Un team di archeologi della Freie Universität Berlin con la collaborazione dell’Università Orientale di Napoli e il Parco Archeologico ha messo in evidenza nelle Terme Stabiane di Pompei, un pavimento a mosaico del salone di una abitazione più antica distrutta per la costruzione successiva dell’impianto termale e di alcune botteghe dopo il terremoto del 62 d.C. che colpì l’area vesuviana.

Terme Stabiane Pompei
Terme Stabiane. Foto: Parco archeologico di Pompei

Le indagini scientifiche avviate nel mese di marzo hanno chiarito alcuni aspetti relativi alle fasi cronologiche e all’organizzazione planimetrica del settore della palestra delle terme, già oggetto di campagne di scavi in passato, sia  lo studio della planimetria della casa preesistente.

Alcuni saggi di scavo inoltre sono stati condotti nell’area occidentale delle Terme Stabiane e precisamente in tre tabernae poste lungo il vicolo del Lupanare nel corridoio di servizio alle spalle della natatio ( piscina) e dei ninfei delle terme, nella palestra e presso l’originario ingresso del settore maschile delle terme su via dell’Abbondanza, chiuso dopo il terremoto.

Terme Stabiane Pompei
Terme Stabiane. Foto: Parco archeologico di Pompei

Il pavimento mosaicato antico è stato rinvenuto a circa mezzo metro di profondità sotto il livello pavimentale datato al 79 d.C. nell’area delle tabernae. La decorazione si presenta bianca con delle bordature a fasce nere con emblema centrale, policromo.

L’emblema infatti presenta un motivo geometrico a cubi prospettici, realizzati con tessere nere, bianche e verdi, bordato da una doppia fascia rossa e nera.

Il motivo decorativo è ben noto per le pavimentazioni in opus sectile della cella del tempio di Apollo, del tablino della casa del Fauno o di un’esedra della casa di Trittolemo, casi in cui il motivo è esteso su quasi tutta la superficie pavimentale.

Terme Stabiane Pompei
Terme Stabiane. Foto: Parco archeologico di Pompei

Nella casa delle Terme Stabiane, invece, il motivo è realizzato solo nel piccolo riquadro centrale, a mosaico, come avviene in altri contesti, sempre in sectile, romani, tipo la casa dei Grifi sul Palatino.

Le recenti indagini archeologiche hanno permesso al team  di comprendere al meglio la planimetria dell’edificio, risalente ai   decenni centrali del I sec. a.C., che si sviluppava per una superficie di circa 900 mq, ed era composto da ingresso, un grande atrio circondato da stanze da letto,un  tablino, affiancato dal salone scoperto recentemente, ed infine peristilio (giardino colonnato), caratterizzato da un ampio portico con ricca pavimentazione in mosaico policromo.

Terme Stabiane Pompei
Terme Stabiane. Foto: Parco archeologico di Pompei

“È una prova di quanto c’è ancora da scoprire nella parte già scavata di Pompei. – dichiara il Direttore Gabriel Zuchtriegel – Le terme Stabiane furono scavate negli anni ’50 dell’800, ma solo adesso viene alla luce tutta la complessa storia dell’isolato nei secoli prima dell’ultima fase di vita della città.

Grazie alle nuove ricerche dell’università di Berlino e dell’Orientale di Napoli, oggi si può cominciare a riscrivere la storia dell’isolato, inserendone un ulteriore capitolo, quello di una sontuosa domus con mosaici eccezionali e ambienti spaziosi, che occupava la parte occidentale dell’area delle terme fino a pochi decenni prima dell’eruzione nel 79 d.C. Anche la Pompei che pensavamo di conoscere già, è una scoperta che continua.”

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1 Comment

  1. Grazie per l’interessante articolo.

    Credo che queste belle opportunità di informazione e di condivisione di accurato corredo fotografico dovrebbero indurci a ragionare più spesso e più severamente sulla legittimità di strategie di scavo di ricerca (e ancora più severamente se eventualmente seguite da una valorizzazione tal quale all’esito dello scavo, senza almeno parziali reinterri) che procedono alla messa in luce di allestimenti pavimentali più antichi senza rimuovere al medesimo tempo nemmeno in parte le strutture murarie in alzato di fase recenziore, le quali vi siano stratigraficamente sovrapposte, lasciando queste ultime ” in situ” nonostante la ricerca del pregevole mosaico di fase incompatibile più antica, in quanto giudicate a propria volta architettonicamente meritevoli di conservazione.
    Tale modo di procedere introduce un pensiero tendente a gerarchizzare le evidenze stratigrafiche di terra rispetto a quelle ritenute forse più pregiate in quanto murarie (sebbene a pensarci bene in un caso come questo entrambe ugualmente strutturali) e addirittura lo consolida persino nella percezione del pubblico, imponendo alla nostra attenzione una delicata questione di metodo scientifico, anche in termini di legittimità deontologica, che meriterebbe molto più risalto di quanto solitamente non avvenga.

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