Arianna cerca la libertà: La maledizione di Arianna, di Sara Benatti
Se ne La maledizione di Arianna il lettore si aspetta di leggere una riproduzione fedele della versione più famosa del mito del labirinto, resterà senz’altro deluso, perché il racconto di Sara Benatti è originale e a tratti inedito.
Presentata fin dalle prime pagine come una vittima di suo padre, la principessa di Creta Arianna si configura subito e fino alla fine come una donna in cerca di libertà.
“La realtà, però, era che i sacrifici giungevano puntuali come le stagioni, come la pioggia o il sole all’alba, ed era diventato più facile bloccare ogni emozione. […] Solo che avere pena per loro, riflettere su quei soprusi ritualizzati, ascoltare i pianti delle future vittime che chiedevano pietà era inutile, e così Arianna aveva imparato a farsi sorda, cieca, così come da bambina aveva capito che, nonostante una voce l’avesse, era come se fosse muta.”1
In apparenza indifferente a quanto accade a palazzo e più in generale nel regno a causa del sacrificio dei tributi richiesto per il mostruoso Minotauro, figlio di Poseidone e suo fratellastro, Arianna trova rifugio e temporanea libertà nel Dictinneo, il tempio dedicato alla dea Dictinna, di cui la figlia di Minosse è sacerdotessa.
“Nei bacili, nei torrenti d’acqua limpida vicino al Dictinneo sì, le sembrava di ritrovarsi, di riconoscere che era Arianna a restituirle lo sguardo da quelle mobili superfici; ma lì, a palazzo, non sapeva chi era quella sconosciuta annoiata di dover assistere all’ennesimo rito di morte, impaurita di ammettere quanto lo odiasse.”2
La libertà garantita dal tempio, però, è soltanto apparente e presto Arianna dovrà tornare a fare i conti con il volere del padre, che intende darla in sposa, nonostante la “maledizione” che, secondo alcuni, incomberebbe su di lei e che ha a che fare con il terribile destino riservato ai precedenti pretendenti.
Dopo una lunga sezione dedicata proprio alla vita di Arianna al palazzo, che viene evocato dalla penna scorrevole e precisa dell’autrice con dettagli tali da immergere pienamente il lettore nell’atmosfera, nella vita e nei colori di Creta, la seconda sezione interrompe bruscamente la tendenza introspettiva della prima a favore dell’azione.
Infatti, con l’entrata nel labirinto di Arianna e Teseo, le cui vicende si svolgono parallelamente a quelle di altri tributi finiti a loro volta nel labirinto, il focus è tutto sulle peripezie nel labirinto stesso. Questa sezione è sicuramente la più avvincente e salva il romanzo dal rischio di emulare i recenti retelling mitologici di stampo volutamente femminista che mantengono inalterata la prospettiva per tutto il corso del romanzo. Vediamo più da vicino, infatti, non solo com’è fatto e come funziona il labirinto attraverso gli intricati meccanismi ideati da Dedalo, ma anche lo stesso Minotauro, che alla fine rivelerà nient’altro che la sua natura di figlio sfortunato e maledetto, costretto a crescere da solo sottoterra in completa solitudine.
“Immaginò con affilata chiarezza ore e ore e ore, giorni e giorni e giorni che diventavano stagioni e poi anni là sotto. Solo, a parlare con quelle cose. Con quegli… a crearsi compagni dinanzi a cui posare una ciotola vuota. A giocare con bambini fatti d’osso e stoffa.”3
È ancora in questa seconda sezione che la stessa Arianna a un certo punto sembra venire messa da parte per dare più spazio ai nuovi personaggi introdotti dall’autrice: Aleksandu, Dares, Calla e Lysios. Le storie di ciascuno si svelano gradualmente nel corso della narrazione, rivelando una costruzione originale ma coerente con il contesto e a tratti forse anche più calibrata e verosimile rispetto ai personaggi principali. Da questo punto di vista, infatti, Teseo, l’eroe che le fonti antiche hanno sempre tramandato in un certo modo, qui viene in parte smentito e, sebbene quello descritto sia un Teseo violento, irascibile e terribile come, in effetti, alcuni eventi legati alla sua epica ci fanno credere che fosse, l’eroe ateniese sembra essere soltanto funzionale all’affermazione personale dell’eroina Arianna che, allo stesso modo, manca a tratti di quella tridimensionalità che invece mostrano personaggi come lo schiavo di Teseo Dares o il troiano Aleksandu.
Nonostante ciò, grazie ad alcune scelte strategiche di variazione dal mito, le licenze di Sara Benatti rispetto all’originale funzionano proprio nell’economia di una nuova versione di una delle storie più celebri della mitologia classica. Che ne venga fuori una nuova immagine di Arianna capace di riscattare sé stessa è indubbio, ma preziosa è soprattutto la testimonianza affidata ai personaggi che si ritrovano nel labirinto insieme ai due protagonisti, destinati a diventare memorabili fin dalla loro prima entrata in scena.
Note:
1 S. Benatti, La maledizione di Arianna, Sperling & Kupfer, 2024, p. 13.
2 Ivi, p. 17.
3 Ivi, p. 247.
Il libro recensito è stato cortesemente fornito dalla casa editrice.