Nope di Jordan Peele – recensione

Applicare la definizione “complesso” ad un film può far cadere nel paradosso degli aggettivi descrittivi che non descrivono affatto. In questo modo si andrebbe a privare l’oggetto di qualità che magari possiede. Nel caso specifico, definire Nope di Jordan Peele soltanto “complesso” non contribuirebbe all’analisi. Allo stesso modo, le commerciali etichette chiamate generi ne restituirebbero solo un ritratto sommario.

Al suo terzo lungometraggio dopo i due meravigliosi horror Scappa – Get Out e Us, simili per struttura narrativa e tematiche, sarebbe facile sapere cosa aspettarsi. Peele invece sovverte qualsivoglia aspettativa con una pellicola più stratificata, intrecciata – quasi aggrovigliata – ed ermetica delle due precedenti.

Daniel Kaluuya in Nope. © Universal Studios. All Rights Reserved

La base di partenza è semplice: due fratelli OJ (Daniel Kaluuya) ed Em (Keke Palmer) ereditano un maneggio e si ritrovano a gestirlo, finché un giorno si ritrovano un UFO sopra la testa (circa). Che fare? Premesse da classico fantascientifico, quasi retrò, dalle quali aspettarsi una virata verso l’horror, conoscendo i pregressi del regista.

Keke Palmer in Nope. © Universal Studios. All Rights Reserved

Sia in Get Out che in Us, infatti, si partiva da una situazione realistica, per introdurre poi un elemento dissonante per accendere la parte horror delle pellicole, concludendo con una “spiegazione” al retrogusto di fantascienza e con un conflitto finale. Nope mantiene la premessa ed il conflitto finale ma rimescola completamente la struttura che c’è nel mezzo, scivolando nel mentre fra i generi.

Daniel Kaluuya in Nope. © Universal Studios. All Rights Reserved

Alla tensione da thriller si unisce il brivido della scoperta e dell’ignoto della fantascienza; vi si inseriscono momenti degni di una commedia nera per fare quasi una capatina nella parodia e bagnare la punta del dito nel lago del western. La minestra di generi è poi condita con una ricca mistura di citazioni, che viaggiano dal sci-fi di qualche decennio fa a tutti i generi sopracitati, con alcuni tributi visivi quantomeno inaspettati (come un Akira slide).

Daniel Kaluuya, Brandon Perea, e Keke Palmer in NOPE. © Universal Studios. All Rights Reserved

La stessa atmosfera che il film – ambientato nei giorni nostri – fa respirare non ha l’odore della modernità, quanto più degli anni ’90, creando una sorta di straniamento e distacco perenne. Una sensazione “strana” (altro aggettivo non-descrittivo), accentuata da alcuni personaggi quasi parodistici e racconti nel racconto introdotti quasi senza apparente nesso causale.

Il trabocchetto che Nope tende può far pensare che Peele non abbia nulla da raccontare, quando poi la magia della messa in scena e della regia tradiscono questa promessa. Le scene notturne sono opprimenti e si legano agli stati d’animo dei personaggi e ai momenti più irrazionali che questi vivono, laddove la luce rappresenta il momento della razionalizzazione e della ragione. Non a caso la sequenza finale è diurna (o pomeridiana, ma tant’è), con i personaggi completamente consci del fenomeno soprannaturale, che qui raggiunge il suo apice.

Da sinistra verso destra: Daniel Kaluuya e Jordan Peele sul set di NOPE. © Universal Studios. All Rights Reserved

La macchina da presa si muove solo quando ha qualcosa da raccontare. Un movimento lento segue un personaggio e crea tensione, peraltro magistralmente gestita per tutta la durata dell’opera. Un movimento veloce e imprevisto è invece sintomo di paura e della manifestazione di qualcosa che non dovrebbe esistere. Il montaggio segue questo ritmo, questa folle alternanza di realtà, fantascienza, orrore e razionalizzazione; solo nel finale si giunge ad una sintesi visiva dettata proprio dalle istanze narrative del momento.

Il punto però rimane: cosa racconta Nope? Quali temi affronta, se ne affronta?

Come in introduzione, si parla sicuramente di un’opera ermetica, chiusa in se stessa e non favorevole a lasciar entrare lo spettatore dentro la sua simbologia e le sue metafore, quantomeno ad una prima visione. Ma qualcosa esce comunque dalla gabbia.

Jordan Peele sul set di Nope. © Universal Studios. All Rights Reserved

Peele è un regista politico, che nelle sue opere tratta sempre di oppressione di qualcuno verso qualcun altro e su più livelli di narrazione. In Get Out potevano essere, ad esempio, i bianchi verso i neri (ma la critica è ben più profonda e stratificata), in Us gli americani verso se stessi (come prima).

Jordan Peele sul set di Nope. © Universal Studios. All Rights Reserved

In Nope c’è una critica metanarrativa che sfocia nel sociale. Emerge in maniera prepotente quanto Peele voglia criticare i grandi studios cinematografici, un establishment produttivo che, specialmente in America, schiaccia i creativi e le maestranze in favore del solo lato industriale del cinema. Ma Nope non si limita soltanto alla critica ai ricchi studios di turno, ma colpisce ferocemente anche chi è più “in basso” ma ne condivide di fatto la mentalità. La tendenza morbosa alla spettacolarizzazione di ogni evento, la voglia compulsiva di dover riprendere ogni cosa, farla finire in rete, cercare a tutti i costi il “quarto d’ora di celebrità” di warholiana memoria. Nope colpisce e critica tutti questi atteggiamenti e chi li opera, critica di fatto questa declinazione moderna del sogno americano che la tecnologia esaspera ulteriormente.

Steven Yeun in Nope, written and directed by Jordan Peele. © Universal Studios. All Rights Reserved

Ma non è che la superficie delle mille chiavi di lettura che è possibile fornire. Chi vi scrive può averci visto un’esaltazione dell’assenza di tecnologia, dell’analogico sul digitale, del creare arte per l’arte stessa e non per il profitto. O ancora, una chiave di lettura ecologista, nell’ottica di condanna dell’industrializzazione selvaggia e della cattività, specialmente se correlato alla vera natura dell’UFO, sulla quale tanto si potrebbe discutere, se non incombesse la scure dello spoiler.

Nope
La locandina del film Nope di Jordan Peele

Al di fuori della retorica, l’invito finale è quello di vedere Nope. Vederlo in sala, discuterne, confrontarsi e lasciare stimolarsi dall’enorme quantità di riflessioni che può portare. E se anche è imperfetto, se anche non ha un genere preciso o forse racconta quel che vuole in maniera confusa, resta comunque quel tipo di cinema che resta nella mente e negli occhi per molto, molto tempo.

Daniel Kaluuya in NOPE. © Universal Studios. All Rights Reserved

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