Uno dei più acclamati fra i dodici candidati al Premio Strega 2020 è il secondo romanzo di Daniele Mencarelli, Tutto chiede salvezza, uscito per Mondadori il 25 febbraio 2020.

Il libro tratta con tatto ed efficacia un tema delicato e quanto mai complesso, quello della malattia mentale: si tratta, infatti, della cronaca, giorno per giorno, dei sette giorni del TSO a cui viene sottoposto il protagonista (nella finzione, omonimo dell’autore), un ventenne che soffre di depressione e attacchi di rabbia. Ed è proprio dopo un’esternazione particolarmente violenta e devastante di questa rabbia che il giovane è costretto ad un trattamento sanitario obbligatorio, in una caldissima settimana dell’estate 1994, nei giorni d’esordio dei mondiali di calcio in USA.

L’autore non è nuovo a questo tipo di tema. Nel suo primo romanzo, La casa degli sguardi, Mencarelli ci raccontava di un altro giovane (ancora una volta Daniele), affetto da depressione, e del suo tentativo di dare un senso alla propria vita. Entrambi gli omonimi protagonisti hanno a che fare con la poesia. Quello de La casa degli sguardi il poeta lo fa di professione, mentre il Daniele di Tutto chiede salvezza scrive poesia nel tempo libero, condividendola solo con sua madre, e, nel piccolo frangente costituito dal suo TSO, ad un certo punto, anche con i compagni di reparto.

Non è un caso che Daniele Mencarelli, prima ancora che romanziere, sia un poeta. È forse proprio la poesia a conferirgli il tatto e la delicatezza con cui raccontare storie tanto dolorose e spesso controverse, se si pensa ai pregiudizi e alle idee distorte che sono ancora drammaticamente diffuse riguardo i problemi di salute mentale.

La trama è estremamente semplice, leggiamo il resoconto giornaliero del TSO, fatto in prima persona dal protagonista. I personaggi, che conosciamo attraverso il filtro della percezione di Daniele, sono molto ben delineati. I “compagni di prigionia” (per quanto totalmente improprio sia il termine prigionia) sono esempi della varietà di ragioni per cui si può finire in un ospedale psichiatrico.

I compagni più vicini a Daniele sono due: Gianluca, un giovane uomo con disturbo bipolare, costretto ad un TSO da un episodio di depressione maggiore, e la cui madre bigotta collega il problema psichiatrico del figlio alla sua omosessualità; e Giorgio, un gigantesco e muscoloso trentenne, vittima del proprio autolesionismo e di violentissimi attacchi di rabbia, in seguito al trauma della perdita della madre, che non poté vedere un’ultima volta, dopo la morte improvvisa, quando lui era solo un bambino.

Sebbene queste siano le personalità più definite e approfondite (perché più vicine al protagonista), le storie degli altri pazienti risultano altrettanto ben delineate. Abbiamo Mario, un maestro in pensione, apparentemente “normale” nel presente, ma vittima di un passato atroce, Alessandro, affetto da catatonia, e “Madonnina”, un ragazzo, ormai incapace di rispondere di sé, che ripete la straziante preghiera “Maria ho perso l’anima, aiutami Madonnina mia”.

Ma non sono questi gli unici personaggi della storia. Uno dei meriti di Mencarelli è quello di aver saputo ricostruire un intero microcosmo, che include pazienti, medici e infermieri. Abbiamo infermieri anestetizzati dall’abitudine di un lavoro così aspro, altri infermieri, invece, ben più capaci di stabilire un rapporto empatico con i pazienti. Poi abbiamo i medici, alcuni più distaccati, altri più attenti. Non ci troviamo di fronte a una realtà dalle tinte necessariamente chiarissime. Non ci sono pazienti buoni e medici cattivi, né medici buoni e pazienti cattivi. Ci sono esseri umani con storie diverse. Esseri umani che, come da titolo, chiedono salvezza, apertamente (come Daniele) o in silenzio, quasi nascondendolo (come Mario, o perfino Alessandro). Esseri umani capaci di sentire la vita con più o meno forza, capaci di percepire tanto o poco, troppo o niente. Capaci o incapaci di curare o curarsi.

Va detto: in questo romanzo non succede moltissimo. Sono pochi gli episodi veramente drammatici, che contribuiscono al dipanarsi della trama. Eppure sono lì, e mantengono la propria forza, senza sconfinare in eccessi o drammi irreversibili. Questa diffusa semplicità (nella trama, negli episodi salienti) si ritrova nei dialoghi – un po’ in italiano, un po’ in romanesco – e nella lingua della narrazione, che è asciuttissima, essenziale, quasi non letteraria. Non so dire se è questo tratto a farmi apparire il romanzo, nel suo complesso, poco incisivo. Qualcosa manca, qualcosa sfugge. Se, da un lato, questa delicatezza (e torno a ripetere questo termine, quasi fino alla nausea) è sicuramente meritevole di elogio, dall’altro è come se stemperasse la letterarietà e la forza del romanzo.

È, comunque, in sostanza, una prova letteraria interessante, quella di Mencarelli con Tutto chiede salvezza. È tempo che si scriva di più (e bene) anche in Italia – perché in altri paesi, già lo si fa di più e da più tempo – su temi di questo tipo, e Daniele Mencarelli sembra aver trovato il suo personale ed efficace linguaggio per farlo.

 

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La copertina del romanzo Tutto chiede salvezza di Daniele Mencarelli, pubblicato da Mondadori

 

Tutto chiede salvezza di Daniele Mencarelli è candidato alla LXXIV edizione del Premio Strega.  

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