Jojo Rabbit è l’ultimo film del regista australiano Taika Waititi, ispirato al libro Come semi d’autunno di Christine Leunens. La pellicola ha vinto il premio Oscar per miglior sceneggiatura non originale e ha ricevuto altre cinque candidature (miglior film, miglior attrice non protagonista, miglior scenografia, miglior montaggio e migliori costumi). Jojo Rabbit è arrivato nelle sale italiane il 16 gennaio 2020 distribuito dalla 20th Century Fox Italia, incassando 3,9 milioni di euro nelle prime 7 settimane di proiezione.
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L’amico immaginario
Berlino, 1945. Jojo (Roman Griffin Davis) è un bambino di dieci anni che vive solo con la madre Rosie (Scarlett Johansson) avendo perso il padre in guerra e la sorella a causa dell’influenza. Jojo ha un aiutante che lo consiglia e gli fa compagnia durante le giornate: Adolf Hitler (Taika Waititi). L’Hitler di Jojo è una interpretazione buffonesca e infantile del Führer, tratteggiato come un signore grassoccio che sa sempre cavarsela. Durante una riunione della Gioventù Hitleriana, guidata dal capitano Klenzendorf (Sam Rockwell) e dalla soldatessa Fraulein Rahm (Rebel Wilson), Jojo si scontra però con un vero addestramento militare e, soprattutto, con i concetti concreti della propaganda nazista. L’affermazione che il bambino sente più spesso, riguarda la “razza” ebraica e il concetto di antisemitismo. Gli ebrei vengono descritti quasi come degli alieni, pronti a cacciare via i tedeschi dalla propria nazione.
L’iperbole della guerra
La Berlino mostrata nella pellicola di Waititi è la Berlino che sa di aver perso la guerra. Nonostante ciò, personaggi come il capitano Klenzendorf, continuano a riproporre slogan di propaganda nei quali, forse, nemmeno più loro credono. I soldati sembrano dei burattini, non solo per l’esasperazione mimica o fonetica studiata dagli attori, ma anche per il contesto stesso in cui si svolge la vicenda. Di Berlino, in realtà, vediamo ben poco. La macchina da presa si addentra principalmente nelle campagne, nella casa di Jojo, negli uffici dell’esercito e nella piscina\palestra allestita per le truppe. Di base, questi appena citati, sono i luoghi che caratterizzano il piccolo universo del giovane protagonista che esalta qualcosa di estraneo (la guerra) non avendola, però mai realmente vista.
Lo scontro con il nemico, arriva nel momento in cui Jojo scopre che mamma Rosie nasconde nell’armadio una ragazza ebrea di nome Elsa (Thomasin McKenzie).
Il personaggio di Rosie è molto particolare, poiché non c’è mai un focus eccessivo sulle sue azioni o sulle sue dichiarazioni. Rosie, inizialmente, può sembrare una donna romantica resa forte dalla devastazione della guerra. Tuttavia, il triste epilogo che la vedrà uccisa per tradimento, chiude un cerchio mai eccessivamente approfondito forse proprio per far comprendere allo spettatore un tipo di censura voluta da un regime dittatoriale. Rimasto orfano, Jojo si trova costretto a convivere con l’unica persona che gli è rimasta: Elsa.
We can be heroes
La seconda parte del film, che vede la convivenza tra Jojo ed Elsa, assume un ritmo meno giocoso. Le burle e il fanatismo di Jojo svaniscono lentamente, perché la guerra (questa volte quella vera) arriva tra le strade di Berlino e nella casa del protagonista. In casa Elsa sarà l’elemento decisivo che farà comprendere a Jojo che gli ebrei sono persone comuni e non alieni. Jojo, restio inizialmente, si confida con Elsa, accantonando man mano il suo amato Hitler. Gli alleati prendono possesso della capitale tedesca, catturando i soldati nazisti. Jojo afferra per la prima volta un’arma e una vera divisa nazista ma, impaurito, decide da fuggire. La fuga è stroncata velocemente, perché un soldato americano afferra il piccolo e lo mette tra i prigionieri. Nel finale, vediamo la vittoria dell’umanità: Jojo sarà salvato dal capitano Klenzendorf che gli strapperà la divisa di dosso e lo allontanerà violentemente. Tornato a casa, Jojo impaurito dalla possibilità di poter perdere Elsa, le racconta che i tedeschi hanno vinto la guerra. Elsa, tuttavia, non crede alla versione del bambino e si riversa sulla strada dove vedrà sventolare la bandiera americana.
In modo differente, sia Elsa che Jojo hanno vinto la guerra. Jojo ha compreso quel fantomatico amore di cui mamma Rosie parlava ed Elsa può riassaporare la libertà.
Molti hanno paragonato Jojo Rabbit al film La vita è bella di Roberto Benigni, per via della struttura narrativa che vede come protagonista lo sguardo di un bambino nei confronti della guerra. Questo paragone può essere in parte corretto, se ci concentriamo maggiormente sull’uso della burla. Tuttavia, se analizziamo più approfonditamente la costruzione dei personaggi, possiamo immediatamente notare grandi differenze tra questo film e la pellicola di Benigni. Rosie non è una madre che tenta di nascondere la guerra, al contrario di Guido che rende tutto un gioco. Rosie mostra la guerra al figlio, ovviamente in maniera più delicata e in parte giocosa, ma la verità non viene mai nascosta. Soprattutto, La vita è bella è un film d’autore che fa parte di una certa maniera di fare film tipica dell’Italia o dell’Europa in genere. Jojo Rabbit, invece, è un puro film americano e questo si evince non sono dalle inquadrature lineari e dal ritmo serrato, ma anche dalla necessità di inserire una morale finale. I cattivi non sono mai veramente cattivi e il male vince sul bene.
In conclusione, Jojo Rabbit è un film che merita di essere visto per il modo alternativo in cui mostra la fine del secondo conflitto mondiale e per la mimica facciale di tutti gli attori. Calato il sipario, ci sentiamo come Jojo ed Elsa. Ci sentiamo nuovamente liberi e padroni delle nostre scelte e dei nostri desideri. Per questo, alla fine, Waititi conclude il film con la versione tedesca di Heroes di David Bowie. Noi, come i protagonisti, possiamo essere eroi, anche se per un giorno solo.
Tutte le foto sono di Kimberley French. © 2019 Twentieth Century Fox Film Corporation tutti i diritti riservati Fox Searchlight Pictures