Pittore veneziano dallo stile inconfondibile, Emilio Vedova (1919-2006) si configurò come un’artista autodidatta fortemente attivo in campo nazionale ed internazionale. Definito come il fratello italiano di Jackson Pollock, introdusse negli anni Cinquanta del Novecento un linguaggio estetico inusuale e rivoluzionario, con una tendenza alla non figurazione vissuta in maniera molto passionale.

Image of Time (Barrier), 1951. Foto di G. Starke, CC BY-SA 2.0

Dopo una fase limitata di frequentazione di un corso serale di decorazione, aderì al gruppo Corrente insieme ai colleghi Birolli, Vittorini, Guttuso e Morlotti, prendendo parte alla resistenza nel 1943. Fondò il Fronte Nuovo delle Arti a Venezia e inizialmente mostrò l’influsso della corrente postcubista compiendo una serie dalle tonalità bianco-nere denominata per l’appunto “Geometrie nere”, sebbene in seguito aderì pienamente all’Informale. Nel 1951 a New York ebbe luogo la sua prima mostra personale negli Stati Uniti e l’anno successivo divenne membro del Gruppo degli Otto. Nel 1958 compì le sue prime litografie e dopo un anno dipinse “Scontro di situazioni”, ampie tele a forma di L inserite in un ambiente scuro ideato da Carlo Scarpa a Venezia. Ulteriori cicli di opere molto noti furono “Ciclo della protesta” e “Cicli della Natura”. Curò altresì le scenografie e i costumi dell’opera “Intolleranza ’60”, mentre tra il 1961 e il 1965 eseguì i cosiddetti “Plurimi”, ossia dipinti e sculture di legno e metallo distinti, complessi e mobili. In occasione dell’Expo del 1967 preparò per il padiglione italiano un collage-luce con minuscole lastre inserite in un ambiente asimmetrico ove proiettare figure cangianti.

Absurdes Berliner Tagebuch `64, 1964 (Plurimo 1-7), Berlinische Galerie. Foto di Ingo Ronner, CC BY 2.0
Absurdes Berliner Tagebuch ’64, Berlinische Galerie. Foto di Jean-Pierre Dalbéra, CC BY 2.0

Tra i numerosi riconoscimenti ottenuti vi sono il premio per giovani pittori alla Biennale di San Paolo nel 1951, il Guggenheim International Award nel 1956, il premio per la pittura alla Biennale di Venezia nel 1960. Svariati i ruoli prestigiosi ricoperti, tra i quali ricordiamo il compito di direttore dell’Internationale Sommerakedemie a Salisburgo, lo svolgimento di svariate conferenze negli Stati Uniti e l’attività di insegnamento presso l’Accademia di Belle Arti di Venezia. Ha infine ricevuto le onorificenze di “Cavaliere di Gran Croce della Repubblica Italiana per meriti culturali” e la “Medaglia d’oro ai benemeriti della cultura e dell’arte”.

Emilio vedova, senza titolo, 1957-59. Foto di Sailko, CC BY-SA 4.0

Al termine degli anni Settanta sperimentò varie tecniche, ad esempio l’uso di opere mobili su dei binari d’acciaio (Plurimi-Binari), i monotipi e l’incisione su ampi vetri. L’artista usò il corpo per cifrare l’idea di spazio, dando importanza alle forme com’è visibile nel ciclo dei Dischi realizzati a partire dal 1985. D’altronde, l’espressionismo astratto gioca con il concetto di spazio, negando il valore del figurativo ed attuando un uso accorto del colore. I suddetti dischi sono pannelli circolari doppi dalla peculiare cromia, esposti in suggestive location quali la Fattoria di Celle (dove eseguì i primi esemplari, denominati “Non dove”, decorati su ambedue le facce) e il Castello di Rivoli.

Tra i dischi più rilevanti va menzionato “Chi brucia un libro brucia un uomo”, mega installazione che
rievoca la distruzione della biblioteca di Sarajevo a seguito di un incendio durante il periodo bellico,
nonché l’antecedente ciclo di opere “Dischi, Tondi e Oltre” compiute tra il 1985 ed il 1987. Tali
creazioni furono l’esito di un intenso periodo di ricerca relativa alla sacrale figura del cerchio in
contrapposizione all’universo mutevole, caotico ed asimmetrico percepito dal suo sguardo d’artista.
I Tondi sono dipinti su tela realizzati su un unico lato, mentre gli Oltre sono costituiti da tondi
all’interno di quadrati, completando la sua attività di rottura e di superamento delle barriere.

La realizzazione dei grandi teleri all’inizio degli anni Ottanta ha preparato questa successiva
riflessione sulla circolarità, in quanto nel corso della sua lunga carriera artistica ha sperimentato
discipline differenti spinto da un irrefrenabile spirito di ricerca. Il suo obiettivo era catturare lo spazio
mediante tutte le sue variegate produzioni: schegge, frammenti e dipinti perfettamente inseriti
nell’ambiente circostante, in un dialogo perfetto tra le opere e lo spazio architettonico che le
custodisce.

Emilio Vedova, senza titolo (prova impossibile), 1985. Foto di Sailko, CC BY-SA 4.0

Vedova assume importanza nell’arte in quanto simbolo della sperimentazione, di ricerca del nuovo
da dipingere, realizzando opere energiche all’interno di una società novecentesca in continua
evoluzione. Fu capace di rinnovarsi pur non alterandosi, adottando progressivamente una scelta più
raffinata dei supporti, giungendo anche a geometrie atipiche. L’esito di questo processo è
rappresentato da opere contraddistinte da pennellate nervose che veicolano la potenza del segno privo
di riferimenti, emergente in virtù della sua forza emotiva.

Emilio Vedova a Darmstadt con Pierre Kröger (4 agosto 1986). Foto dello stesso Pierre Kröger, CC BY-SA 4.0

Successivamente alla sua morte è stata organizzata ai Magazzini del Sale una mostra con le sue
opere in movimento, così come ideato dall’amico Renzo Piano: affiancate da un sottofondo musicale,
offrono allo spettatore uno stimolo multisensoriale davvero affascinante. Un gesto ammirevole da
parte della Fondazione Emilio e Annabianca Vedova che continua a rimembrare ed omaggiare questo
peculiare artista nostrano.

Sitografia:

Fondazione Emilio e Annabianca Vedova

Peggy Guggenheim Collection

Artribune

Emilio Vedova. Foto di Rober l, CC BY-SA 4.0

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