Tra pubblico e palcoscenico, tra musica, amore e morte: The Phantom of the Opera al Rossetti di Trieste

Articolo a cura di Gianluca Colazzo e Mariano Rizzo

In sleep he sang to me,

in dreams he came,

that voice which calls to me

and speaks my name;

and do I dream again?

For now I find

the Phantom of the Opera is there,

inside my mind.

Gli appassionati di musical avranno di certo riconosciuto in questi versi l’incipit di uno dei brani più famosi di The Phantom of the Opera, il capolavoro di sir Andrew Lloyd Webber: dal 1986, anno del debutto, questo musical ha avuto innumerevoli allestimenti tanto a West End quanto a Broadway; la recente chiusura delle repliche newyorchesi ha fatto molto scalpore tra gli appassionati del genere, nonostante essa abbia coinciso con l’avvio di numerose, inedite produzioni internazionali.

Questa notizia ha del clamoroso: The Phantom of the Opera è un musical prettamente residenziale, poiché le sue complesse scenografie e i numerosi effetti speciali richiedono la modifica a lungo termine delle macchine sceniche; in passato ci sono state edizioni da tournée, accolte tiepidamente dal pubblico, tenutesi quasi esclusivamente negli stessi paesi in cui lo spettacolo va regolarmente in scena in teatri appositamente preparati per una lunga permanenza del Fantasma. Il rinnovato interesse per i musical sul suolo italiano, come testimonia il recente successo di Cats al Sistina di Roma, ha fatto sì che la prima grande produzione internazionale di The Phantom of the Opera sia nata qui: il musical è in programma fino al 16 luglio al Politeama Rossetti di Trieste.

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Lo spettacolo, prodotto da Broadway Italia, vede la regia di Federico Bellone, un’orchestra dal vivo e un cast eccezionale: a portare l’iconica mezza maschera del protagonista c’è infatti Ramin Karimloo, che interpreta il ruolo da due decenni e che nel 2013 ha avuto l’onore e l’onere di vestire i panni del Fantasma nella produzione del venticinquesimo anniversario, alla Royal Albert Hall di Londra; al suo fianco la Christine Daaé di Amelia Milo, soprano italoamericana scoperta da Andrea Bocelli, al suo primo grande ruolo. Vengono dal mondo del musical anche i comprimari: Raoul, il rivale in amore del Fantasma, ha il volto di Bradley Jaden, giovane interprete in rapida ascesa; nei panni dei messieurs André e Firmin, i due impresari pasticcioni, ci sono Earl Carpenter e Ian Mowat, stimatissimi interpreti di musical (Carpenter, in gioventù, ha spesso interpretato il Fantasma). Madame Giry e sua figlia Meg sono invece interpretate da Alice Mistroni e Zoe Nochi, mentre per i ruoli di Carlotta Giudicelli e Ubaldo Piangi si è guardato al mondo della lirica italiana, scegliendo le voci di Anna Corvino e Gian Luca Pasolini.

La regia di Bellone ha il gravoso compito di far dialogare artisti di tale caratura con un linguaggio scenico che, per le ragioni sopra esposte, non può essere monumentale al pari di quelli visti sui palchi londinesi e americani; il regista riesce in questa impresa attingendo alla tradizione del teatro operistico italiano e fondendolo con interessanti espedienti tecnologici. L’intero spettacolo si svolge su un palco girevole che, oltre a consentire rapidi cambi di scena, porta di continuo lo spettatore davanti al palco dell’Opéra Garnier e dietro le sue quinte, a beneficio dell’esperienza immersiva. Ai classici sfondi dipinti si alternano proiezioni, illusioni ottiche, giochi di luce e trucchi di prestidigitazione, che trasportano efficacemente la magia del musical originale sul palcoscenico triestino.

Alcune trovate registiche sono particolarmente innovative e originali; citiamo a puro titolo esemplificativo la coreografia di Masquerade, che apre il secondo atto e richiede un numero impressionante di comparse presenti in contemporanea sul palco: senza togliere il gusto della sorpresa, diremo che si è riusciti con un artificio tutto sommato semplice a triplicare il numero dei componenti del coro/corpo di ballo, rendendo al contempo omaggio alle atmosfere del Carnevale di Venezia. Degna di nota anche la celebre “scena del lampadario”, che chiude il primo atto: non potendo, per ovvie ragioni, replicare la caduta o l’incendio dell’enorme candelabro prevista dal copione, Bellone punta nuovamente sull’immersione totale nella scena, adottando un singolare espediente (che non sveleremo) e rendendo il Fantasma protagonista a tutto tondo laddove invece la sua presenza dovrebbe essere solo avvertita. A onor di cronaca, questo accade anche in altri punti dello show, rendendo un momento in particolare significativamente granguignolesco. Allo spettatore scoprire quale.

The Phantom of the Opera al Politeama Rossetti. Gallery con foto di Mariano Rizzo

Il Fantasma italiano, dunque, finisce inevitabilmente per risultare una versione in scala ridotta dei suoi fratelli maggiori, ma non per questo meno affascinante e divertente; è anzi rimarchevole la maniera in cui il pubblico viene portato al centro dell’azione e reso partecipe dei sentimenti dei suoi protagonisti, che si riflettono anche in alcune modifiche nei testi e nell’arrangiamento, minime ma essenziali per portare la storia e la psicologia dei personaggi dritti al cuore degli spettatori.

L’intero cast, in effetti, si muove in quella direzione: agli artisti è stato chiesto di esaltare, a livello vocale e interpretativo, gli aspetti caratterizzanti del loro personaggio, anziché puntare sull’istrionismo come accade a Brodway e West End. Mai come in questo caso, ad esempio, la Carlotta di Anna Corvino, vecchia diva sul viale del tramonto, viene percepita come una cantante che tenta disperatamente di far leva sulle indubbie ma appannate doti vocali, per non cedere il posto alla più giovane e brava ma meno esperta Christine; il suo compagno Ubaldo Piangi, invece, alterna i momenti di comic relief previsti dal copione ad altri, inediti, di ombrosa introspezione: Gian Luca Pasolini gli dona un timbro più grave e scuro rispetto alle sue controparti internazionali, che ben si sposa a questa versione del personaggio. Lo stesso accade per gli altri comprimari, che convincono e incantano; l’unica eccezione è forse la Meg Giry di Zoe Nochi, un po’ troppo orientata sull’overacting.

 

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Per quanto concerne il terzetto dei protagonisti, il Raoul di Bradley Jaden è forse quello che più risente dell’inesperienza del suo interprete. L’attore britannico, che in patria si è fatto notare in qualità di interprete primario o in understudy di musical come Les Misérables e Wicked, è qui al suo debutto nell’impegnativo ruolo del Visconte de Chagny. La sua performance, molto buona a livello tecnico, coincide talvolta con un’interpretazione timida, emotivamente trattenuta. Il suo timbro è comunque molto interessante: la giovane età e il fatto che la sua carriera sia appena agli inizi porteranno il pubblico a chiudere un occhio e premiarlo lo stesso con i meritati applausi.

Diverso il discorso per Amelia Milo/Christine Daaé, la quale risente a sua volta di una palpabile emozione da debutto. Tuttavia, lasciatasi alle spalle con disimpegno il primo atto, il soprano si impadronisce della scena nel secondo, regalando ai presenti una Wishing you were somehow here again da antologia, in grado di colpire allo stomaco con la sua carica emotiva e stare tranquillamente al passo con storiche Christine del calibro di Sarah Brightman e Sierra Boggess. Si tratta forse del momento più grandioso dell’intero musical… accanto, naturalmente, alla grandiosa prova di Ramin Karimloo.

L’attore canadese-iraniano è, senza tema di smentita, la punta di diamante dell’intera produzione. Inutile soffermarsi sulle doti vocali e interpretative: occorre solo rimarcare che, sul palco del Rossetti, Karimloo è in grado di dare una diversa lettura di un personaggio che ormai gli è cucito addosso, adattandolo a quelle che sono le esigenze stilistiche e narrative della produzione italiana. Il Fantasma triestino sarà quindi meno psicopatico del solito e più umano, diviso com’è tra l’amore per Christine e la necessità di affermare il suo incomparabile estro musicale. Tra i molti momenti in cui questo risulta evidente, citiamo la reprise di All I ask of you sul finale di Point of no return: laddove il copione prevederebbe una prepotente esplosione di carica emotiva ed erotica, Karimloo mostra invece la fragilità di un uomo provato dalla catena di eventi a cui lui stesso ha dato il via. Impossibile non commuoversi.

La voce di Karimloo, potente ma “sporcata” ad arte per materializzare la complessità caratteriale del Fantasma, giganteggia in questa e in tutte le altre scene di cui è protagonista, dando quasi l’impressione che non solo il Rossetti, ma gran parte dei teatri nel resto del mondo possano stargli troppo stretti; eppure, a conti fatti, è proprio il Politeama Rossetti il protagonista non dichiarato del musical. È fuori questione che l’intero allestimento sia stato studiato con in mente la sua inimitabile atmosfera, il colore blu della sua volta a cupola, la sensazione di garbata magnificenza che si prova varcandone la soglia. Esso contribuisce a rinsaldare quel legame tra pubblico e palcoscenico che dovrebbe essere alla base di qualsiasi spettacolo, ma che in questo Phantom of the Opera italiano, intimo e fastoso, artigianale e innovativo, finisce per risultare addirittura fondamentale.

Dopo le date triestine, tutte da sold out, in autunno il musical approderà agli Arcimboldi di Milano, sempre per la regia di Bellone ma con un cast rinnovato (a eccezione di Milo e Karimloo): siamo curiosi di scoprire se anche al teatro meneghino si ripeterà la stessa magia.

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