Il cannibalismo come pratica funeraria durante il periodo Magdaleniano: le evidenze archeologiche

Con un nuovo studio pubblicato sulla rivista Quaternary Science Reviews, gli studiosi Silvia Bello e William Marsh del Museo di storia naturale di Londra hanno dimostrato come il cannibalismo fosse una pratica funeraria comune nell’Europa del Magdaleniano medio (tra 14,6 e 13,5 mila anni prima del tempo presente). I siti in questione in particolare si trovano in aree attualmente collocate in Inghilterra, Germania, Polonia, Francia, Spagna del nord.
Lo studio però – come vedremo – è di grande importanza anche per altri motivi.

La cultura Magdaleniana, insieme a quella Epigravettiana, costituisce uno dei due complessi tecno-culturali del Paleolitico superiore. Come periodo, il Magdaleniano viene delimitato temporalmente tra 23,5 e 13,5 mila anni prima del tempo presente. Per questa cultura, che si è evidenziata per attività complesse riguardanti la lavorazione della pietra e dell’osso, oltre che comportamenti artistici e rituali, non sappiamo però quali fossero esattamente i comportamenti funerari.
I resti ritrovati sono spesso frammentati e dispersi, e magari mostrano alterazioni post mortem che sono normalmente associate al cannibalismo.

Al fine di chiarire i comportamenti funerari durante il Magdaleniano, gli autori dello studio hanno effettuato una ricognizione generale della letteratura per la materia, di modo da identificare i siti che hanno riportato alla luce resti umani (dall’abstract dello studio). Nella loro ricognizione della letteratura, gli autori hanno anche rilevato comportamenti rituali, come ocra e corredi funerari (p. 2).
Non per tutti questi siti, in numero di 59, è stato possibile determinare il comportamento funerario, ma solo per 25. Dei suddetti 25 siti, i comportamenti funerari registrati sono di sepolture primarie per 10 depositi, di alterazioni dei resti indicative di pratiche di cannibalismo per 13 siti, mentre i restanti due mostravano entrambi i comportamenti (dall’abstract e pp. 12, 13).

Gough's Cave and Courbet Cave skull cups - © Trustees of the Natural History Museum
frammenti ossei magdaleniani con la creazione di coppe-cranio – © Trustees of the Natural History Museum

Perché i due studiosi hanno considerato il cannibalismo una pratica funeraria in questi contesti? Nella loro analisi (pp. 13-14), gli autori riportano innanzitutto gli estremi della complessa discussione in merito: partendo dall’assunto che le sepolture primarie sarebbero la modalità di espressione principale delle pratiche funerarie, il Magdaleniano sarebbe stato ritenuto “archeologicamente invisibile”, ma proprio questa mancanza – suggeriscono – potrebbe essere indicativa del fatto che il cannibalismo sia stato allora la modalità di espressione principale.
Gli studiosi rilevano altresì come l’incidenza del cannibalismo nel Magdaleniano superi l’incidenza del comportamento per tutte le epoche precedenti o successive (p. 14).
Le prove del suo essere espressione di pratica funeraria risiederebbero nel ricorrere del comportamento in un contesto storico (in questo caso si evidenzia l’alta frequenza e la distribuzione geografica), oltre che l’alterazione dei resti umani oltre l’atto cannibalistico (evidenziata per il Magdaleniano dai segni sui resti e dalle coppe-cranio), possibile indicatore di una natura rituale (dall’abstract e pp. 13-14).
Sulla base di queste considerazioni, gli autori giungono alla conclusione che il cannibalismo sarebbe stato praticato come forma di comportamento funerario dai gruppi umani del Magdaleniano.

Magdalenian bone fragments and skull cups - © Trustees of the Natural History Museum
coppe-cranio dalla Grotta di Gough, nel Regno Unito, e dalla Grotta di Courbet, Bruniquel, in Francia – © Trustees of the Natural History Museum

Gli autori sono però andati oltre, e per otto siti hanno correlato anche i dati genetici: sei siti, Brillenhöhle, Burkhardtshöhle, la grotta di Gough, Hohle Fels, La Marche e la grotta di Maszycka erano associati da una parte a resti cannibalizzati, dall’altra all’ascendenza GoyetQ2. Circa gli altri due siti, questi mostravano sepolture primarie e mentre Bonn-Oberkassel aveva una ascendenza dalla sola Villabruna, El Miròn mostrava una mescolanza GoyetQ2/Villabruna (pp. 14-15).
In altre parole, questa forte correlazione indica come comportamenti funerari cannibalistici provenissero da individui con un’ascendenza genetica simile, quella GoyetQ2, mentre tutti gli individui sequenziati in contesti di sepolture primarie mostrano un’ascendenza genetica associata ai gruppi umani della cultura Epigravettiana (Villabruna).
Trattandosi di appena otto siti, la cautela è d’obbligo per queste conclusioni.

Gli autori teorizzano che – col miglioramento delle condizioni climatiche nell’Europa del Nord durante il Magdaleniano medio (tra 18,5 e 14,6 mila anni prima del tempo presente) – sia stata possibile un’espansione umana in regioni precedentemente non abitate (p. 16). Durante quest’epoca il cannibalismo sarebbe stato praticato con maggiore frequenza in un’area geografica limitata dell’Europa (p. 17).
In seguito, nel Magdaleniano superiore e finale (tra 14,6 e 13,5 mila anni prima del tempo presente) le migrazioni verso Nord di individui con ascendenza genetica associata ai gruppi umani della cultura Epigravettiana avrebbero determinato una graduale sostituzione delle popolazioni che avevano ascendenza associata ai gruppi umani della cultura Magdaleniana. Le sepolture primarie divennero così più comuni rispetto al cannibalismo come pratica funeraria nell’Europa nord-occidentale (p. 17).

 

In conclusione, gli autori ritengono che emergano domande circa l’omogeneità della cultura Magdaleniana, sulla base delle due diverse forme di pratiche funerarie riscontrate (p. 17).
Invitano anche alla prudenza riguardo l’incidenza del cannibalismo come pratica funeraria durante il Magdaleniano (p. 13) e riguardo il collegamento che hanno effettuato tra dati genetici e comportamenti funerari, poiché le conclusioni che loro hanno potuto trarre sono state effettuate solo sulla base di 8 siti su 25 (p. 17).
Gli studiosi suggeriscono che ulteriori analisi – di sequenziamento di ulteriore materiale genetico da una parte, e circa i resti dei siti per i quali non è stato possibile giungere a una conclusione dall’altra – potranno ulteriormente chiarire il quadro in questione (p. 17).

Lo studio Cannibalism and burial in the late upper Palaeolithic: Combining archaeological and genetic evidence è stato pubblicato nella rivista Quaternary Science Reviews.

Þegi þú, Týr, þú kunnir aldregi bera tilt með tveim; handar innar hægri mun ek hinnar geta, er þér sleit Fenrir frá.

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