Il garofano rosso di Elio Vittorini. L’intenso: questo è il problema

Lo è davvero se pensiamo ad un’età complessa come l’adolescenza. E lo scrittore Elio Vittorini lo sapeva bene tanto da immortalarlo nelle pagine di un noto romanzo a puntate, Il garofano rosso1, più e più volte censurate al punto da vederne l’ultima pubblicata a distanza di tre anni dalla prima. “Che fatica!” Diremmo noi. È davvero lo fu, tanto che egli stesso ebbe pure l’impressione che quell’opera non fosse più sua tanti erano stati i rimaneggiamenti per non incorrere nell’oltraggio alla morale e al buon costume. Ma cosa avrà scritto di così scandaloso da meritare questo trattamento?

Il garofano rosso, di Elio Vittorini
La copertina del romanzo Il garofano rosso, di Elio Vittorini, nella prima edizione integrale pubblicata da Arnoldo Mondadori Editore (1948) nella collana La Medusa degli Italiani. Immagine di Antonella Alberghina, licenza d’uso

Nella prefazione al romanzo edito nel 1948 lo stesso Vittorini riferisce:

[…]Ma era dall’autunno del ’35 che io non avrei potuto riconoscere più come mia, e insomma come vera, nessuna delle ragioni per le quali avevo scritto il Garofano rosso.

[…]voglio solo precisare che io m’ero accorto di non avere più nel Garofano rosso un libro “mio” nell’atto stesso in cui lo ritoccavo per la censura.

Ma cosa avrà scritto di così scandaloso da meritare questo trattamento?

È la storia di un sedicenne liceale siciliano alle prese con le prime infatuazioni da una parte e la simpatia per il fascismo delle origini dall’altra. Un adolescente che vive i conflitti e i problemi legati alla sua età, diviso tra impegni scolastici e voglia di evasione, tra condizioni e libertà, tra convinzioni e ideali illusori.

Il suo nome è Alessio, Alessio Mainardi, insieme protagonista e voce narrante. È infatti proprio lui che racconta in prima persona il suo percorso di crescita e formazione, il passaggio dall’adolescenza alla maturità, scandito dall’esperienza del sesso e dell’amore e dall’attrazione verso la violenza e il sangue, identificati nella condotta delle squadriglie fasciste.

Il romanzo è ambientato negli anni del delitto Matteotti, ad opera dei fascisti, evento che scuote e sdegna profondamente l’opinione pubblica del tempo e inizia a mettere in dubbio la credibilità del fascismo.

Ma in Alessio non vi è ancora nessuna consapevolezza di ciò; lui vive e frequenta un gruppo di ragazzi più grandi che trovano nella cava un luogo di confronto e di riunione.

Il titolo del romanzo richiama l’attenzione sul pegno d’amore che Alessio riceve per posta da una ragazza più grande di lui, Giovanna, di cui sembra essere innamorato e da cui riceve appena un bacio.

E da lì un susseguirsi di eventi porta Alessio a perdere l’anno scolastico e a dover tornare al suo paese per studiare e recuperarlo. I ricordi del sua infanzia impazzano nella sua mente e ritorna a farsi sentire il dissidio tra bene e male, paradiso e inferno e l’attrazione verso questi ultimi anche se deleteria.

Mentre si trova a guardare dalla finestra alcuni bambini che giocano ripensa a quando era bambino

[…]Ci si metteva in fila, con la faccia nascosta l’uno sulla schiena dell’altro e si aspettava che due bambine o ragazze passassero. Una era l’angelo che portava in paradiso e una era il diavolo che portava all’inferno. Ma non si sapeva chi fosse l’angelo, chi fosse il diavolo. Si aspettava ad occhi chiusi ed esse passavano a toccare via via con la mano l’ultimo della fila. Passavano senza dare la voce. Toccavano e noi si doveva rispondere “no” o “sì”. E ci si doveva mettere dietro a chi rispondevamo di “sì.”

Ma ci importava solo di andare con la bambina preferita.

[…]Ritrovando il gioco antico, ora io mi stupivo che, mentre lo avevo supposto scomparso col tempo in cui lo giocavo, fosse vivo ancora.

[..]E ritrovavo l’emozione di quando lo avevo giocato, il buio di quando avevo aspettato. Tremavo come allora. E sentivo tutta la mia vita immersa nella paura di non indovinare la mano che volevo seguire, dico la mano della più cara che non importava se conduceva all’inferno, se conduceva in paradiso.

La linea di confine tra ciò che giusto e ciò che non lo è non importa più, anzi a guidare la scelta nel gioco come nella vita sono le sensazioni, le emozioni che Alessio prova e che lo spingono a commettere degli errori e a maturare.

Il libro ha inizio proprio con l’innamoramento di Alessio e il gioco di Giovanna, una ragazza più grande che, inizialmente lusingata dalle attenzioni e dalle lettere di Alessio, finisce con l’illuderlo acconsentendo al suo bacio.

In questo momento Alessio parla di voler bene, “una bontà furiosamente vitale”, così descrive il sentimento che prova nella sua purezza e ingenuità, ma anche nel suo trasporto e nella sua forza misti alle immagini e ai profumi dell’infanzia.

[…]Fu con questo senso di enorme bontà che la baciai; e fu appena un battito di labbra contro le sue labbra, profondo e vivo però nella sua gentilezza. Le sue labbra non fuggirono, le sentii anzi salire sotto le mie. E mi chiesi: “È un bacio? È stato un bacio?[..]

Essa sorrideva, poi non più.

[…]Rividi il fico. Qualcosa di stranamente orientale era stato, l’albero dei fichi, nella mia infanzia. Una Persia, un’Arabia […]

[…]Rividi il fico con le sue foglie che si muovevano come lucertole nel sole, e rividi il cortiletto, l’aria, un uccello grigio che giunse di là dai muri e si posò su qualche cosa. Insomma rividi il mondo. Ma non mi riprese l’incanto disoccupato di prima. Tutto ora aveva una sua appuntita ragione precisa di piacermi. E tutto, anche l’odore del fieno, anche le voci di marcia e il passo di marcia che venivano dalla palestra femminile, ora mi facevano pensare in un nuovo modo. Quello ch’era successo sarebbe continuato… Il bacio di Giovanna sarebbe continuato.

Ma a quel momento di eccitazione subentra di colpo la delusione. Giovanna aveva comunicato ad Alessio attraverso un’amica che non poteva esserci niente tra loro e che il bacio era stato un errore.

[…]Insomma la mia compagna è una donna e lei, Mainardi, scusi se glielo dico, lei è un ragazzo.

Nonostante tutto lui aveva creduto di poter costruire qualcosa con Giovanna e che lei fosse l’amore della sua vita.

[…]Io sentivo di volere bene a Giovanna proprio nel punto in cui mi trovavo con tanto Liceo davanti e tanta Università; e sentivo che nulla poteva esserci di più serio di questo fra me e lei, e di più reale.

Doveva rassegnarsi all’idea che Giovanna sarebbe stata solo un ricordo.

A seguito di un periodo di assenza da Siracusa, al suo rientro Alessio scopre che tutto è cambiato…

Il suo amico Tarquino ha lasciato la pensione che condivideva con lui, e ha tradito la sua fiducia approcciandosi a Giovanna.

Così Alessio, intenzionato a vendicarsi prende a frequentare Zobeida, l’amore di Tarquinio, ma ne rimane profondamente legato.

Dall’idealizzazione della figura di Giovanna che scopre essere diversa da come l’aveva immaginata e del sentimento per lei, tradito da quest’ultima che cede al corteggiamento dell’amico di Alessio, Tarquinio, Alessio si abbandona alla passione irrefrenabile per Zobeida, donna dai facili costumi con cui il protagonista scopre la sessualità.

È proprio la scoperta del sesso scandita da immagini erotiche definite scabrose a necessitare l’azione di censura sul romanzo.

Da quella prima esperienza in poi tutte le azioni di Alessio ruotano intorno alla scoperta dell’INTENSO che non sa definire in modo preciso e ora distingue ora confonde col sentimento d’amore.

Cos’è l’intenso o cosa rappresenta per Alessio?

La risposta la fornisce egli stesso descrivendo il desiderio e la forte attrazione che lo trascinano tra le braccia di Zobeida.

[…]C’era qualcosa di intenso e di diverso della solita cosa che si poteva ottenere da una donna. Questo solo mi occupava. E lo credevo improvvisamente necessario ottenerlo come una salvezza. Quella donna poteva darlo… E come ora sapevo che si poteva averla, lei che poteva darlo, credevo necessario come una salvezza andare e ottenerlo. Improvvisamente dal fondo stesso del bene che volevo a Giovanna, e dal fondo dei mesi passati in campagna, e dal fondo della mia amicizia con Tarquinio e della mia gioventù e di tutto, sentivo che avevo bisogno di una salvezza.

[…]Essa mi aveva dato l’intenso.

[…]Essa era viva, ora, mi stringeva il viso dentro le braccia, e fu credere, averla. Erano molecole di fede che si avvicinavano, si annodavano come una cosa che nascesse. Pensavo: è questo l’intenso? E sarebbe cresciuto ancora? Sarebbe stato di più? Sarebbe stato tutto l’intenso? Volevo che fosse tutto… E intanto diventavo un altro essere e mi pareva di apprendere che anche lei diventava un altro essere. Era nel suo diventarlo, l’intenso? Finii di pensare, credetti che era l’intenso e mi prese una gran gioia, e nella immensità della gioia mi attaccai ai suoi capelli, glieli strappai forte[…]

Forse Alessio definiva intenso il godimento fisico del suo rapporto con Zobeida.

[…]Essa mi aveva dato “l’intenso”. Si era abbandonata… O forse no? Certo mi pareva, a pensarci, di essere finalmente riuscito a dire quello che mai si riesce a dire: il bene. Come se le volessi bene!

La loro relazione e loro incontri continuavano e la sua percezione di intenso diventava sempre più ambigua. Gli sembrava di confonderlo col voler bene in virtù del piacere che gli procurava. Ma fu proprio Zobeida a chiarire che il loro amplesso non era l’intenso o almeno non era l’intenso che lui voleva.

[…]Dopo me ne andai alla finestra con una gran voglia di dare pugni nei vetri. Non avevo avuto “intenso”, non avevo avuto affatto la grande impressione di “dire il bene” dell’altra volta. Ed ecco, avrei voluto gridarle che non le volevo bene. Ma soprattutto dirle che a qualcuno potevo veramente volere bene. Aprii la finestra e un triste odore di foglie entrò nella camera. Vedevo la pioggia, alberi, un muro rosso in fondo e ombrelli che passavano al di là; poi ci fu il rumore di una carrozza e mi sentii come preso io stesso dalla pioggia, e gli occhi mi si riempirono di lagrime. Ecco, davvero lagrime. Perché, perché? Mi chiedevo. Era come mi avesse battuto e avesse ricacciato dentro di me qualcosa.

La sua esperienza con Zobeida adesso si ridimensionava e, se anche fosse stata una svolta per la sua vita, non era la sola cosa di cui aveva bisogno, era solo una lente di ingrandimento attraverso cui guardare se stesso e gli altri; era solo un’uscita fuori da sé per capire cosa voleva davvero e cosa fosse per lui importante; era crescere, maturare e pensare a come costruire il futuro. Avrebbe avuto la vita davanti.

[…]Ma io non sarei tornato, pensai ancora con tutto me stesso, oh io avevo Giovanna e avrei avuto la scuola insieme a lei.. E avrei dato gli orali, sarei stato promosso. Poi la scuola sarebbe cominciata – con la grigia luce dei suoi occhi sui banchi. Anche questo sarebbe stato gridare di bene; sarebbe stato “intenso”. E le avrei rubato i quaderni per scriverci dentro – carissima -. Mi ricordai come lo sentivo di gridarlo, il bene, quando la scorgevo nella sua strada, improvvisamente uscita di casa: era sempre vestita d’azzurro e di rosso, ed era alta, coi suoi libri sotto il braccio.

Invece ritornò più volte sui suoi passi, ritornò a giacere con Zobeida e a possederla, e a pensare anche a Giovanna.

E allora cos’era che Alessio desiderava tanto?

Entrambe, Zobeida e Giovanna, o ciò che loro rappresentavano: due facce dell’eros egualmente importanti, passione e sentimento che in lui si alternavano, si confondevano e si identificavano.

È nelle ultime pagine che l’intenso si concilia con il garofano rosso dato ad Alessio da Giovanna e conservato da Zobeida.

Ed è la stessa Zobeida che apre gli occhi ad Alessio sul significato di quel pegno d’amore:

[…] tu credevi di volere solo il suo garofano, un segno del suo bene… E sei venuto a prendere da me, e hai preso quello che non credevi di volere da lei… Si è così bambini! E ora tu pensi di voler bene a me!

Elio Vittorini
Elio Vittorini (Milano, 1949), autore del romanzo a puntate Il garofano rosso. Foto di Federico Patellani, in pubblico dominio

Il romanzo – fortemente autobiografico – si svolge come percorso di crescita e di maturazione del giovane Alessio Mainardi, figura che richiama quella dello scrittore. Nonostante le resistenze e le censure volute dal regime, fa guadagnare all’autore Elio Vittorini una discreta notorietà e nel 1976, diventando una pellicola cinematografica (dal titolo Garofano rosso) con la regia di Luigi Faccini e la partecipazione di Miguel Bosè nel ruolo di protagonista, viene conosciuto da un pubblico decisamente più ampio. Dobbiamo invece aspettare la pubblicazione di “Conversazione in Sicilia” nel 1941 per parlare del successo letterario di Vittorini.

La copertina del romanzo Il garofano rosso, di Elio Vittorini, edito da Bompiani (2018) con introduzione di Cesare De Michelis
La copertina del romanzo Il garofano rosso, di Elio Vittorini, edito da Bompiani (2018) con introduzione di Cesare De Michelis

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Note:

1 Romanzo edito a puntate sulla rivista Solaria a partire dal 1933 e pubblicato integralmente solo nel 1948.

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