The Phantom of the Opera da Trieste a Milano: città diverse, stessa magia

Articolo a cura di Gianluca Colazzo e Mariano Rizzo

La nostra recensione della prima leg italiana di The Phantom of the Opera, portata in scena lo scorso luglio al Teatro Rossetti di Trieste, si concludeva con un interrogativo: si riuscirà a trasferire l’atmosfera magica che aveva preso vita al politeama friulano, anche su un palcoscenico impegnativo come il Teatro degli Arcimboldi di Milano? Dopo aver assistito anche a questo secondo allestimento, siamo in grado di rispondere a quella domanda.

Tra pubblico e palcoscenico, tra musica, amore e morte: The Phantom of the Opera al Rossetti di Trieste

Le repliche meneghine del musical dei record di sir Andrew Lloyd Webber sono partite l’11 ottobre per concludersi domenica 22, registrando sempre il sold out. È bene precisare che il Phantom milanese è stato praticamente identico a quello triestino: stessa scenografia (di Federico Bellone), stessi effetti speciali, stesso ensemble musicale; invariato anche il cast, a eccezione dell’interprete di Raoul de Chagny: Bradley Jaden ha passato infatti il testimone a Vinnie Coyle, anch’egli giovane promessa del musical britannico. Sono tornati invece, tra gli altri, Earl Carpenter (monsieur Firmin), Anna Corvino (Carlotta Giudicelli) e Gian Luca Pasolini (Ubaldo Piangi); tornati soprattutto Amelia Milo nel ruolo di Christine Daaé e Ramin Karimloo nei panni del protagonista, il geniale ma psicopatico Fantasma dell’Opera.

Avevamo avuto modo, a suo tempo, di sottolineare come tutti gli elementi di questa edizione “tascabile” del musical funzionassero alla perfezione in un teatro già di per sé magico come il Rossetti: elegante ma al tempo stesso intimo e accogliente, il “Politeama Blu” diventava parte integrante della narrazione, contenitore e al tempo stesso scenografia di un musical che sembra nato per essere ambientato in teatri di questo tipo, simili all’Opéra Garnier parigina. Ammettiamo che, entrando nel salone degli Arcimboldi, abbiamo avvertito una sensazione di straniamento: le atmosfere postmoderne di questo salone sembravano troppo fredde per una storia classica come quella di Phantom, mentre le gigantesche dimensioni (i posti a sedere sono più del doppio rispetto al Rossetti) parevano aumentare la distanza tra pubblico e scena. Questa sensazione ci ha accompagnato per gran parte del primo atto, anche a causa di alcuni problemi di amplificazione (risolti a spettacolo avanzato) che hanno in parte compromesso la sincronizzazione tra musica e canto.

Sin dall’inizio dello spettacolo ci è stato tuttavia chiaro quanto l’intero cast sia cresciuto nell’arco di questi mesi: l’emozione del debutto ha lasciato spazio a una maggior sicurezza, tanto nell’esecuzione dei brani quanto nelle capacità attoriali. Questo è particolarmente evidente nella performance di Zoe Nochi (Meg Giry): nella precedente recensione avevamo sottolineato la sua tendenza all’overacting, del tutto assente in questa nuova leg; l’attrice è stata in grado di ristudiare completamente il suo personaggio, limando le asperità della sua interpretazione e valorizzandone i punti di forza, giungendo a una Meg profonda e misurata, finalmente in grado di reggere il gravoso peso che ella ha nell’economia della storia.

The Phantom of the Opera al Teatro Arcimboldi di Milano. Gallery con foto di Mariano Rizzo

Lo stesso discorso è riferibile a tutti gli altri interpreti; vale la pena di mettere nuovamente in evidenza l’ottima prova di Anna Corvino, una Carlotta ancora più credibile rispetto a qualche mese fa, e soprattutto quella di Amelia Milo: la cantante italoamericana, che a Trieste era al suo debutto, padroneggia ormai il ruolo di Christine con la disinvoltura delle grandi interpreti; di nuovo ha offerto al pubblico un’intensa ed emozionante Wishing you were somehow here again, ma è stata in grado di strappare meritatissimi applausi a scena aperta anche al termine di Think of me e All I ask of You. Quanto alla new entry Vinnie Coyle, la sua performance è stata per molti versi perfettamente sovrapponibile a quella di Bradley Jaden: sebbene la sua vocalità sia forse meno acerba e il suo timbro più interessante, anche l’attore inglese, come l’interprete triestino, ha dato vita a un Raoul intenso ma lievemente impacciato.

Non ci sarebbe bisogno di rimarcare ancora una volta la bravura di grandi interpreti come Earl Carpenter e Ramin Karimloo, ma in questa sede è necessario: colti da leggera indisposizione (a causa della quale Karimloo è stato sostituito, nella pomeridiana del 15 ottobre, da Luca Gaudiano, vincitore di Sanremo Giovani 2023 e presente nel cast in un ruolo minore), entrambi gli attori hanno saputo far leva sulle proprie abilità tecniche per contravvenire alle difficoltà comportate dalla malattia, addirittura trasformandole in opportunità per offrire una diversa chiave di lettura del personaggio interpretato, senza tuttavia rinunciare né ridimensionare eccessivamente i virtuosismi previsti dallo spartito. Il Fantasma che Karimloo ha portato sul palco milanese, pertanto, è stato ancora più umano e coinvolgente, a riprova che talento e impegno siano sempre in grado di sopperire alle possibili défaillance che l’uso di uno strumento volubile come la voce umana porta con sé.

Anche a Milano, dunque, tutti gli ingranaggi del complesso meccanismo de The Phantom of the Opera hanno funzionato alla perfezione, a dispetto della diversa configurazione del teatro: come a Trieste, il pubblico si è totalmente immerso nella tragica storia d’amore del Fantasma e di Christine, complici anche minime ma significative modifiche di regia ed allestimento volte a sfruttare al meglio lo spazio ed eliminare, per quanto possibile, la separazione tra palco e spettatori. Geniale è stata, in merito, la grandiosa scena di Masquerade: pur riproponendo la formula triestina, che vedeva gran parte del cast e del coro “invadere” palchi e platea, il pubblico è entrato ancor di più a far parte del ballo in maschera con cui si apre il secondo atto, grazie a un effetto speciale semplice ma sorprendente, in grado di entusiasmare tutti i presenti.

In conclusione, dunque, dopo il meritato successo triestino la magia del Fantasma dell’Opera è sbarcata a Milano intatta e invariata, galvanizzante e commovente; il pubblico ha pianto, ha riso, ha sillabato in fior di labbra i testi delle canzoni più famose e ha sobbalzato per via dei numerosi e improvvisi jumpscare previsti dalla regia. Certo, il successo di un musical come Phantom è prevedibile… ma non scontato, in una città che offre spettacoli di altissimo livello per tutto l’anno. Non c’è, tuttavia, una netta separazione tra l’allestimento triestino e quello milanese: si può ragionevolmente dire che entrambi siano stati due atti di un percorso artistico lungo molti mesi, coerente con sé stesso e in grado di mantenersi sempre su standard qualitativi eccellenti, anche in due città profondamente diverse come Trieste e Milano. Come accade per l’arte più grande, più vera.

C’è da sperare che il Phantom italiano sia solo il primo di una lunga serie di successi… e che non si debba aspettare troppo per rivederlo in altri teatri italiani.

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