiamente trattate e riportate. Il ciclo della vendetta, la spirale dell’odio e le terribili conseguenze a cui portano si affiancano alla tematica del tradimento e dell’egoismo, laddove l’amore e la vita rappresentano sempre l’alternativa migliore alla violenza e alla vendetta.
Tuttavia, The Northman non dimentica di essere un racconto epico, che nel suo voler adattare una storia (o leggenda), in un’epoca dove la morte in battaglia era la massima aspirazione di un popolo, porta inevitabilmente allo scontro, porta alla catarsi dell’eroe. Proprio con l’avvicinarsi del finale, l’elemento soprannaturale prende sempre più piede, portando ad un abbandono del realismo fisico in favore di un confronto finale perlopiù simbolico, che porta all’apice la potenza visiva della pellicola e l’estetizzazione della violenza, celebrando la bellezza della battaglia e facendo entrare lo spettatore definitivamente nella mente del guerriero vichingo, prima che arrivino i titoli di coda.
In tal modo, la violenza del finale è catartica per lo spettatore ma non lascia da parte una condanna per la vendetta come azione in sé, che finirà sempre, comunque e soltanto per distruggere qualsiasi cosa tocchi.
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