L’opera Agamennone, riscrittura postmoderna dal drammaturgo Fabrizio Sinisi, viene portata in scena per la prima volta al Teatro Romano di Falerone il 14 luglio 2016 per la regia di Alessandro Machìa, scene di Elisabetta Savori e costumi di Sara Bianchi. I personaggi in scena sono quattro, il Coro interpretato dalla voce solista di Elisabetta Arosio, Agamennone dall’attore Paolo Graziosi, Cassandra da Valeria Perdonò, e infine Clitemnestra da Daniela Poggi.

L’Agamennone di Fabrizio Sinisi fu rappresentato per la prima volta al Teatro Romano di Falerone il 14 luglio 2016. Foto di FAM1885, CC BY-SA 4.0
Titolo: AGAMENNONE
autore: Fabrizio Sinisi – da Eschilo 
regia: Alessandro Machìa
interpreti: Paolo Graziosi (Agamennone), Daniela Poggi (Clitemnestra), Valeria Perdonò  (Cassandra), Elisabetta Arosio (Coro) 
scene: Elisabetta Salvatori – costumi: Sara Bianchi – luci: Simone Caproli – suono: Riccardo Rocchetti. 
Produzione : Compagnia Lombardi-Tiezzi in collaborazione con Ac Zerkalo 
Debutto assoluto : Teatro romano di Falerone (FM) – 14/07/2016 per la rassegna TAU – Teatri Antichi Uniti organizzata da AMAT Marche 

Per la trama dalle tinte noir Alessandro Machìa sceglie una regia scandita da un ritmo tanto dilatato quanto necessario nella definizione di uno spazio privato che si adombra di un vissuto inquietante e al limite del possibile umano. La riscrittura di Sinisi, infatti, sposta il punto di osservazione dalla dimensione pubblica a quella privata, prediligendo il racconto di un uomo, ancor prima che di un re e del suo ritorno in patria, dopo dieci anni di estenuante guerra a Troia.

Agamennone Fabrizio Sinisi
L’Agamennone di Fabrizio Sinisi: Paolo Graziosi (Agamennone) e Daniela Poggi (Clitemnestra). Foto di Filippo Venturi

La scenografia è atemporale, essenziale e efficace, poiché non definisce un’epoca degli eventi certa e definibile, così com’è ormai consuetudine del teatro contemporaneo:

«costituita da un’alta povera staccionata con gli interpreti che vi si stagliano contro, ma ne fuoriescono a tratti, cercando la comunicazione diretta con il pubblico nell’area dell’orchestra».

Agamennone Fabrizio Sinisi
L’Agamennone di Fabrizio Sinisi è contenuto nel suo libro Tre drammi di poesia (La grande passeggiata, Natura morta con attori, Agamennone), pubblicato da Edizioni Di Pagina (2017) nella collana Visioni Teatrali, n. 7

Il drammaturgo ha un rapporto particolare, a dir poco personale, con il mito dell’Orestea da cui la trasfigurazione poetica avviene non in un rifacimento prevedibile, bensì in una vera e propria tragedia nuova che risponde alle domande odierne e che si delinea a svelare la solitudine e il senso di abbandono di personaggi, privati del calore familiare. All’inizio il rifacimento del mito si rifà alle modalità teatrali del Living Theatre, dove la struttura registica rinuncia volutamente al purismo di un’incorniciatura fissa.

Lo spettacolo, infatti, pretende di risuonare differentemente, a seconda della fruizione dei suoi personaggi che, come nella maggior parte delle opere di Sinisi, compaiono come monadi : le loro esistenze sono cementate dal destino tragico e non possono sfuggirne, per questo si compie quell’attraversamento doloroso che, almeno in apparenza, smonta un impianto drammaturgico già preordinato. Gli eventi drammatici vengono così interiorizzati e decantati in versi di alta poeticità, dove il testo, scomposto dall’autore in un lirismo limpido, intenso, non si estranea dal tono colloquiale.

La drammaturgia è così allo stesso tempo una spietata dimostrazione delle condizioni minime dell’amore vero e una sorta di intenso controllo di tutte le insidie e gli attacchi da cui i personaggi devono disastrosamente salvarsi. I personaggi sono figure mute nel loro agire, fiacche e desolate, cariche di violenza e di rimorsi, quasi mortificati dal corpo e dal loro agire, e si muovono sulla scena narrativa alla ricerca della propria sfuggente verità interiore. L’autore individua così nel tema della potenza d’amore la nuova misura dell’Assoluto: è soltanto nell’amore che lo Spirito è in grado di affrontare l’esperienza del proprio annientamento, perché il vero amore fa in modo che si accetti la necessità di annullarsi affinché l’altro possa evolversi.

Agamennone Fabrizio Sinisi
L’Agamennone di Fabrizio Sinisi: Paolo Graziosi (Agamennone). Foto di Filippo Venturi

La trama si svolge nell’arco di tempo che va dall’arrivo di Agamennone ad Argo fino al suo omicidio. Puntualmente però con il ritorno di un vecchio Agamennone, uomo solo ed eliotianamente “vuoto”, si disonora la trasformazione della società, regno esposto allo sguardo ormai del mostro Clitemnestra. Nel testo vengono indagati diversi temi: dalla natura primitiva dell’amore, agli abissi del desiderio, al potere fra uomo e donna, al rapporto con la bellezza e con la vita come rappresentazione. Agamennone è, infatti, un

«copione che ignora l’arroganza del testo tragico e letterario; si direbbe che sia così felicemente espressivo da rinnegarsi nella sua letterarietà, trasfondendosi in comunicazione immediata, sommessa, mai declamata e bisognosa, per questo, di uno strumento-attore raffinatissimo».

La tragedia greca è dunque totalmente calata nella modernità, immaginando una contemporaneità post-atomica, lontana, astratta, una società decadente, cieca al fanatismo totalizzante e appariscente di un conflitto globale di tipo finanziario, ma in parallelo consumata nelle viscere da sanguinose guerre, pressoché ignorate o occultate dai media.

Argo si erge, infatti, come metafora di un nuovo Medioevo nel quale, a dispetto dei progetti di razionalità e di dominio sulla natura e sugli istinti, l’irrazionale ritorna rapidamente come l’elemento che imprigiona l’essere umano al proprio io, lasciando intravedere il racconto mitologico intatto al di sotto del logos.

L’Agamennone di Fabrizio Sinisi: Valeria Perdonò (Cassandra) e Elisabetta Arosio (Coro). Foto di Filippo Venturi

Il Coro, primo personaggio a comparire, è «lo sfondo dell’esistente: la città, la politica; il Coro è la società e, dunque, la paura e lo scandalo» , l’istanza etica, perduta e dimenticata del popolo: getta l’urlo dell’afflizione, dell’incubo di mariti, mogli, padri e madri, figli, chi in attesa del ritorno, chi supplice per la fine della guerra.

Scena prima
Coro, solo.
CORO Ogni guerra si sa,
proietta la sua ombra.
Ogni guerra genera un’altra guerra.
C’è la guerra di chi
parte per la guerra
e la guerra di chi rimane a casa.
La guerra dei mariti
e quella delle mogli.
La guerra dei padri e quella dei figli.
E la guerra di chi parte produce
la guerra di chi resta:
così come non solo
una madre mette al mondo un figlio
ma ogni figlio genera una madre,
trasforma una donna in una madre –
così ogni guerra scatena un’altra guerra
contrapposta e diversa
come un riflesso
perverso in uno specchio.

Sono dieci anni che Agamennone è partito.
Dieci anni che fra noi, Argo, sua città,
sprofonda la guerra della sua assenza.
È sempre bene al popolo una guida,
anche quando è una pessima guida:
è bene avere sempre qualcuno,
anche solo da odiare, qualcuno
a cui dare la colpa.
E infatti oggi, dopo dieci anni
Che Agamennone manca,
la nostra Argo è una città
distrutta dalla fame, intontita
dal disordine, ottusa
e accecata dalla febbre.
I bambini che non sono mai
partiti per la guerra
adesso sono giovani ventenni
intossicati dalla rabbia e dalla noia,
feroci, stupidi e violenti
come animali drogati.
E quasi rido nel chiamare nostro
questo luogo che pure è stato grande:
una città smarrita in un delirio
profondo, come un tropico
abissale, o l’intimo
recesso di un giungla .

Il re, invece, non appare più come l’uomo della guerra, anzi, tornato da Troia in pantalone, camicia, con uno zaino sulla spalla somiglia più ad un profugo siriano perché, come scrive l’autore, «non è più l’uomo della guerra, ma l’uomo della stanchezza e del disincanto, l’uomo che tutto sa perché tutto ha visto e tutto ha provato» . Il ritorno in patria è accompagnato dalla sua «piccola cagnetta» Cassandra, la profetessa destinata a non essere mai creduta, la giovane è bottino di guerra del re, un trastullo che non sazia la fame ingorda dell’assalitore; emblema della distrutta Troia, dal fondo di questa rovina vive nel profondo, alla radice delle cose.

L’Agamennone di Fabrizio Sinisi: Paolo Graziosi (Agamennone) e Valeria Perdonò (Cassandra). Foto di Filippo Venturi

«Sono stata violentata» – così ricorda la sacerdotessa rivolgendosi al pubblico e allo stesso Agamennone – «da Aiace sotto le insegne del mio dio / mentre intorno la città / bruciava, Merito tuo, anche. / Ricordi, Agamennone? / […] Per questo tu mi tocchi con tremore» .

L’Agamennone di Fabrizio Sinisi: Valeria Perdonò (Cassandra). Foto di Filippo Venturi

Anche in quest’occasione Agamennone, sordo alle grida disperate delle visioni infauste della concubina, anzi euforico per la sorte presente di essere finalmente ad Argo, sostiene di voler «tornare sul palcoscenico» , insomma un attore inumano imbevuto di comica tragicità.

L’Agamennone di Fabrizio Sinisi: Valeria Perdonò (Cassandra). Foto di Filippo Venturi

Si assiste al confronto tra i due amanti in un agone sfrenato, ricco di colpi d’accusa l’uno verso l’altro: Agamennone e Cassandra, nella loro perversa complicità sentimentale di padrone e di schiava, mostrano un legame tossico e impuro, ma allo stesso tempo indissolubile perché entrambi sono vittime traumatizzate dall’orrore della guerra. Troia ha cambiato i volti dei suoi vincitori e vinti, in primis di Agamennone che finalmente confessa di temere

«la malattia, la noia, / la paura. Il volto di mia moglie. / La casa e la strada, che forse / non mi basteranno più. […] Per questo la guerra mi piaceva» .

Gli anni di guerra lo hanno deriso nella sua pazzia di guerriero pronto a conquistare il mondo, tanto che rivela alla donna che la «guerra è più semplice di questo», più facile del ritorno, della vita coniugale e del trono perché

«sei lì, puro corpo, / in bilico fra la morte e la vita. / Non mi sono mai / sentito così vivo / come presso la morte, inzaccherato di sangue, / i nervi tesi, leggero, / ficcato alle radici del pensiero / dove non esiste pensiero / ma solo l’azione, stretto all’arma come / al corpo di una donna, / fedele al mio essere qui e ora / corpo, lampo, passaggio / di luce fra un’ombra / e l’altra della vita: / una gioia indicibile».

Agamennone, concluso il lucido e monologo, rassegnato al proprio destino, diventa una controfigura blanda di se stesso, pronto ad offrire la propria testa alla vendetta della moglie che, scelta una pistola, non esita a premere il grilletto fatale.

L’Agamennone di Fabrizio Sinisi: Daniela Poggi (Clitemnestra) e Valeria Perdonò (Cassandra). Foto di Filippo Venturi

Oltre il mito, tuttavia, Sinisi offre solo apparentemente una lettura più dimessa della dimensione tragica: al centro la vera protagonista della storia, Clitemnestra, una donna odiata da un popolo che lei stessa odia a morte per cui non c’è il mito e non ci sono le ostilità, ma solo il feroce rancore nutrito negli anni e per nulla disposta a perdonare il marito della scelta di aver sacrificato la figlia Ifigenia per ingraziarsi il favore divino.

Scena prima
Coro, solo.

CORO La governa, pro tempore e in assenza
del legittimo sovrano, sua moglie
Clitemnestra, la regina.
Non la vediamo mai,
se non quando decide di mostrarsi,
uscendo dalla tana
del palazzo reale
blindato come un bunker,
circondato di guardie. Ed eccola:
stanata forse dalla vergogna
o da desiderio del sole,
venire qui sull’orlo
estremo del paese, bella e piena d’ombra
come l’imminenza del giorno
che proprio ora avanza
pianissimo sul mare .

Come riflette Sinisi, «Clitemnestra è il grande conflitto della Donna: rovescia l’attesa di Penelope, da luogo dell’attesa diventa luogo della rabbia, mano del sacrificio; in Clitemnestra l’uomo d’oggi vede la terribile giustizia dell’umano, la febbre dell’esistenza che diventa violenza, il lutto che diventa ferocia» .

Clitemnestra è qualificata machiavellica, senza anima e pietà, non una donna, ma un mostro che ha allontanato perfino i figli per trarne un beneficio tutto egoistico. La stessa regina, però, riconosce e accetta colpevole tutte le chiacchiere cittadine, «il popolo è cattivo, / però non mente mai» , commenta.

CLITEMNESTRA
Io ho schifo
di toccare un povero, non sono capace
di camminare per una strada
sventrata; rido poco, e quando
lo faccio la mia risata è muta
e genera sospetto in chi l’ascolta.
Guardo ogni uomo con rabbia:
ogni essere mi è contrapposto,
e io, Clitemnestra, io sola
sono l’essere unico,
diverso – inconciliabile .

Nell’Agamennone lo spazio non assurge al ruolo di deuteragonista ma è un oggetto fortemente marcato che sovraintende ai rapporti interpersonali, pertanto lo spettatore è portato a identificarsi nei personaggi, sublimi personificazioni di un passato antico che avanzano solitari nei loro ruoli di cattivi impotenti e famelici. Clitemnestra e Agamennone, la Donna e l’Uomo, si fronteggiano in un dialogo basato sull’opposizione fra simili, tra chi è costretto a stare e chi è costretto a sopravvivere, in un ribaltamento di funzioni tra l’accettazione e la costrizione della violenza.

Lei che, dopo una lieta accoglienza, rimprovera lui di aver gettato sua figlia nelle braccia di Ade , privo di ogni amore e crudele padre,

«le vene e i tendini / della tua mano, quella / che reggeva il coltello. Quella / che ha ucciso mia figlia. / Ifigenia. […] hai macellato tua figlia / Ifigenia con le tue stesse mani» .

Lei, il cui corpo non risponde più agli impulsi sessuali di un tempo quando saziava le brame del marito, qui ingannato dalle accondiscendenti parole dell’abile uxoricida. Lei, che non accetta le vane giustifiche di un marito ingordo di donne e vittorie, lei che era perdutamente innamorata di suo marito , ora il ricordo velenoso è più forte di qualsiasi sentimento, quindi lo annienta con tutto l’amore mutato in odio.

In questo senso Clitemnestra è il prodotto più eloquente di una certa sensibilità, ormai compiutamente post teatrale, che caratterizza l’immagine dell’attualità: un’immagine che appunto, forse anche per via dello sfilacciamento e della frammentazione del suo ruolo di Donna, Regina e infine di Moglie, vorrebbe ridursi all’immaginario puro e semplice di Persona, e rifiutarsi di entrare in questi sistemi di segni, metafore, ambiguità. Un personaggio androgino e genderfluid che, in nome di un desiderio inumano rifiuta persino il marito e la propria famiglia, si trasforma nell’immagine indistinta di chi, in una lamentazione contrariata, desidera affascinare gli altri per conquistare il ruolo maschile che le spetta.

Tutti gli elementi del dramma eschileo vengono concentrati in un mix di tensioni pronte a scatenarsi in un incendio di furore, erotismo, malinconia e dolore tra i personaggi fino all’atto estremo dell’omicidio, esplosivo e carico di pallottole: l’unica vera azione di tutta la tragedia avviene solo alla fine quando, sebbene nota, si scaglia potente e disturbante sul palcoscenico. L’ultima scena, la dodicesima, vede Clitemnestra ormai completamente svuotata di tutti gli affetti, smette di essere una regina e in una sorta di soliloquio si rivolge con una litania al pubblico, ricordandogli quel corpo martoriato, amato e tradito.

Agamennone Fabrizio Sinisi
L’Agamennone di Fabrizio Sinisi: Paolo Graziosi (Agamennone) e Daniela Poggi (Clitemnestra). Foto di Filippo Venturi

Si ringrazia la Compagnia Lombardi Tiezzi per le foto di Filippo Venturi dell’allestimento 2016.

 

BIBLIOGRAFIA:

  • BIERL 2004. A. Bierl, L’Orestea di Eschilo sulla scena moderna. Concezioni teoriche e realizzazioni sceniche, Roma 2004.
  • BLASINA 2003. A. Blasina, Eschilo in scena. Dramma e spettacolo nell’Orestea, Stuttgart 2003.
  • CASTELLANETA 2013. S. Castellaneta, Il seno svelato ad misericordiam. Esegesi e fortuna di un’immagine poetica, Bari 2013.
  • MACEWEN 1990. S. MacEwen, Views of Clytemnestra, Ancient and Modern, Lewiston 1990.
  • MACINTOSH – MICHELAKIS – HALL – TAPLIN 2005. F. Macintosh – P. Michelakis – E. Hall – O. Taplin, Agamemnon in Performance 458 BC to AD 2004, Oxford 2005.
  • SINISI 2017. F. Sinisi, Tre drammi di poesia: La grande passeggiata-Natura morta con attori-Agamennone, Bari 2017.

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