La costruzione delle piramidi e le modalità operative adottate per la realizzazione di strutture tanto imponenti – specie in relazione ai mezzi dell’epoca – rappresenta da sempre uno dei temi più controversi del dibattito scientifico dell’egittologia e non solo, con il ramo di Khufu del Nilo recentemente finito al centro di uno studio dedicato anche alla realizzazione delle piramidi di Giza.
Da anni archeologi e studiosi si confrontano sulle dinamiche che circa 4.500 anni fa portarono alla costruzione delle piramidi di Cheope, Chefren e Micerino a Giza. Le testimonianze papirologiche (come nel caso del sito di Wadi el-Jarf, lungo la costa ovest del golfo di Suez), epigrafiche (emerse qualche anno fa nelle cave di Hatnub) e gli scavi archeologici hanno già da tempo fatto luce su alcune tecniche di trasporto adottate per agevolare lo spostamento dei blocchi impiegati per portare a termine le complesse operazioni relative all’edificazione delle piramidi.
Se ormai rampe e sfruttamento dei fiumi non sono dunque un segreto, una novità sul tema è indubbiamente rappresentata dallo studio condotto da un’équipe di ricercatori dalla Francia, dall’Egitto e dalla Cina, diretto da Hader Sheisha (Centre de Recherche et d’Enseignement de Géosciences de l’Environnement, Université Aix-Marseille) e recentemente pubblicato su Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS).
La ricerca è dedicata alla ricostruzione della storia paleoambientale del cosiddetto “ramo di Khufu”, un canale ormai prosciugato di cui possiamo postulare l’esistenza, e che all’epoca della costruzioni delle piramidi svolse un ruolo determinante – secondo gli studiosi – per il trasporto dei voluminosi materiali utilizzati a Giza.
Partendo difatti dallo studio di granelli fossilizzati di polline analizzati da cinque diverse carote di sedimenti, estratte nella pianura alluvionale a est rispetto all’area delle piramidi, i ricercatori hanno potuto confermare le ipotesi che già in passato vedevano il ramo di Khufu al centro della realizzazione delle piramidi, ricostruendone le vicende – con particolare attenzione agli innalzamenti e abbassamenti del livello dell’acqua – che nel corso dei millenni hanno poi portato al suo inaridimento.
I dati di oltre 60 piante ricavate dai campioni di sedimenti presi in esame hanno consentito di tracciare gli ultimi 8.000 anni circa della lunga storia del ramo di Khufu ormai scomparso, a cominciare dalla crescita significativa riscontrata tra i 14.800 e i 5.500 anni fa, in concomitanza con il Periodo Umido Africano (Ahp).
Con il passare degli anni il braccio del Nilo vide ridursi progressivamente la sua portata pur restando del tutto navigabile negli anni di regno di Cheope, Chefren e Micerino, agevolando così il trasporto dei materiali di costruzione dell’area di Giza.
Tuttavia, da lì in poi, come suggerito dai marcatori chimici sui denti e le ossa delle mummie egizie, la successiva aridità che dovette caratterizzare il clima negli anni di regno di Tutankhamon portò il canale ad allontanarsi via via dal corso del fiume e a perdere la sua centralità, fino al definitivo inaridimento di cui ancora oggi siamo testimoni.
Link: Djed Medu 1; 2; Nature Middle East; El Paìs; Daily Mail; The New York Times; Phys.org