Una nuova sala che amplia la già ricca visita ad uno dei Musei più importanti d’Italia, l’Egizio di Torino, permetterà ai visitatori di percorrere un viaggio a ritroso nel tempo in un percorso su due piani intitolato “Alla ricerca della vita” dove, a costituire il fulcro dell’esposizione permanente, saranno 91 mummie che fanno già parte della collezione del Museo.
Chi visitando il Museo Egizio di Torino non è rimasto affascinato dalle mummie, dai sarcofagi riccamente dipinti e dai corredi che spesso accompagnavano queste sepolture? Tracce di storie che si perdono nel tempo e che raccontano la vita di esseri umani e della loro terra.
Grazie ad una speciale pellicola, sei di queste mummie si sveleranno al pubblico raccontando, laddove possibile, le loro storie. “Alla ricerca della vita” approfondisce il tema della vita nella terra dei faraoni, il rapporto di questa cultura con la tecnica della mummificazione e il concetto di aldilà, partendo da un approfondito studio sui resti umani e dei corredi che accompagnavano i corpi.
Sei mummie quindi che si raccontano e si svelano, differenti per età, da una vita nemmeno sbocciata alla maturità di una donna di cinquanta anni. Un ambiente raccolto e intimo in cui ci si confronterà con l’esperienza della vita, nel pieno rispetto nell’esposizione di resti umani e organici, di uomini, donne e bambini vissuti fra i 4 mila e i 2 mila anni fa.
Il ricco corpus di informazioni, restituite ai visitatori attraverso i testi e i video presenti in sala, è frutto del lavoro di ricerca realizzato dallo staff scientifico del Museo, nonché della collaborazione con gli esperti del partner scientifico esterno, l’Eurac Research di Bolzano. Gli studi, sia antropologici che conservativi, condotti su tutte le mummie e i resti umani della collezione del Museo, hanno permesso di raccogliere una vasta mole di dati e di realizzare veri e propri “sbendaggi virtuali”, consentendo inoltre di osservare aspetti perlopiù invisibili all’occhio umano e di scoprire dettagli inediti sulla vita e le patologie di esseri umani vissuti anche più di 4000 anni fa.
“Questo progetto nasce da un’esigenza conservativa ma, in linea con la volontà di rendere i magazzini del museo accessibili ai visitatori, intende fornire un “affaccio” sui reperti qui custoditi e sulle ricerche condotte su di essi, ripercorrendo una vita ideale dalla nascita all’età avanzata. Gli spazi di ‘Alla ricerca della vita’ rappresentano non solo un nuovo spazio a disposizione dei visitatori, ma inaugurano un nuovo capitolo della riflessione del Museo sullo studio e l’esposizione dei resti umani della nostra collezione, anche in dialogo con il pubblico, chi accederà alla sala potrà infatti farci conoscere il proprio punto di vista sul tema compilando il questionario, che abbiamo creato ad hoc, compilabile in tempo reale da smartphone attraverso un QR Code dedicato. Allo stesso modo tutti i contenuti multimediali della sala sono liberamente accessibili attraverso il nostro sito, per dare l’opportunità a tutti di fruirne, e di espandere l’esperienza anche al di fuori della sala”.Christian Greco, direttore Museo Egizio.
Cosa sappiamo di queste mummie? Qual è la loro storia? Il primo reperto esposto è una scatola di legno risalente al Secondo Periodo Intermedio (1550-1450 a.C.) contenente i resti di un feto. Una testimonianza molto toccante che non solo mette in luce quanto la gravidanza fosse un momento delicato della vita di una donna e di una famiglia ma legato anche a precisi rituali, come dimostrano le numerose testimonianze letterarie su papiri medici e formule magiche risalenti allo stesso periodo.
Numerose testimonianze sulla fanciullezza nell’Antico Egitto sono inoltre chiarite anche dai reperti di un corredo funebre appartenenti alla mummia di un bambino di circa 4-5 anni e vissuto in epoca tolemaica. L’accurato rito di mummificazione e il sudario riccamente decorato suggeriscono inoltre l’appartenenza ad una famiglia di alto rango.
Meres, una ragazza di circa 13 anni, la cui mummia risale al 2100 a.C. è adagiata sul fianco sinistro, usanza tipica dell’epoca, e aveva una maschera funeraria in cartonnage. La cassa lignea che doveva contenere il corpo non è giunta sino a noi ma, come in uso probabilmente, diverse formule magiche accompagnavano la giovane nel suo lungo viaggio verso l’aldilà. Ad ulteriore protezione del corpo inoltre c’era anche un amuleto, individuato al di sotto delle bende e visibile grazie alle analisi condotte con una TAC.
Non conosciamo la vita di Meres, cosa facesse, la sua vita, ma testimonianze dello stesso periodo in cui visse, seppur in rari casi, ci raccontano di fanciulle che sapevano leggere e scrivere e chissà forse la stessa Meres poteva avere ricevuto in famiglia una minima istruzione di pratica alla scrittura che all’epoca era riservata agli uomini. Oppure chissà, la famiglia poteva averla avviata già ad una professione tipicamente femminile come la balia, la tessitrice, la mugnaia o una sacerdotessa. Non lo sapremo mai.
La quarta storia raccontata è invece quella di una sedicenne, il cui sarcofago faceva parte della collezione acquistata da Bernardino Drovetti nel 1824. Indagini al radiocarbonio hanno però messo in luce alcuni aspetti discordanti tra il sarcofago e il corpo in esso contenuto. Il C14 e gli studi stilistici datano il contenitore al V secolo a.C. e questo reca anche il nome di una donna, Menrekhmut ma il corpo invece si data al II secolo a.C. e il nome non è quello indicato sul sarcofago. Ci troviamo di fronte a due vite diverse, indicanti anche datazioni diverse. La mummia, inoltre, reca i segni di una imbalsamazione molto accurata con l’asportazione degli organi interni ad eccezione del cuore, considerato sede dell’intelletto e dello spirito del defunto.
Imhotep era un personaggio di particolare importanza. Alto funzionario della corte del faraone Thutmosi I i cui resti ed il corredo sono esposti oggi al Museo e la tomba, ritrovata nella Valle delle Regine, è una scoperta dell’allora direttore del Museo Egizio Ernesto Schiaparelli insieme a Francesco Ballerini nei primi mesi del 1904. Il personaggio non doveva essere molto alto, circa 1.60 cm e doveva essere morto all’incirca all’età di 40 anni. La tomba del “visir” Imhotep fu saccheggiata come dimostrano le condizioni del corredo e del corpo ma la sua importanza e soprattutto il ruolo che svolgeva presso il faraone, era il suo “secondo”, lo conferma il fatto che circa 200 anni dopo la sua morte il sacerdote Userhat I lo fece ritrarre all’interno della sua tomba assieme a due suoi famigliari.
Una donna di 50 anni chiude il percorso “Alla ricerca della vita”, all’epoca un’età considerata già matura ma comunque tenuta in grande considerazione vista l’appartenenza ad un’alta classe sociale. Non conosciamo il suo nome né la sua provenienza, la datazione al C14 la colloca alla XXII Dinastia, durante il Terzo Periodo Intermedio (945-712 a.C.) e dal confronto con altri reperti della stessa epoca l’area di provenienza dovrebbe essere quella di Tebe. L’età matura, per gli Egizi, corrispondeva alla fine delle attività lavorative e al conseguente mantenimento per il sostentamento da parte dei figli.
Il Museo Egizio, in questi anni, ha spesso riflettuto assieme ad altre Istituzioni che condividono lo stesso tipo di reperti, alla questione sul come esporre i resti umani. Una questione di grande complessità, soprattutto etica che vede il Museo impegnato sempre in un grande confronto anche con il proprio pubblico e la comunità scientifica internazionale. Già dal 2015, l’anno dell’inaugurazione del nuovo allestimento, la scelta dei curatori e del Direttore Christian Greco è stata quella di indicare, mediante appositi cartelli, la presenza di resti umani all’interno di teche e alla necessità di accostarsi ad essi con assoluto rispetto.
Nel 2019 il Museo Egizio ha inoltre commissionato all’Istituto di ricerca Quorum un sondaggio riguardo al tema dell’esposizione dei resti umani nei musei i cui risultati dell’analisi hanno confermato un interesse positivo dei visitatori e nel complesso anche l’apprezzamento per come questi venissero trattati ed esposti.