Si è sempre fatto così? Be’, allora è il caso di cambiare

Si è sempre fatto così. Spunti per una pedagogia di genere, di Alessia Dulbecco, Tlon (2023) – recensione

C’è un episodio poco noto della Divina Commedia (e precisamente del Purgatorio) cui penso spesso ultimamente, sia perché non molto tempo fa è stata la Giornata per i diritti della donna, sia perché a breve ci sarà la Settimana Santa, durante la quale è cosa nota che Dante abbia visitato i tre regni, per fare ai suoi contemporanei e a noi posteri un reportage accurato di quanto ha visto e sentito, compresi i colpi di calore che ha avuto. Nel suo viaggio di andata e ritorno, si è imbattuto, mentre percorreva l’Antipurgatorio, nell’anima di Ugolino Visconti, detto Nino. Un nome che a noi non dice niente, ma che all’epoca del poeta era ben noto. Infatti, quell’anima celeberrima apparteneva ad un nobile e politico italiano, che era stato ai tempi Capitano del popolo di Pisa, nonché suo podestà.

Nino Visconti, dopo che intuisce che Dante è vivo, gli fa la stessa richiesta di tutte le anime del Purgatorio, e cioè di domandare ad un suo parente di pregare lui perché si accelerasse la sua ascesa al Paradiso. Nomina a tale scopo sua figlia Giovanna:

dì a Giovanna mia che per me chiami / là dove a li ‘nnocenti si risponde (VIII, vv.71-72).

Non gli chiede, però, di rivolgersi a sua moglie, Beatrice d’Este, perché si era sposata in seconde nozze con Galeazzo Visconti e quindi dava per scontato che l’avesse ormai dimenticato. Infatti, motiva il suo pensiero, sostenendo che

per lei assai di lieve si comprende / quanto in femmina foco d’amor dura (VIII, vv.77-78).

Insomma, poiché è una donna, i sentimenti sono destinati ad avere natura aleatoria, passano in fretta. “La donna è mobile” recita, non a caso, una famosa aria del Rigoletto.

Questo è uno dei tanti stereotipi che circolano sulla donna e che, per forza di cose, si uniscono a tanti altri cliché ben presenti nella nostra società. Si tratta, però, di formulette antiche, di detti che circolavano anche nella letteratura greca e latina, ed era già da allora noto che il posto destinato alla donna fosse proprio la casa. Non è facile togliersi di dosso una serie di pregiudizi e preconcetti, ma è vitale perché la società cambi, sia per le donne che per gli uomini, visto che tale sistema patriarcale intacca un po’ tutti, specie coloro che non si uniformano ad un determinato modello o, meglio, ad un circoscritto ruolo di genere, che non ammette sbavature.

la copertina del saggio Si è sempre fatto così. Spunti per una pedagogia di genere, di Alessia Dulbecco, edito da Tlon (2023)
la copertina del saggio Si è sempre fatto così. Spunti per una pedagogia di genere, di Alessia Dulbecco, edito da Tlon (2023)

Come scandagliare tutto? A rispondere in maniera esaustiva è Alessia Dulbecco, pedagogista e formatrice, che offre un’ottima panoramica su questi temi in un suo saggio pubblicato con Tlon a settembre del 2023, dal titolo Si è sempre fatto così. Spunti per una pedagogia di genere. Un libro che mette in luce un dato inequivocabile: gli adulti di oggi un tempo erano bambine e bambini, e se sono diventati in un certo modo è per il tipo di educazione che hanno ricevuto. Giustamente, sostiene l’autrice che se alcuni uomini di oggi sono abituati a considerare la propria fidanzata un oggetto di loro proprietà è naturale che riterranno doveroso controllarla e limitarne la libertà, in nome di chissà quale nobile riflessione. Sono stati abituati e incentivati ad avere un tale pensiero. Così come è a causa dell’educazione che si ha ricevuto se si ritiene che una donna possa rinunciare alla carriera per crescere un figlio.

Tante delle problematiche legate all’oggi, così come a ieri, vanno ricercate nell’educazione, nella pedagogia. Alessia Dulbecco questo lo evidenzia bene, avendo assistito con i suoi occhi alle dinamiche di cui parla con tanta efficacia nel suo saggio, che prendono tutte inizio da due colori, che sono diventati simbolo di due generi specifici, quello delle femmine e quello dei maschi: naturalmente il rosa e il celeste. Colori che sono stati assegnati al rispettivo genere piuttosto recentemente, e cioè durante le campagne di marketing del anni ’40 del Novecento negli Stati Uniti. Ed è stato sempre lì che è nata la prima Barbie, la fashion doll, che diviene per tutte le bambine il primo modello di femminilità.

Una bambola che, come nota la scrittrice, non è snodabile, come lo saranno le action figure dei maschietti, quasi ad indicare la natura statica del modello femminile cui dovranno ispirarsi le bambine. Sin dall’infanzia, ai bambini e alle bambine vengono mostrate le loro zone di influenza e i loro rispettivi limiti. I primi avranno a disposizione ampi spazi nei quali impiegare i propri giocattoli, tra cui annoveriamo armi, macchinine, giochi di costruzioni e altri che stimolano sia l’immaginazione del ragazzo, sia il suo spirito di avventura. Le bambine hanno ben poco da immaginare, grazie ai loro piccoli accessori domestici, i loro bambolotti, le loro Barbie truccatissime, sempre in forma e ben vestite. Sanno sin da subito quali siano i compiti che la società ha in serbo per loro: cucinare e occuparsi della casa, fare figli e vestirsi bene, per poter essere sfoggiate. E, quindi, se i primi devono costruire, armeggiare e perdersi per il mondo, alla ricerca di potere e gloria, le seconde sono confinate nelle loro ben arredate quattro pareti, ad occuparsi dell’educazione dei figli e, se proprio desiderano lavorare, possono assolvere alla loro funzione di cura, ma pagate meno degli uomini.

Come se non bastasse, si insegna, sempre in questa fase dell’infanzia, alle bambine ad esprimere unicamente la tristezza, eliminando del tutto la rabbia, e demonizzando tutte le emozioni del bambino, perché non si pensi che sia una “femminuccia” e perché corrisponda ad una certa parvenza di mascolinità aggressiva che è richiesta a questi ultimi una volta adulti. L’autrice si concentra molto sull’infanzia, sia per deformazione professionale sia perché ne sottolinea l’importanza nella formazione dell’individuo, senza tuttavia dimenticare di tratteggiare le fasi fondamentali dell’adolescenza, quando si veicolano le scelti dei giovani verso una determinata scuola, più confacente non tanto alle qualità del singolo, ma a quello che la società gli richiede e ha in serbo per lui. Ruoli ben scanditi, che non lasciano spazio ad altro se non ai loro dettami. Che triste situazione quella che dipinge la pedagogista, che si inserisce con questo suo saggio – maneggevole e divulgativo, che non intende parlare agli esperti o agli addetti ai lavori – all’interno di un corpus di saggi e trattazioni che mostrano la necessità di una ricalibrazione, proprio attraverso la pedagogia di genere. In questo percorso non si può non citare Elena Gianini Belotti e l’importanza dei suoi studi sulla condizione delle bambine e il modo con cui vengono cresciute, col suo saggio, ormai divenuto un classico della pedagogia, Dalla parte delle bambine, pubblicato nel 1973.

È incredibile come tutto parta dall’educazione e come determinati comportamenti derivino proprio dall’educazione che si ha ricevuto, sia in famiglia che a scuola. Entrambe hanno un’importanza primaria nella crescita della persona e, quindi, se la società, composta ovviamente da persone, va a rotoli, la colpa non può che partire da questi due nuclei. E, seppure il ragionamento possa apparire semplicistico, non è facile mettere in discussione tutta una serie di preconcetti, che ormai rientrano in quella che definiamo cultura e/o tradizione. Eppure, non è possibile scandagliare dal giorno alla notte ciò che si è per tanto tempo preso per buono, ma che almeno si inizi a scalfire pezzo dopo pezzo questo muro granitico, perché tutto al suo interno cambi e migliori. Sono certa che un passo in questa direzione possa essere fatto proprio grazie alla lettura di questo saggio, che sa delineare perfettamente la situazione nella quale ci troviamo.

È vero che “si è sempre fatto così”, ma questo modo di concepire la vita, nonché la fissità dei ruoli di genere, non ci soddisfa da tempo. Ci limita, non ci permette di esprimere davvero chi siamo, per timore del chiacchiericcio e della disapprovazione degli altri. Alessia Dulbecco ci aiuta a capire come potremmo invertire la rotta. Non è meraviglioso?

Nata a Bitonto nel ’94, ha studiato Lettere Classiche e Filologia Classica. Nel 2021 si è laureata in Scienze dello Spettacolo. Giornalista Pubblicista, collabora con più testate online. Attualmente frequenta il master in Critica Giornalistica alla Silvio D’Amico. I suoi interessi e studi riguardano la letteratura, il cinema e il teatro.

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