Un Sindaco di ieri, la Napoli di oggi

Il Sindaco del Rione Sanità di Mario Martone

Articolo a cura di Gianluca Colazzo e Mariano Rizzo

Nella Napoli dei nostri giorni, don Antonio Barracano amministra la giustizia, o quantomeno ciò che in una città di contraddizioni come il capoluogo campano può essere definita tale: punisce chi ha perpetrato un torto e al tempo stesso chi lo ha subito, se ciò ha comportato una vendetta sommaria; disprezza l’usura, ma costringe chi la pratica a scendere a più miti consigli adoperando metodi da boss mafioso. Il suo operato e il suo ambiguo concetto di equità saranno messi in crisi da un giovane che gli richiede protezione prima di compiere un delitto terribile.

In questo riassunto si riconosce a colpo d’occhio la trama di uno dei drammi più celebri di Eduardo De Filippo, Il Sindaco del Rione Sanità, alterata tuttavia in un elemento significativo: la storia che il drammaturgo partenopeo mise in scena nel 1960 si ambientava nella Napoli di circa vent’anni prima, nella quale persistevano gli echi della Seconda Guerra Mondiale uniti alle dicotomie di una società basata sull’onore e sulla parola, mai realmente tramontata nemmeno ai nostri giorni.

Può forse essere questo il motivo per cui Mario Martone, specializzato nel raccontare la Campania dei secoli passati (suoi l’onirico Capri-Revolution dello scorso anno e Il Giovane Favoloso ispirato alla vita di Giacomo Leopardi) ha deciso di portare in scena la Napoli contemporanea per mezzo della più classica delle commedie di De Filippo: per quanto a prima vista possa sembrare anacronistica la vicenda umana di uno pseudo-boss che dispone dei piccoli e grandi misfatti all’ombra del Vesuvio a seconda del suo discutibile (ma coerente) senso di giustizia, essa finisce per risultare tremendamente attuale.

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Eduardo De Filippo interpreta don Antonio Barracano nella commedia Il sindaco del rione Sanità. Foto di scena di una rappresentazione del 1960. Rielaborata e modificata da Gierre

Il testo originale è quasi integralmente rispettato, con minime licenze atte a intercalarlo meglio nei nostri tempi; tuttavia esso viene spogliato di quasi tutta la sua ironia ed esposto al pubblico nella crudezza del suo pessimismo. Battute che un tempo avrebbero provocato un’agrodolce risata – gli immortali riferimenti alla superstizione, le liturgie familiari napoletane, tanto arcane quanto inoppugnabili – si rivelano nell’opera di Martone pregne di uno scomodo sarcasmo. Lo stesso protagonista è oggetto di una clamorosa rilettura: laddove De Filippo aveva cercato di ammantare l’antieroe don Antonio del carisma di un veterano al di sopra dei concetti di bene e male, saggio ma nella maniera sbagliata, Martone dipinge un Sindaco più giovane e inquieto nel suo essere uomo sbagliato ma provvisto di una saggezza che alla fine risulterà essere nulla più che la somma dei propri errori. Ne consegue un’amara riflessione sulla giustizia in posti come Napoli, efficace nei concetti ma fallimentare nella pratica in qualsiasi maniera la si voglia gestire: si tratta di tematiche già presenti in nuce nel testo defilippiano, a cui il regista resta fedele pur non rinunciando al loro approfondimento. Nessuna redenzione è ammissibile in questo contesto, nemmeno quella vagheggiata da Eduardo nel memorabile finale.

Il film viene reso particolarmente efficace dal cast, composto quasi interamente da attori che ci pare di aver visto da qualche parte ma non ricordiamo dove, a loro agio in interazioni prive di enfasi ed estremamente spontanee, che riflettono la decisione del regista di depauperare il dramma originale di tutta la sua eleganza; ed è proprio nella regia, nonché nell’audace combinazione di scenografia e fotografia che il garbato nichilismo di Martone trova compimento: l’alternarsi di piani-sequenza e inquadrature veloci tradisce la natura teatrale del testo ma tenta di offrirsi spesso, forse un po’ più del dovuto, al dinamismo di un film d’azione dai toni drammatici. La Napoli che il film ci mostra è una città notturna, lontana, anonima; tre quarti del lungometraggio si ambientano in una periferia rurale e fuori dal tempo, che ostenta ricchezza ma che si trascina dietro un codazzo di miseria e squallore. Relegate all’atto finale le concessioni alla downtown più riconoscibile e stereotipata, tra le quali si annovera una lunga scena ambientata nell’ormai telefonatissimo Palazzo Sanfelice, alla sua quarta apparizione cinematografica nel giro di un anno.

L’esperimento de Il Sindaco del Rione Sanità non si esaurisce nella semplice trasposizione filmica del testo teatrale, e nemmeno ha come precipuo scopo la sua attualizzazione: quello che Martone vuole rivelare, probabilmente, non è quanto un dramma di cinquant’anni fa sia ancora in grado di raccontare Napoli, ma viceversa che Napoli sia ancora in grado di essere raccontata attraverso una storia di molti decenni fa, nel bene e soprattutto nel male.

Il Sindaco del Rione Sanità di Mario Martone è tratto dall’omonimo dramma di Eduardo De Filippo e basato sull’allestimento teatrale firmato dallo stesso regista, portato in scena nel 2017 con il collettivo NEST di San Giovanni a Teduccio. Il film è stato distribuito nelle sale cinematografiche il 30 settembre, l’1 e il 2 ottobre 2019, con due repliche, e si auspica che possa poi approdare in home-video.

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Locandina del film “Il Sindaco del Rione Sanità”, reinvenzione in chiave contemporanea del dramma di Eduardo nella Napoli contemporanea

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