La mente ferita. Attraverso il dolore per superarlo, di Giorgio Nardone, Federica Cagnoni e Roberta Milanese – recensione

Si fa di tutto pur di non sentire. Ci sono così tanti modi per non soffrire, o almeno per illudersi di non soffrire, che a volte fingiamo di non capire quando una vocina interiore ci dice che l’unica vera soluzione alla sofferenza è la sofferenza stessa. È una prova così lacerante che non tutti ne accettano il rischio; piuttosto, è possibile che barattino l’ingannevole senso di sicurezza e dinamicità abusando d’alcol o di sostanze stupefacenti o di farmaci, dipendendo dagli altri, aggiungendo altri disturbi al blocco che già paralizza, talvolta addirittura pensando al suicidio.

Il cambiamento catastrofico, ma anche una serie di microeventi ripetuti gradualmente nel tempo, si abbattono senza sosta sulla memoria che, rallentata e in sovraccarico, fatica a elaborare quanto avvenuto. Il soggetto che ne è portatore, così, con l’intento di preservare il ricordo allontanando però il bagaglio di dolore a cui è legato, finisce in un cortocircuito travolgente e disfunzionale. Queste strategie difensive (coping reactions) sono solo in parte coscienti e si trovano

“alla base di ciò che intrappola la vittima di un’esperienza traumatica all’interno dei propri ricordi e la conduce a costruire nuovi limiti, portando con sé angoscia, paura, dolore e rabbia”,

spiegano Giorgio Nardone, Federica Cagnoni e Roberta Milanese nel volume La mente ferita pubblicato con Ponte alle Grazie.

La mente ferita
La copertina del saggio La mente ferita. Attraverso il dolore per superarlo, di Giorgio Nardone, Federica Cagnoni e Roberta Milanese, pubblicato da Ponte alle Grazie nella collana Terapia in tempi brevi

 

Gli autori, facenti parte del Centro di Terapia Strategica di Arezzo, con un linguaggio chiaro e divulgativo nel testo trattano delle possibilità di superare un’esperienza dolorosa, nel significato trasversale di perdita, attraverso la stessa terapia breve strategica messa a punto da Paul Watzlawick e dal professor Nardone suo allievo.

Gli approcci usati, con una sezione pensata anche sull’attuale situazione pandemica, vanno dalla comprensione e dalla decodifica delle emozioni cosiddette primarie (come appunto la paura, il dolore e la rabbia) fino all’utilizzo della scrittura terapeutica, nel modello da loro coniato come “romanzo del trauma”. Questo, tramite l’espressione scritta, ha l’obiettivo di ricollocare il passato nel passato liberando, non senza sforzi, la parte emotiva bloccata ed evitando così al fisiologico disturbo da stress post-traumatico di complicarsi sfociando in disturbi depressivi, fobici, ossessivo-compulsivi e abusanti spesso gravi.

Ma lo dicevamo all’inizio: si fa di tutto pur di non sentire, pur di anestetizzare le emozioni e privarle del loro normale fluire. Perché se assumessero un’altra forma saremmo costretti a comprenderla e ad immergerci in una realtà scomoda. Mentre il mondo va avanti, ci scopriamo impigliati in una solitudine senza ritorno, tirati giù da un vortice di sensi di colpa basati su responsabilità che in ogni caso non avremmo potuto abbattere, ma che lo stesso ci rendono impotenti verso una vita che crediamo di non meritare più. Non senza quella casa, quel lavoro, quel genitore, quel figlio, quella gamba.

È la percezione di assenza che ci rende instabili, inorriditi di noi quando ci guardiamo allo specchio e guardiamo alla nostra biografia con fare insolente e volgare. Siamo come reietti della letteratura e ci sentiamo abbandonati ed emarginati da una vita che solo prima del trauma ci apparteneva.

Eppure non sempre è così. Talvolta ci ritroviamo a voler sentire ogni cosa che riguarda il trauma stesso e, esasperati dalla sua profondità, possiamo decidere di protenderci verso il dolore e sperimentare quella che lo psicanalista Franz Alexander nel 1946 definì “esperienza emozionale correttiva”, ovvero quei vissuti concreti legati ai sensi che permettono al cervello di riorganizzarsi alla luce dei cambiamenti avvenuti.

È straordinario, perché nella raggiunta consapevolezza ciò può suggerire una guarigione anche sul piano cognitivo.

“Chi ha superato un dolore” scrivono gli autori de La mente ferita, “ha risorse che altri non hanno, come la sensibilità e le capacità di adattamento e di attutire altri urti della vita. Chi non ha mai provato dolore ed evitando esperienze emotivamente travolgenti è riuscito a sfuggirgli, non è affatto più forte, ma potenzialmente più fragile e destabilizzabile”.

Il coraggio di questo tipo di elaborazione, che si basa sul riallineamento della percezione del senso di realtà, diventa quindi eroica perché trasforma un sentimento che è invadente e a tratti invalidante in qualcosa che alla lunga risveglia l’anima.

Foto di Devanath

Avere cognizione della percezione spegne pian piano il rimpianto, la ruminazione, la vergogna, il fallimento, attenua l’ansia e disinnesca le reazioni di angoscia e di panico che rischiano di fare danni a livello psicofisico. Inoltre, potenziando la resilienza, coltiviamo un’esperienza emotiva (sostenuta anche dagli studi di epigenetica che riguardano l’ereditabile capacità di adattamento evolutivo) che riesce a rivolgersi ad un futuro integro e che nel dolore non vede più un limite ma un’opportunità.

Non facile ma necessario, perché come viene ben spiegato nel libro “un dolore immenso non può essere reso meno intenso da nulla, tranne che dalla capacità di viverlo appieno nel tempo”.

Nardone, F. Cagnoni, R. Milanese, La mente ferita. Attraversare il dolore per superarlo, ed. Ponte alle Grazie 2021, pp. 144, Euro 14.

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