Napoli, primo Novecento.
No, non è l’inizio di un romanzo, né l’incipit di un fatto di cronaca, ma semplicemente il racconto di un’amicizia.
In una delle strade della vecchia Napoli, profondamente trasformata dal «Risanamento», avviene l’incontro di due ragazzini che quasi ricordano quel «dal vero» girato dai fratelli Lumière a Napoli, dallo sprezzante titolo Mangia maccheroni: Eduardo e Totò.
Due geni, due Artisti destinati a rivoluzionare il mondo del teatro e del cinema, ma soprattutto due ragazzi che condividono la difficile “diversità” d’esser figli illegittimi, nella Napoli d’inizio Novecento:
il primo, insieme a Titina e Peppino, figlio del grande Eduardo Scarpetta e di Luisa De Filippo (nipote della moglie); il secondo, riconosciuto a trentacinque anni, figlio di una giovane ragazza palermitana e del Marchese Giuseppe De Curtis.
È proprio questa triste condizione comune, accompagnata dalla fame, a sancire un’ amicizia profonda, ulteriormente suggellata nel ’49, anno di lavorazione dell’adattamento cinematografico di Napoli milionaria.
Totò, pur essendo nello stesso anno sul set di Totò le Mokò e Totò cerca casa, entusiasticamente decide di partecipare gratuitamente al film, nei panni dell’indimenticabile Pasqualino Miele, in segno d’omaggio al legame che lo lega ad Eduardo.
De Filippo, ultimato il film, invia alla moglie del Principe, Diana, una collana d’oro, riccamente ornata di brillanti, accompagnata da una lettera che è tra le più commoventi della storia dello spettacolo:
Caro Antonio,
A parte qualunque interesse, questa collaborazione che io ti ho chiesto, ci riporterà, sia pur pochi giorni, ai tempi felici e squallidi della nostra giovinezza.
Ogni qualvolta penso a te, Amico, te l’ho detto a voce, e voglio ripeterlo per iscritto, ho l’impressione di non essere più solo nella vita. Questa benefica certezza mi viene senza dubbio dalle infinite dimostrazioni pratiche di affetto che tu, in qualsiasi momento, mi dai.
Il senso di fratellanza è qui espressione diretta di due animi nobili, effettivamente “diversi” perché motore di due grandi Artisti, talvolta ingiustamente etichettati come uomini «intrattabili», «burberi», «inavvicinabili».
Verrebbe da chiedersi se proprio in nome dell’intrattabilità Totò si recava, di notte, nel Rione Sanità, lasciando buste piene di banconote alle famiglie indigenti; oppure se era la cosiddetta inavvicinabilità dell’ultraottantenne Eduardo a indurlo a combattere, da senatore a vita e fino alla fine dei suoi giorni, la miserevole condizione del carcere minorile Filangieri, fino all’emanazione della cosiddetta «Legge Eduardo» che tentava di lenire il problema.
De Andrè aveva ragione: «dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior».